TPP: l’eredità di Obama in Asia

Una foto dei leader del tpp, il Trans-Pacific Strategic Economic Partnership Agreement
@GobiernodeChile - flickr.com - License CC BY 2.0

Dopo quasi cinque anni di colloqui difficili e sostenuti, il 5 ottobre del 2015, 12 Paesi del Pacifico hanno messo a punto il testo della Trans-Pacific Partnership (TPP), un accordo di libero scambio che ha il potenziale per cambiare il volto del commercio globale. Il TPP comprende il 40% dell’economia globale e un quarto del suo commercio. I 12 paesi membri sono Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Stati Uniti, e Vietnam. Il 4 febbraio 2016 il partenariato è stato firmato a Auckland, Nuova Zelanda. A meno di un anno dalla firma del trattato, Il TPP ha ancora il potenziale per diventare il più grande successo della politica estera del Presidente Obama, almeno alla pari con l’affare Iran, l’apertura di Cuba, e la transizione traspirante in Myanmar che gli Stati Uniti hanno sostenuto.

Si stima che il TPP porterà a zero oltre 18.000 tariffe doganali. In realtà, ancora  più importanti sono le norme minime per la protezione della proprietà intellettuale, dei lavoratori e dell’ambiente. Tutte le parti saranno costretti a seguire i principi di base dell’Organizzazione internazionale del lavoro sui diritti dei lavoratori, per esempio.

Per Barack Obama, il TPP rappresenta uno dei più riusciti banchi di prova della strategia Pivot to Asia della sua amministrazione. Essa mostra il continuo impegno degli Stati Uniti nella regione, e la sua mancanza di volontà di cedere il primato alla Cina. Il successo della Cina nel reclutare alleati americani come membri fondatori della Asian Investment Bank all’inizio di quest’anno sembra aver spinto l’America a raddoppiare gli sforzi per il TPP. Shinzo Abe, il primo ministro del Giappone, vede nel TPP la possibilità di aiutare la “terza freccia” del suo piano per la rivitalizzazione economica a colpire nel segno.Il premier giapponese si augura che la promessa di un maggiore accesso ai mercati per gli esportatori giapponesi, in un momento in cui lo yen è relativamente debole, genererà una crescita economica più rapida. In particolare, da una parte il TPP dovrebbe incrementare gli scambi tra America e Giappone, una notizia non da poco visto che sono tra le economie più potenti del mondo.

 Dall’altra parte gli altri  ricchi membri come Australia, Canada, Nuova Zelanda, hanno comunque combattuto per ottenere concessioni dall’America, specificamente possiamo riassumerli in tre punti:

  1. L’Australia è riuscita a tagliare il periodo di protezione del copyright  che l’America ha richiesto per i farmaci testati su esseri viventi da 12 anni a 8 anni;
  2. il Canada ha conservato il suo sistema di quote per i vari prodotti agricoli, consentendo una limitazione soltanto per le importazioni duty-free;
  3. la Nuova Zelanda è riuscita a ottenere un maggiore accesso per le sue esportazioni lattiero-caseari.

Le implicazioni dell’accordo non sono ancora noti, tuttavia, dal momento che il TPP è stato negoziato sotto una spessa coltre di segretezza, per rendere più facile per i firmatari offrire concessioni senza essere messo alla berlina in casa. Questa scelta, però, ha alimentato le preoccupazioni dei gruppi industriali su entrambi i lati del Pacifico.

Affinché il TPP possa decollare, esso deve essere aperto ad altri paesi, tra cui la Corea del Sud, ma soprattutto la Cina. Questa cosiddetta “architettura aperta” era necessaria per il sostegno al TPP senza preoccuparsi dell’ esclusione momentanea della Cina, o forzare gli altri paesi a scegliere tra “la Cina e l’Occidente”. Le sezioni del TPP relative a imprese statali, appalti pubblici e le norme sul lavoro, tra cui i sindacati, sono di particolare rilevanza per l’economia cinese. Il mondo ideale sarebbe la Cina inclusa nel TPP, tessendo quindi insieme la regione verso un futuro e una prosperità condivisa.

Molte delle potenze economiche del Sudest asiatico, le cosiddette “tigri”, hanno beneficiato in passato delle politiche protezionistiche e a tariffe elevate riducendo la concorrenza straniera. Vietnam e Malesia, in particolare, mantengono alcune delle tariffe più elevate del mondo e le barriere non tariffarie (NTB) contro le imprese straniere. Allora, perché queste economie vogliono aprire le loro porte al TPP?

Nel 2012, il Vietnam ha esportato in abbigliamento quasi $7 miliardi (£4,2 miliardi) negli Stati Uniti, che ha rappresentato il 34% delle importazioni di abbigliamento degli Stati Uniti. Il Vietnam ha esportato anche un valore pari a $2,4 miliardi in calzature. Il TPP permetterà al Vietnam di esportare abbigliamento negli Stati Uniti a un tasso tariffario 0%, che renderà le esportazioni vietnamite ancora più competitive. Tuttavia, il Partito Comunista del Vietnam (CPV) dovrà rafforzare i diritti dei lavoratori, al fine di soddisfare i criteri TPP.  Vinatex, un produttore tessile di proprietà dello Stato, produce il 40% di abbigliamento vietnamita e il 60% di tutti i tessuti. Alcuni esperti sostengono  che l’adesione al TPP costringerà il governo del Vietnam a continuare le riforme politiche ed economiche fondamentali concedendo ad operai vietnamita libertà di associazione e il diritto di formare  sindacati. La graduale eliminazione di tariffe elevate esporrà le industrie nazionali a una maggiore concorrenza da parte degli investitori esteri, ma alla fine queste riforme strutturali rafforzerà l’economia del Vietnam e promuoverà l’innovazione nelle imprese locali.

