Attentati suicidi: tra Martirio e Jihad

Dei veicoli in fiamme dopo degli attentati suicidi in Iraq
@Member of the 187th Infantry Regiment - Wikimedia Commons - License CC0 Public Domain

Nelle ultime settimane siamo tornati a sentire di attentati suicidi, precisamente in Belgio, in Pakistan e in Iraq. Ma l’Islam vieta severamente il suicidio dunque perché un islamico integralista compie atti di questo genere? Da quando questi attentati hanno incominciato ad apparire nella storia?

Il Corano è molto chiaro sul tema del suicidio: nella IV Sura, al versetto 29  si afferma che l’uomo non può togliersi la vita dato che la vita è di Allah. Questo è un divieto molto chiaro e preciso, che torna spesso nel Corano. Ma allora da cosa nasce la visione jihadista del martirio? 

Il “Grande Racconto del Martirio” nasce in campo islamico dal versante sciita. Il primo grande martire della storia islamica è sciita ed è l’Imam Hussein. La storia narra che Hussein, figlio di Ali e della figlia di Maometto, fu ucciso a Karbala mentre comandava un esercito che avrebbe dovuto sconfiggere i califfi sunniti. L’interpretazione dunque inizia con la metafora dell’uomo eroico e giusto (come solo un discente di Maometto poteva essere) che sacrifica la propria vita per cercare di difendere la sua religione.

Il martirio è dunque sempre stato tipico degli sciiti che, essendo solitamente più poveri rispetto ai sunniti, spesso erano privi di armi o grandi finanze e dunque cercavano nel numero e nella fede la loro forza. Nel novecento il martirio è scomparso dai radar della storia per riaffiorare nel 1979 con la Rivoluzione Iraniana.

Khomeini nel 1979, dopo aver rovesciato il governo dello Scià di Persia, voleva iniziare la sua espansione nel mondo islamico e incominciò a trasformare l’interpretazione islamica del Corano. La figura di Hussein fu modificata, a uso e consumo di Khomeini, che negò l’importanza del messaggio di pace e sottolineò invece come l’imam si era difeso fino alla morte e aveva portato con se nella tomba moltissimi soldati nemici. Il martirio dunque era diventato non più una scelta passiva, come invece è quella dei martiri cristiani, ma una scelta attiva, un’azione degna di gloria.

Nel clima di maggior fervore religioso della Rivoluzione Iraniana si arriva alla guerra tra Iran e Iraq del 1980, un evento che trasformerà l’Iran moderno nel paese dei martiri. Lo scontro è totalmente squilibrato, l’Iran non ha un esercito organizzato e per combattere l’esercito di Saddam Hussein, foraggiato dagli americani, non può che puntare sullo spirito rivoluzionario. Khomeini istituisce dunque il corpo dei Bassidjis, formato da bambini e ragazzi dai 10 ai 17 anni che camminavano sulle mine degli iracheni e attaccavano a mani nude le postazioni e le trincee (con in mano solo una chiave di ferro per aprire le porte del Paradiso). Questo era l’esercito di martiri che l’ Imam aveva bisogno per guidare la credenza popolare e per catapultare ancora di più il popolo iraniano nella fede cieca. Con un conto di centinaia di migliaia di martiri l’Iran vinse la sua guerra contro l’Iraq in nome di Allah e del suo Imam, permettendo a Khomeini di aspirare a essere la guida dell’Islam.

Dopo il martirio volontario nel nome della rivoluzione, il messaggio però si modificò e, attraverso il khomeinismo, arrivò in Libano nella retorica di Hezbollah (Il partito di Dio). Il Libano era sottoposto all’ invasione Israeliana, tenuta a bada da forze francesi e americane. La popolazione era sottomessa e a stento trovava la forza di combattere e di sopravvivere. In questo clima il Grande Racconto del Martirio fa il salto di qualità che lo porta a prendere quei caratteri che adesso ci spaventano e conosciamo. L’11 novembre 1982 Ahmed Kassir, chiamato il “pionere dei martiri”, si fa esplodere nel quartier generale degli israeliani a Tiro provocando 72 morti. Il primo vero attentato suicida che contribuì a portare lo scontro su un nuovo livello.

