Finanza etica: investire per lo sviluppo

Cosa ci domandiamo nel momento in cui, entrando in un negozio di scarpe, siamo intenzionati ad acquistarne un paio?

Molti di noi risponderanno a questa domanda tenendo conto, orientativamente, degli stessi fattori: il budget disponibile, il modello (in base alle finalità: sportive piuttosto che formali), la tipologia del tessuto (in base alla stagione), l’estetica della scarpa ed infine la sua comodità.

Una minoranza tenderà, invece, a considerare altri fattori ponendosi dei quesiti: in quali condizioni lavorano i dipendenti che producono queste scarpe? Quanto effettivamente questa azienda garantisce loro una paga adeguata? La produzione di questa industria può avere un impatto ambientale?

Le scelte del consumatore sono molto spesso vuote di contenuti etici: si acquista ciò che più conviene o, ancor più semplicemente, ciò che più piace.

Immaginate ora di essere un investitore ed avere a disposizione un capitale sufficiente per acquistare un sostanzioso pacchetto di azioni.
Restiamo nel mercato delle scarpe limitando però la scelta a due diverse aziende: la prima ci offre il 5 % di rendita sul nostro investimento, la seconda il 2,5 %. Proprio come nel caso del consumatore, l’investitore è solito acquistare il pacchetto di azioni che più gli conviene senza porsi quesiti se non quelli riguardanti la rendita dell’investimento.

In alcuni casi gli investitori hanno l’esigenza di acquisire informazioni sull’uso e sulla destinazione dei propri risparmi, valutando, aldilà del rendimento, se il proprio investimento è coerente con la propria etica.

Per finanza etica si intende proprio l’utilizzo del denaro come mezzo (per il raggiungimento di obiettivi legati a valori etici e morali) e non come scopo (per la speculazione).

Negli Stati Uniti degli anni ’20 alcuni investitori, spinti da valori religiosi, decisero di non acquistare azioni di grandi aziende produttrici di armi, tabacco, pornografia ed alcool poiché in contrasto con i precetti della loro fede. Negli anni ’80, con la nascita dei movimenti ambientalisti e pacifisti, l’attenzione degli investitori si allargò anche sul rispetto dei diritti umani e la conformità con le norme ambientali.

La ricerca dell’equità sociale,  il miglioramento del benessere delle classi più bisognose, il rispetto dei diritti umani e della sostenibilità ambientale sono alcuni dei valori etici più condivisi dagli investitori che mirano a compiere scelte che vanno aldilà dell’entità del ritorno economico.

I destinatari dei cosiddetti “investimenti eticamente orientati” possono essere governi (purché investano in attività etiche) o singoli produttori (ad esempio artigiani e coltivatori di paesi sottosviluppati).

Dagli anni ’20 ad oggi si sono moltiplicati gli istituti finanziari che offrono fondi per scopi etici, fondamentale in questo senso la nascita della Grameen Bank in Bangladesh. Il microcredito è considerato uno strumento per lo sviluppo economico ed è un esempio di investimento eticamente orientato: alle garanzie economiche del soggetto viene anteposto il rapporto di fiducia tra l’erogatore e il ricevente.

E’ necessario altresì precisare due punti:

1- Quando si parla di finanza etica, non si parla di beneficenza: seppur l’intento dell’investitore non è quello di speculare, percepisce comunque un guadagno dall’investimento compiuto.

2- Non esiste una definizione universale di “finanza etica”. Il vocabolo etico in sé implica una componente soggettiva (es. l’etica cristiana differisce da quella islamica) e per questo si possono classificare con certezza come investimenti etici quelli che mirano a sovvenzionare attività che garantiscono i diritti ambientali ed umanitari.

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