La Malesia ha sicuramente molto da ottenere, ma dovrà cambiare rotta, sopratutto sui diritti umani. Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha declassato la Malesia da Livello 2 al Livello 3, il peggiore, sulla tratta di esseri umani ( Trafficking in Persons (TIP) Report) in base alle relazione dello scorso anno. Kuala Lumpur ha promesse che il paese avrebbe fatto seri sforzi per combattere il traffico di esseri umani. Nonostante ciò, le cose sono peggiorate. Gli standard del TPP potrebbero costringere la Malesia a osservare le norme globali dei diritti umani e migliorare le condizioni di lavoro e lo Stato di diritto. Attualmente, il livello 3 della Malesia mette a repentaglio l’accordo commerciale. Mentre la Casa Bianca potrebbe semplicemente esercitare il potere esecutivo di ripristinare lo Stato della Malesia al Livello 2, una disposizione all’ultimo minuto nella legislazione del TPP  ha lo scopo di ritenere non idonea la Malesia se non fa miglioramenti sul traffico di esseri umani. Alla fine, Washington ha riportato al livello 2 la Malesia, per permettere a Kuala Lumpur di firmare il trattato. Gli indici TIP  sono fondamentali per la riuscita della partnership, dal momento che una parte del trattato riguarda proprio i diritti umani e civili.

L’economia di Singapore è forse la più dipendente dal TPP. Mentre Singapore ha già accordi di libero scambio (FTA) con gli Stati Uniti, Giappone, Australia, Nuova Zelanda e Perù (tutti membri del TPP), il suo mercato dipende dal commercio marittimo e dalla sicurezza, dall lavoro soprattutto transfrontaliero, dai beni e servizi di scambio con la Malesia, con il quale condivide una frontiera terrestre, e dagli scambi attraverso lo stretto con l’Indonesia. Lo Stretto di Malacca, un passaggio marittimo stretto tra la Malesia, Singapore e Indonesia, fanno del porto di Singapore un key point economico e strategico di vitale importanza per le importazioni di petrolio del Medio Oriente che scorre verso le grandi economie di Cina e in Asia orientale, così come un importante centro per le esportazioni internazionali.

Non lontano, a nord dell’Indonesia, il piccolo paese del Brunei ha recentemente introdotto le leggi islamiche per regolare i (non) diritti degli omosessuali e la gravidanza al di fuori del matrimonio. Gli Stati Uniti hanno dichiarato che condizione necessaria per l’adesione del  Brunei al TPP sarà quella di  affrontare queste violazioni dei diritti umani. Resta da vedere se i negoziatori esercitano abbastanza influenza per convincere il governo del Brunei di abrogare leggi repressive in vista di un accordo finale. Il Brunei è la più piccola economia delle 12 nazioni nei colloqui (il PIL nominale è stato di $16.11 miliardi di dollari nel 2013, secondo la Banca Mondiale) e questo lo porta a essere un paese con uno debole potere contrattuale.

Il governo degli Stati Uniti ha sostenuto la Trans-Pacific Partnership come “l’ accordo commerciale del 21° secolo”,  che fisserà standard elevati per il commercio internazionale, la tutela dell’ambiente, del lavoro e dei diritti umani nel mondo. Il TPP è l’occasione per far avanzare le riforme progressiste in Sudest asiatico facendo in modo che i benefici dello status commerciale preferenziale siano contingenti alle garanzie interne di libertà di associazione, alle forti protezioni ambientali e  agli alti standard di lavoro.

Lo scenario internazionale è reso particolarmente incerto dai propositi in politica estera manifestati dai candidati alla Casa Bianca. Donald Trump ha ripetutamente affermato che intende abbandonare al loro destino gli alleati “free riders”, come Giappone e Corea del Sud i quali dovrebbero, invece, sviluppare un proprio arsenale nucleare. Se Hillary Clinton sembra assicurare una maggiore continuità, è certo un tema di riflessione che la Cina, pur guardinga e diffidente, veda coincidere i propri interessi con le dichiarazioni di Trump. Senza dire che, chiunque vinca a novembre, dovrà comunque fare i conti con le pulsioni protezionistiche che vengono dal cuore dell’America e che mettono a rischio l’accordo di Trans-Pacific Partnership con il Giappone e 10 altri paesi firmatari. Questi segnali contrastanti possono far degenerare situazioni regionali non adeguatamente valutate da Obama come Pyongyang che, protetta dalla Cina, minaccia con i suoi missili Corea del Sud e Giappone. La Pax Americana ha assicurato scambi e investimenti che hanno alimentato la crescente prosperità in questi paesi. Ma la neutralizzazione della Corea del Nord o il rafforzamento dei sistemi di difesa missilistica in Corea del Sud e Giappone, senza l’acquiescenza di Pechino, rischia di mettere a serio repentaglio quanto realizzato, sotto l’ombrello americano, dai partner degli Usa in Asia negli ultimi decenni.

 

Fonti e Approfondimenti:

https://ustr.gov/tpp/#what-is-tpp

https://ustr.gov/trade-agreements/free-trade-agreements/trans-pacific-partnership/tpp-full-text

http://thediplomat.com/2015/07/what-the-trans-pacific-partnership-means-for-southeast-asia/

http://thediplomat.com/2015/10/trans-pacific-partnership-prospects-and-challenges/

http://www.worldbank.org/en/news/press-release/2015/10/05/statement-on-the-trans-pacific-partnership-tpp-agreement

http://www.economist.com/blogs/graphicdetail/2015/10/global-trade-graphics

http://www.economist.com/news/finance-economics/21671151-tpp-now-faces-hard-road-passage-national-legislatures-twelve-countries-strike-ambitious

https://www.state.gov/j/tip/rls/tiprpt/

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