Hezbollah ha costruito la sua immagine sugli attentati suicidi nella resistenza all’invasore e riesce a fare risultati costringendo Israele, Francia e Stati Uniti a ritirarsi. Hezbollah opponendosi al nemico con i suoi martiri riesce a travalicare per la prima volta il limes interno all’Islam tra sunniti e sciiti. L’unica differenza che rimarrà sempre tra i due universi sarà l’obbiettivo: per gli sciiti nessuna morte di civili potrà essere giustificata mentre i sunniti non avranno questa remora.

A recepire il messaggio è Hamas, braccio armato dei fratelli Musulmani nel quadrante palestinese. Dopo la sconfitta della Seconda Intifada, i palestinesi capiscono che qualcosa deve cambiare nello scontro con Israele, le tecniche di guerriglia armata modello OLP di Arafat non funzionano più. Hamas impara la lezione di Hezbollah e lancia le sue prime operazioni martirio in cui vengono colpiti numerose colonie. All’inizio i militanti non sono pronti e le esplosioni non hanno effetti, molti sono coloro che non riesco a farsi esplodere e molti coloro che non fanno altre vittime, oltre a se stessi. Successivamente arriveranno le bombe sugli autobus a Gerusalemme e altri terribili attentati.

Il dilemma però in campo sunnita portò a una grande discussione sulla materia. Le grandi guide dell’Islam sunnita (in particolare salafiti e wahabiti) condannarono duramente gli attacchi suicidi perchè andavano contro la IV Sura del Corano in cui si proibiva il suicidio. Ma non tutti furono contrari e due voci si alzarono a favore degli attentati suicidi. Lo sceicco Tantawi, guida spirituale dell’università Al Azhar del Cairo, si disse favorevole in quanto erano l’unica arma di lotta contro l’invasore e anzi erano un grande esempio di Jihad. La seconda voce fu lo sceicco Al Qardhawi, noto esponente di Al Jazeera, che si esporrà a favore di questi atti nel caso dei palestinesi ma poi li condannerà dopo l’11 settembre.

Al Qaeda trarrà da questi gesti e da questo sviluppo tutte le sue armi e le sue giustificazioni, a partire dai primi attentati terroristici in Africa fino ad arrivare al terribile 11 settembre 2001. Nonostante gran parte del mondo islamico si distanziò dal gesto ci furono anche (atroci) manifestazioni di giubilo. Al Qaeda riuscì a raccogliere il testimone del Martirio per la fede. Riuscì a trasformarlo in un’arma giustificando ogni morte civile in una lotta contro i crociati e il popolo ebreo. Al Qaeda, ISIS e Boko-Haram hanno portato la barbarie a nuovi livelli coinvolgendo donne e bambini negli attentati, dato che spesso è più facile per loro avvicinarsi agli obbiettivi.

Gli attentatori suicidi di Bruxelles, del Pakistan, delle Torri Gemelle e di tutti gli altri luoghi che sono stati colpiti hanno visto in quel gesto un atto di guerra verso un popolo che gli è stato insegnato essere formato di crociati. Nell’articolo ho parlato di “Racconto del Martirio” perché questa non è la realtà, questa è un interpretazione che giustifica atti criminali in nome di un qualche Dio. I bambini dell’Iran, i giovani martiri di Hezbollah e tutti gli altri kamikaze sono vittime. La maggior parte di loro sono uomini e donne radicalizzati grazie al loro basso livello di educazione o alla particolare situazione di povertà o di disagio psicologico che affrontano.

 

Fonti e approfondimenti

1) CSIS, Lana Baydas, A Panoramic Gender Lens to Fight Terrorism and Counter Violent Extremism, marzo 2016.

 

 

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