Arriva Starbucks a Milano

Un logo di Starbucks
@Marco Paköeningrat - Flickr - License CC BY-SA 2.0

Dopo continui annunci e smentite è stata ufficializzata dalla società americana l’entrata di Starbucks nel mercato italiano, in collaborazione con il gruppo Percassi, leader italiano della distribuzione. Il primo punto vendita aprirà a Milano, e seguirà il debutto in Italia di un altro protagonista dell’industria alimentare statunitense: le pizzerie Domino’s, arrivate da poco sempre nel capoluogo lombardo.

Ma qual è la storia dietro il marchio con la sirena? Il colosso americano delle caffetterie è stato fondato a Seattle nel 1971, con un singolo punto vendita che ha subito riscosso molto successo. La repentina espansione della catena inizia però solo nei primi anni Novanta, con l’acquisto dell’azienda da parte dell’imprenditore Howard Schultz e l’ingresso nel mercato californiano, nel quale il marchio ottiene enormi profitti e notorietà.

Nel 1996 apre il suo primo punto vendita all’estero, a Tokyo per la precisione, e da quel punto in poi l’espansione dell’azienda è stata travolgente. Tra il 1987 ed il 2007 apre una media di due nuovi punti vendita al giorno, arrivando oggi a gestire 23.450 caffetterie in tutto il mondo, di cui oltre la metà nei soli Stati Uniti. Un successo che i fondatori, due professori ed uno scrittore, probabilmente nemmeno immaginavano quando aprirono la loro piccola caffetteria e le diedero un nome ispirato a quello del personaggio del vice-capitano nel romanzo “Moby Dick”: Starbuck.

Nella mappa sono evidenziati i paesi in cui è presente almeno una caffetteria del gruppo.

Wikipedia

Starbucks arriva in Europa nel 1998, in Gran Bretagna, ed ha oggi circa 1.500 punti vendita nel continente, un numero relativamente esiguo, imputabile secondo alcuni alla cultura del caffè molto diversa da quella americana presente nel vecchio continente. Forse per questo motivo la multinazionale ha tardato così tanto a sbarcare in Italia, nonostante Howard Schultz, rimase folgorato dai bar e dal caffè italiano durante un suo soggiorno a Milano nel 1983.

Secondo quanto dichiara in un intervista per il libro-inchiesta “Starbucks: il buono e il cattivo del caffè” scritto nel 2009 da Taylor Clark, fu proprio in quel momento che ebbe l’ispirazione che lo portò a trasformare la torrefazione in una catena, con l’intento di ricreare negli Stati Uniti l’autenticità del caffè italiano. Questa affermazione fa storcere il naso ai cultori del caffè e della cultura ad esso legato caratteristica del nostro paese, soprattutto per la mancanza di centralità della bevanda nei prodotti della multinazionale, famosa soprattutto per quelli a base di latte.

L’azienda è sempre stata attentissima alle proprie politiche d’immagine, passate per esempio per l’aver messo a disposizione il wi-fi gratuitamente nei propri negozi o attraverso la produzione musicale e di merchandising, ma questo non le ha impedito di vedersi rivolte aspre critiche.

Negli anni l’azenda è stata bersaglio di numerose accuse di comportamento anti-etico, che hanno riguardato per la maggior parte le politiche verso i fornitori di caffè. Fu in particolare nel 2006 che prese piede una grande campagna, che ricevette ben 70mila firme da parte degli stessi clienti del brand, che chiedeva all’azienda di smettere di impedire la registrazione di tre marchi di caffè da parte del governo Etiope, provvedmento che avrebbe fruttato 90 milioni di dollari all’anno ai produttori del paese.

Starbucks corse ai ripari per salvaguardare la propria immagine, integrando una rete di supporto per gli agricoltori dai quali si approvvigiona. Visto che diffidava del diffuso modello del commercio equo-solidale, però, preferì quello chiamato CAFE (Coffee And Farmer Equity), basato su aiuti in termini di mezzi tecnologici e forme di microcredito ai contadini poveri dei paesi in via di sviluppo.

La più violenta di tutte le accuse è comunque quella di operare una distruzione sistematica della diversità imprenditoriale locale nelle aree in cui il brand è presente, che porta spesso alla riduzione delle caffetterie indipendenti e a gestione familiare. Se si potrebbe obiettare che questo sia un processo normale quando si è in presenza di un marchio con politiche di marketing e di immagine di tale livello, ma la critica fa riferimento a politiche aziendali deliberate e discutibili.

Negli anni Starbucks fu accusata di aver volutamente fatto “cannibalizzare” tra di loro i propri negozi, aprendone un numero enorme in piccole aree. Per anni questa è stata dichiaratamente la strategia aziendale della catena e nel tempo ha garantito enormi benefici in termini di visibilità e acquisizione di partner pubblicitari, oltre che rivelarsi un’arma letale da utilizzare contro la concorrenza.

I negozi che invadevano le città quartiere dopo quartiere si facevano concorrenza l’un l’altro ma al contempo, sommando la clientela, attraevano la maggior parte del pubblico, causando spesso il fallimento o il trasferimento delle caffetterie locali. Poco importa infatti ad un colosso multimiliardario di mantenere aperti negozi in perdita, che possono anche essere chiusi più in là nel tempo, se questo gli vale la conquista del pubblico.

La notizia della prossima apertura ha riscosso un buon successo di pubblico, specialmente sul web, e fa ben sperare il magnate americano, che ha atteso per anni di trovare il modo più giusto per sbarcare in Italia. La conquista dei turisti del capoluogo possiamo darla per scontata, ma riusciràil caffè americano ad attrarre anche i milanesi?

Fonti e Approfondimenti

Tatlor Clark – Starbucks

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