Haiti non smette di tremare

Sono passati 6 anni dal terremoto che nel 2010 colpì Haiti, ma oggi la situazione non è cambiata. Gli ospedali, le scuole e le vie di comunicazione sono in larghissima parte inagibili ed è ancora difficile portare soccorso alle zone remote più colpite. Non solo le infrastrutture mostrano i segni del sisma, le crepe più vistose restano anche sulle istituzioni, sul governo del paese e sul suo sistema democratico.

La difficile gestione di un paese distrutto, all’alba del terremoto, si è innestata su un sistema politico poco efficiente, per il quale sarebbe stato difficile fronteggiare difficoltà  anche minori. Un governo inefficiente, l’interferenza di attori internazionali e la storia stessa del paese alimentano oggi la difficile situazione in cui vive Haiti, detenendo il triste record di paese più povero delle Americhe.

Haiti porta sulle sue spalle l’enorme costo dell’indipendenza, raggiunta nel 1804 dalla Francia. Il riconoscimento francese dell’indipendenza haitiana avvenne nel 1825, quando Carlo X inviò 9 navi da guerra e  “convinse” il presidente Boyer ad accettare i 150 milioni di franchi di indennità per l’indipendenza. Haiti riuscì a liberarsi di questo enorme peso solo nel 1947. Nel 2003 una commissione del governo haitiano richiese la restituzione della somma, calcolata intorno ai 21 miliardi di dollari, la quale fu prontamente bocciata dal governo francese nel 2004. Il presidente Sarkozy in visita ad Haiti nel 2010 venne accolto da enormi manifestazioni che richiedevano la restituzione del debito, il risarcimento dell’occupazione coloniale e soprattutto il rientro in patria dell’ex presidente Jean-Bertrand Aristide.

Le tensioni tra Haiti e la Francia trovano ragione nella dinamica storica del paese. Numerose altre pressioni sono dovute alla richiesta che Aristide torni in patria. Questa faccenda ci fa tornare al 2004, anno in cui il presidente fu obbligato a lasciare il Paese.

Aristide è stato il primo presidente liberamente eletto dopo la dittatura. Il suo primo mandato durò meno di un anno, da febbraio a settembre 1991. Un colpo di stato militare pose fine al suo mandato, grazie alle pressioni statunitensi. Questi furono spinti da forti mobilitazioni delle comunità haitiane negli U.S. e dal timore che il regime militare accrescesse i suoi rapporti con narcotrafficanti. Riuscirono a far crollare il regime militare instauratosi, facendo in modo che il potere tornasse al legittimo presidente eletto. Aristide tornò nel 1994 e servì il paese fino al 1996.

Nel 2000 Aristide e il suo partito “Fanmi Lavalas” vinsero le elezioni legislative e le successive elezioni presidenziali. La vittoria fu tuttavia contrastata e delegittimata sia dall’interno che dall’esterno. Tra le critiche mosse al partito del presidente le più importanti riguardavano il controllo esercitato dal partito sulla commissione elettorale. È stato provato infatti che sarebbe stato attribuito un numero maggiore di seggi al presidente sottraendone a vari piccoli partiti.Fu contestata la vittoria assegnata al primo turno, senza passare per il secondo turno delle legislative. Le successive elezioni presidenziali furono vinte da Aristide, pur essendo boicottate dall’opposizione in risposta ai brogli operati da Fanmi Lavalas durante le legislative. Con il 91% dei voti, e una affluenza alle urne incerta, Aristide tornò alla presidenza nel 2001.

