Paradisi fiscali: viaggio nell’offshore

Dopo lo scandalo dei cosiddetti Panama Papers, facciamo chiarezza sui famigerati paradisi fiscali (tax havens).

Secondo il report dell’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo) del 1998, definiamo paradiso fiscale quello Stato o quel territorio fiscalmente sovrano che offre agli investitori un ambiente senza tassazione o con una tassazione solo nominale che viene normalmente accompagnata da una riduzione della regolamentazione o dei vincoli amministrativi. Altra particolarità che un paradiso fiscale offre è la riservatezza sui dati e sulle attività finanziarie dei clienti (segreto bancario).

Per identificare un territorio definito come paradiso fiscale, secondo il report dell’ Ocse devono concorrere quattro elementi:

  • Tassazione nulla o solo nominale che offre, o fa percepire di offrire, un luogo dove i non residenti possono eludere le tasse del proprio Paese. (Ricordiamo che l’elusione della tassazione non è illegale: chi elude sfrutta debolezze o/e falle nella regolamentazione fiscale del proprio Paese).
  • Mancanza di un efficace scambio di informazioni: le leggi o le pratiche amministrative del paradiso fiscale non permettono lo scambio di rilevanti informazioni con altri governi sui contribuenti che beneficiano della bassa o nulla tassazione (questo è uno dei motivi per cui si ritiene che la criminalità organizzata tragga forti vantaggi da queste giurisdizioni, in quanto è molto difficile risalire ai veri proprietari di conti o società) .
  • Mancanza di trasparenza sulle disposizioni legislative, legali o amministrative.
  • Assenza di attività effettiva: la mancanza di un requisito che permetta di definire le attività dei titolari delle società o dei depositi bancari come effettive è molto importante perché significherebbe che la giurisdizione del Paese sta tentando di attrarre investimenti o pagamenti con il solo scopo di offrire benefici fiscali.

Dal 2000 l’Ocse stila una “lista nera” dove vengono inseriti tutti quei Paesi che non rispecchiano gli accordi internazionali in materia di trasparenza e scambio di informazioni.

Sono definiti, invece, Regimi Fiscali Agevolati, quei territori che, pur applicando un’imposizione fiscale ordinaria, offrono vantaggi legislativi e/o amministrativi – ridotta imposizione fiscale – ad alcuni soggetti o a determinate categorie di redditi.

Si tratta di Stati che possono anche essere membri OCSE, e che aggiungono a quanto appena detto una mancanza di trasparenza del regime agevolato.

In generale ci sono due modi di usare i paradisi fiscali per ridurre le tasse complessive dell’impresa: il primo modo è la migrazione aziendale, il secondo avviene tramite la creazione di filiali in paradisi fiscali.

La migrazione aziendale è l’opzione più semplice, una società trasferisce la sua sede in un paradiso fiscale offshore o in una giurisdizione favorevole.
Ciò può essere compiuto attraverso un trasferimento totale o parziale delle attività dell’impresa (in questo secondo caso si pensi ai call center che sono trasferiti all’estero). La riduzione delle tasse e il conseguente risparmio fiscale si ottiene poiché in molti paradisi fiscali le imprese non devono pagare le tasse sui profitti offshore, ossia su quelli realizzati in altri Paesi. E’ pertanto conveniente trasferire la sede in uno di questi luoghi poiché le attività che generano profitti all’estero, essendo tassate secondo la regolamentazione fiscale di questi Paesi, consentono sostanzialmente un profitto netto, o al massimo il pagamento di somme irrisorie.

L’uso di filiali nei paradisi fiscali è in genere appannaggio delle grandi multinazionali che, operando in molti Paesi, mettono in salvo i propri profitti diversificando le proprie sedi (chiaramente le filiali sono tutte collocate in Paesi con bassa o nulla tassazione).

Questo comportamento ha avuto molta risonanza grazie al caso Enron (multinazionale statunitense operante nel campo dell’energia), che ne aveva un numero imprecisato: si parlava di oltre 800 società offshore di cui 692 alle isole Cayman, 119 alle isole Turks e Caicos, 43 alle Mauritius ed infine 8 alle Bermuda. In questo modo, la Enron riuscì ad evadere una parte considerevole delle sue tasse e a gonfiare i profitti, mantenendo così stabile il valore delle sue azioni anche nei periodi di crisi. L’episodio più significativo avvenne nel 2000, quando una tassa di 112 milioni di dollari si trasformò in un credito di 278 milioni.

Più di 350 multinazionali utilizzano i benefici dei paradisi fiscali. Gli esempi più illustri sono Google, Facebook, Apple, SkypePepsi, Starbucks, Vodafone, Walt Disney, ma anche Mondadori, Armani, Pirelli.

E’ bene sottolineare come i benefici derivanti dai paradisi fiscali non siano solo appannaggio delle multinazionali o delle grandi imprese: anche un singolo individuo può aprire conti o società offshore legalmente. Queste ultime in particolare consentono di intestare qualsiasi bene (case, macchine, gioielli, dipinti ecc..) ad una società di comodo (con sede in un paradiso fiscale) creata ad hoc: in questo modo, il reale proprietario non risulterà alle autorità fiscali come intestatario di tali beni e, pertanto, non dovrà pagare le tasse su di essi. Non a caso, la maggior parte dell’utilizzo di società offshore concerne o la creazione di holding o la tutela patrimoniale, attività entrambe non legate alla produzione di beni o servizi, ma alla tutela di patrimoni statici.

Quando diventa illegale possedere conti, società o partecipazioni in società offshore?

Nel caso dei cittadini italiani, diventa illegale se non lo si comunica alle autorità fiscali: in pratica se non lo si inserisce nella dichiarazione dei redditi. Più in generale, la legalità comportamentale delle società offshore va vagliata alla luce delle normative italiane ed internazionali. La società offshore, non deve essere usata come uno strumento (illegale) per non pagare le imposte dovute e dunque evadere le tasse del Paese di residenza.
O si risiede e si lavora nella giurisdizione offshore (dove nella maggior parte dei casi non è possibile operare) o si pagano le tasse nella nazione in cui si risiede e dove viene espletata l’attività lavorativa, ogni altra interpretazione è falsa e non corretta secondo le leggi vigenti.

Chi evade lo fa a scapito di tutta la collettività. Si utilizzano i servizi offerti dallo Stato grazie alla fiscalità generale ma da essa ci si sottrae: è un furto con scasso.

 

Fonti e approfondimenti

http://www.theguardian.com/business/2015/jun/19/tax-havens-money-cayman-islands-jersey-offshore-accounts

http://espresso.repubblica.it/inchieste/2016/04/04/news/panama-papers-10-cose-da-sapere-sulla-piu-grande-fuga-di-notizie-di-tutti-i-tempi-1.256879

http://paradisifiscaliltd.com/category/strategie-offshore/

http://societaoffshore.org/paradisi-fiscali

http://www.avvocatobertaggia.org/2013-12-08-18-16-13/domande-frequenti-faq/item/41-societa-offshore-e-legale.html

Leave a comment

Your email address will not be published.


*