La Crimea a due anni di distanza

@LoSpiegone

Il 16 Marzo 2016 è stato il secondo anniversario del referendum in Crimea che ha portato la regione ucraina a essere contesa tra la Russia e la stessa Ucraina, quest’ultima appoggiata soprattutto da forze internazionali quali gli USA e l’UE.
L’Occidente continua a ribadire le proprie posizioni anti-russe, imponendo sanzioni internazionali per le “azioni illegali” condotte dai militari russi in territorio ucraino,
mentre la Russia continua ad amministrare la regione come se fosse a tutti gli effetti un suo territorio. Ma andiamo con ordine.

Le aspirazioni di Mosca sulla Crimea hanno radici lontanissime, essendo il territorio fino al 1954 parte integrante dello stato. Tutt’oggi il 60% della popolazione del sud-est dell’Ucraina è russa o parla russo come prima lingua. Ma la penisola di Crimea è necessaria alla Russia sopratutto per questioni energetiche, affacciata sul Mar Nero, è infatti uno snodo centrale per il passaggio di gasdotti e oleodotti dalle coste russe a quelle europee.

Per prevenire queste “naturali” aspirazioni, la comunità internazionale ha incoraggiato le parti a stipulare nel 1994 un Memorandum (comunicazione scritta) che affermava la necessità di integrità dei confini ucraini e l’impossibilità di uso della forza se non in caso di autodifesa. Nel 1997 poi ci fu un Trattato tra la Russia e l’Ucraina per la cooperazione pacifica e la riaffermazione della sovranità di entrambi gli Stati e l’impossibilità di violare i confini. La costituzione dell’Ucraina inoltre prevede uno status speciale per la Crimea che però, si afferma esplicitamente, è territorio ucraino e inseparabile da Kiev.

Il 16 Marzo 2014 la Crimea è andata a votare ad un referendum sulla possibilità di autodeterminazione nel territorio nei confronti dell’Ucraina che poneva due quesiti ai suoi cittadini, i quali dovevano scegliere uno dei due quesiti a cui rispondere

Quesiti:

1.”Sei favorevole alla riunificazione della Repubblica Autonoma di Crimea con la Russia come parte costituente della Federazione Russa?”

2. “Sei favorevole a ripristinare la Costituzione della Repubblica di Crimea del 1992 e dello status della Crimea come parte dell’Ucraina?”

Secondo varie istituzioni internazionali il referendum, per essere accettabile, deve far esprimere il votante con un semplice “si” o “no“. Quello che il referendum in Crimea ammetteva era la scelta ulteriore della domanda a cui rispondere. Questo, per il diritto internazionale, non è ammissibile.

Inoltre l’ONU si espresse già nel 1960 riguardo all’autodeterminazione dei popoli affermando, attraverso la Dichiarazione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 14 dicembre 1960 (n. 1514) che “Tutti i popoli hanno il diritto all’autodeterminazione; in virtù di questo diritto essi determinano liberamente il loro status politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale […] Tutte le azioni armate o misure repressive di ogni genere con l’obiettivo di andare contro i popoli devono finire […] Ogni tentativo di raggiungere il parziale o totale cessazione dell’unità nazionale e l’integrità territoriale di uno Stato è incompatibile con gli obiettivi e i principi della Carta delle Nazioni Unite […] Tutti gli Stati devono rispettare il diritto di sovranità di tutti i popoli e la loro integrità territoriale”. Ed è questo il principio a cui la comunità internazionale si rifà quando la Russia cerca di far accettare il referendum in Crimea come affermazione della riunificazione territoriale tra la regione e la Russia. Questo stesso principio inoltre venne usato in passato dalla stessa Russia per la questione cecena, in quel caso, però , per determinare la sua sovranità su quel territorio.

A due anni da questo controverso referendum, Putin ha fatto visita in alcune città del territorio conteso e ha lanciato il progetto di un ponte di 19 km che dovrebbe collegare la Russia con la Crimea (dalla città di Kerč), proprio per ribadire con un’altra azione di imposizione la supremazia russa in territorio ucraino. L’opera dovrebbe costare circa $212 milioni e creare ulteriri appesantimenti di bilancio per la Russia che però sembra disposta a sacrificare circa il 9% del proprio PIL (stime dell’FMI) per questa opera, il cui primo progetto è del 1910, dello zar Nicola II. Probabilmente non è un caso che Putin stia rispolverando le radici del suo Stato.

 

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