Nonostante l’implementazione nel suo secondo mandato di necessarie misure come l’accesso all’acqua potabile e l’ammodernamento sanitario, Aristide non riuscì a far ripartire l’economia di Haiti. L’arrivo a Washington dell’amministrazione Bush portò inoltre ad un raffreddamento dei rapporti precedentemente consolidati con l’amministrazione Clinton. Contemporaneamente il suo partito venne accusato di azioni di violenza contro gli oppositori, nacque una forte mobilitazione studentesca che chiese le dimissioni di Aristide, intanto venne accusato di riciclo di denaro e di accordi con i narcotrafficanti. Nel 2004, l’opposizione di destra e l’esercito (fortemente critici verso l’azione di governo di Aristide) si unirono nel “Fronte Rivoluzionario Nazionale per la liberazione di Haiti”. In tre settimane il fronte conquistò i centri più importanti del paese, arrivando alla fine di febbraio a conquistare la capitale Port-Au-Prince, costringendo Aristide a fuggire di nuovo, stavolta in Sud Africa.

Il Paese ha vissuto dagli anni 90 una travagliata stagione politica, nonostante la fine della dittatura le condizioni di vita della popolazione non hanno visto miglioramenti sostanziali, la stabilità è rimasta precariamente legata a fragili equilibri interni e soprattutto all’influenza di attori esterni. La serie di calamità naturali iniziate nel 2008 ha. per di più, messo in ginocchio un paese già a rischio, con conseguenze tragiche per la popolazione haitiana.

Il passaggio di 4 uragani nel 2008 comportò 330 morti e molti dispersi in tutto il paese. Dopo solo due anni arrivò il famoso terremoto/maremoto del 2010. Il sisma con epicentro a poca distanza dalla capitale ha comportato più di 220.000 morti. Secondo la Croce Rossa tre milioni di persone, su una popolazione di poco più di nove, non avevano più un’abitazione o erano rimaste ferite. Il sisma colpì in modo particolare la capitale Port-au-Prince, distruggendo o danneggiando gravemente molti edifici della città tra cui il Palazzo Nazionale, la sede dell’Assemblea nazionale di Haiti, la cattedrale e la prigione principale. Tutti gli ospedali della città furono distrutti o risultarono talmente danneggiati da dover essere evacuati. Sempre nel 2010, nel mese di ottobre scoppiò l’epidemia di colera che tutt’oggi miete vittime in tutto il paese, con circa 3.000 persone morte, su un totale di 150’000 persone infette.

Le cause dell’epidemia sono da ricercarsi nella condizione igienica disastrata dei luoghi in cui vivono i cittadini nel post-maremoto. Le case precedenti sono in rovina e adesso i cittadini vivono in campi d’accoglienza o nelle periferie ricostruite con materiali di scarto. A concludere la triste lista di disastri si aggiunge infine l’uragano Mattew che ha colpito il paese nel 2016, uccidendo 1600 persone. In totale il terremoto del 2010 e l’uragano del 2016 hanno comportato danni per 10 miliardi di dollari.

 L’influenza di attori esterni è un punto fondamentale per comprendere la situazione di Haiti. Come abbiamo già visto, gli Stati Uniti hanno fortemente influenzato le dinamiche della vita politica di Haiti sin dagli anni ’90, oltre a questi, la Francia con il suo rifiuto di ripagare Haiti del suo debito d’indipendenza e il suo passato rapporto di potenza coloniale. Ad assumere un ruolo di mediatore è stato  il Canada, che ha costituito diverse commissioni per i paesi francofoni d’America. Gli stati del CARICOM, la comunità degli stati caraibici, di cui fa parte Haiti dal 2002, che hanno speso molte energie nel sostenere la ricostruzione del paese, ed hanno svolto il ruolo di monitoraggio sulle elezioni del 2016.

Oltre all’azione di questi, le Nazioni Unite sono presenti nel paese sin dal 2004. La Missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite ad Haiti (MINUSTAH) è presente nel paese sin dal 2004, dopo la risoluzione 1542 del Consiglio di sicurezza ONU. Obbiettivo della missione è assicurare la stabilità nell’isola, dopo la destituzione di Aristide, garantire la transizione democratica e proteggere le attività delle altre agenzie ONU. La missione è composta da un totale di 5000 uomini, tra militari e corpi di polizia.

