L’addio della sinistra in Sudamerica

Un murales sulla fine della sinistra in America Latina
@Borja García de Sola Fernández - Flickr.com - License CC BY 2.0

Negli ultimi mesi abbiamo mosso insieme a voi i nostri  passi nel continente sudamericano per capire quali dinamiche politiche si sviluppano e a quali risultati hanno portato. Il continente è stato governato negli ultimi 10 anni da amministrazioni di sinistra, con politiche pubbliche di sinistra e leader di sinistra. Questi progetti sembrano falliti o si stanno incamminando sulla strada del fallimento.

Uno dopo l’altro i governi socialisti sudamericani cadono o sono messi alle strette.  Presidenti, un tempo acclamati, vengono attaccati su tutti i fronti, l’opposizione si organizza e agisce in modo feroce sia per strada che nei palazzi del potere.

In Brasile è stato destituito il presidente Rousseff eletto da 54 milioni di cittadini, sostituito da una élite che vuole riportare il paese ai livelli degli anni ’80. Il 9 giugno in Venezuela il Consiglio Nazionale Elettorale, dopo un mese d’attesa, ha convalidato le firme raccolte per un referendum che potrebbe togliere al presidente Maduro la sua carica e consegnare il paese nelle mani delle forze politiche che dominano il parlamento. In Argentina la sinistra guidata da Cristina Kirchner è stata letteralmente spodestata da Mauricio Macri, suo sfidante liberale che porta una rottura con il passato regime politico peronista ma soprattutto economico del paese.

Per capire perché la sinistra sta soccombendo bisogna guardare proprio alle contraddizioni nate nel “decennio d’oro” dei governi della sinistra sudamericana. Dall’inizio del millennio fino, ed oltre, allo scoppio della crisi mondiale questi governi hanno avuto accesso a enormi possibilità di sviluppo, il petrolio, il gas e le materie prime hanno letteralmente retto la spesa pubblica.

Il forte interventismo e la nazionalizzazione dei settori chiave dell’economia ha caratterizzato decenni di politiche pubbliche come quella di Lula e Rousseff in Brasile o di Chavez e poi Maduro in Venezuela. Veri e propri interventi mirati a venire in contro a quella parte della popolazione, o meglio quella grandissima parte, che nel continente vive sotto la soglia di povertà. La Bolsa Familia ne è un esempio, nata nel 2006 dopo la vittoria di Lula, è stato il punto forte della sua politica di welfare, strappando dalla povertà circa 40 milioni di cittadini. Sia in Brasile che in Venezuela il petrolio ha garantito per anni queste politiche, alimentando le spese enormi dei governi sudamericani.

Dopo anni di consenso costruito sul benessere garantito dall’ estrazione di greggio è bastato il crollo del prezzo a rendere vani i risultati ottenuti. Insieme al crollo del benessere è venuto a galla l’enorme buco nero della corruzione, dei proventi di aziende statali come Petrobras utilizzati per finanziare i partiti di sinistra. La fedeltà dei cittadini ai partiti che raggiungevano cifre elettorali considerevoli è crollata insieme al prezzo del petrolio e delle materie prime. L’economia di questi paesi troppo legata all’andamento dei prezzi di pochi beni si è legata inesorabilmente al flusso globale dell’economia.

Oggi in molte nazioni sudamericane cresce il sentimento del disprezzo verso la classe politica, la corruzione ha eroso lentamente ed inesorabilmente la base su cui si reggevano i governi di sinistra. A succedere a queste amministrazioni è arrivata una classe politica scaltra, non legata all’elettorato ma formata da “notabili”. Le scelte di amministrazioni come quella di Temer in Brasile danno al mondo il chiaro messaggio di voler rimettere in ordine i conti pubblici, anche a costo di eliminare i risultati raggiunti in campo sociale.

La sinistra ha tradito i suoi ideali fondamentali, tra questi la deriva peronista. Nata in  Argentina sotto Juan Domingo Peron, caratterizzata da capisaldi come la giustizia sociale e l’indipendenza sia attiva che passiva in politica estera e interna.

Il fallimento di questo “socialismo nazionale” sudamericano è stato graduale ed ha portato a una mancanza di fiducia nella classe politica, rimettendo alla giustizia sempre maggiori spazi di decisione. La forte dipendenza dall’economia mondiale è stata spesso mascherata dalla nazionalizzazione, ma è proprio allo stato allora da imputare le molte colpe riguardo la crisi attuale, il rallentamento dell’economia Cinese ha bloccato i finanziamenti a paesi come il Venezuela che erano economicamente dipendenti.

Il ritiro della “marea rosa” nata nei primi anni del XXI secolo è dunque evidente, il continente che ha dato vita ad una autoctona classe dirigente di sinistra nata durante le dittature e arrivata al potere dal 2000 sta abbandonando questa strada, sempre più aperto a influenze esterne, quasi obbligato per certi aspetti a sottostare alle naturali leggi dell’economia, come in Venezuela dove l’altissima inflazione obbligherà il governo ad aprire ai privati per non soccombere alla carenza di generi di prima necessità.

Tra le cause della fine della sinistra potremmo aggiungere anche la mancanza di un radicamento di questa nel territorio, di fatto la morte dei partiti socialisti è venuta immediatamente dopo l’uscita di scena di alcuni leader storici, lasciando ai loro successori il paese e le difficoltà all’orizzonte. Cosi Rousseff dopo Lula, Maduro dopo Chavez, Cristina Kirchner dopo suo marito. Il primo punto che la sinistra dovrà affrontare per rimettersi in piedi sarà sicuramente quello di una ridefinizione del ruolo del partito rispetto a quello del leader.

Dall’altro lato le forze liberali e di destra che si accingono a guidare la fase di transizione non potranno basarsi solo ed esclusivamente sulla sfiducia dei cittadini verso la sinistra. Rappresentanti di una classe sociale agiata, bianchi e spregiudicati. I governi di destra potrebbero perdere la loro spinta propulsiva (generata dalla sfiducia verso la politica tradizionale) e ritornare nella loro dimensione naturale di minoranza.

Le scelte che la destra farà in questo momento di rivalsa non saranno per sempre accettate dai cittadini sudamericani, abituati a una politica ben diversa.

E’ un addio o un arrivederci? Per certi versi il caos in cui versa la sinistra sudamericana rappresenta un momento in cui fare delle scelte e reinventarsi per i prossimi anni. Cuba ha scelto un passaggio graduale, il Brasile e il Venezuela si sono gettati in un salto cieco verso l’ignoto. Qualunque sarà la strategia da adottare, la sinistra sudamericana dovrà fare pace con se stessa durante i prossimi anni di governi liberali (o peggio), per tornare con nuovi programmi, nuove idee, nuovi volti che sappiano riprendersi l’elettorato che gli è stato rubato.

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