L’azione delle Nazioni Unite è stata fortemente criticata, due sono i motivi principali. Da un lato l’ormai provata responsabilità del contingente MINUSTAH di aver trasmesso l’epidemia di colera: secondo analisi dettagliate il ramo genetico della malattia corrisponde con quello del Nepal, paese di provenienza dei membri della missione ONU, che avrebbero contaminato con la rottura accidentale di silos e rifiuti le acque del fiume Artibonite, principale fiume dell’isola. Ad oggi l’ONU, supportata principalmente dagli Sati Uniti come maggiori finanziatori della missione, non ha ancora ammesso le proprie responsabilità, lasciando inoltre le famiglie e i malati di colera senza indennizzo.

La risposta dell’Organizzazione è quella di fondi da stabilire alla ricostruzione del paese, ma anche su questo versante ci sono molto punti critici che è opportuno analizzare.

Innanzitutto i fondi raccolti nel 2010 nel post terremoto erano totalmente destinati alle attività di nazioni unite, agenzie delle nazioni unite e ONG internazionali. Scarsa considerazione è stata data innanzitutto al governo, ma anche a ONG e progetti localiDei 120 milioni necessari per finanziare il progetto di ricostruzione, stimato dall’ONU e dalle sue agenzie operanti ad Haiti, solo 28 milioni sono stati raccolti. L’85% di questi sono stati destinati a agenzie ONU, lasciando le iniziative governative con scarsissimi finanziamenti.

Proprio la mancanza di coordinamento con il governo haitiano sottolinea quanto gli interventi attuati in 6 anni non siano stati lungimiranti, e la stabilità sul breve termine è stata preferita alla stabilizzazione su più vasta scala. Come vediamo dai dati aggiornati al 2016, ci sono grossi squilibri sui vari settori su cui si è scelto di utilizzare i fondi. Il governo haitiano ha richiesto di gestire in prima persona le risorse, ma manca da un lato la capacità da parte di questo, dall’altro la volontà da parte dei finanziatori e delle organizzazioni.

Durante le elezioni parlamentari di agosto 2015, il 13% dei seggi nazionali sono stati costretti a chiudere a causa di atti di violenza e intimidazione. Moltissimi voti sono stati annullati dalla commissione elettorale per gravi abusi alla segretezza del voto. Il boicottaggio delle elezioni e i contrasti fra il presidente Martelly e la Commissione Elettorale hanno portato alla presidenza ad interim di Jocelerme Privert, con un’elezione indiretta. Privert avrebbe dovuto guidare il paese fino alle elezioni del 2016-2017, le quali sono state bloccate dopo il primo turno per i contrasti tra Martelly e la Commissione. Dopo una lunga tensione è arrivata una decisione riguardo la data del secondo turno, fatta slittare al prossimo 20 novembre, finalmente Haiti avrà un nuovo presidente e un nuovo parlamento.

Oggi Haiti è davanti ai problemi connaturati alla sua storia, con una difficoltà ulteriore rappresentata dalla serie di calamità naturali e dall’epidemia, che rischia di aggravarsi. Se da un lato la strategia per il futuro sta nella presa di coscienza del proprio ruolo delle classi politiche, dall’altro la soluzione migliore che le Nazioni Unite dovrebbero intraprendere dovrebbe essere quella di puntare su una soluzione a lungo termine.

La politica di Haiti, di riflesso alla politica ONU nel paese, ha mancato di gettare le basi per una progressiva stabilizzazione sul lungo periodo. Era necessario rendere maggiormente responsabile del proprio operato la classe politica,nella ricostruzione e nella gestione dei fondi, ma si è deciso di escluderla categoricamente. Si è lasciato correre, invece, quando sarebbe servito un intervento forte, tale da impedire abusi da parte di personaggi pubblici e la conseguente rottura tra politica ed elettori. Oggi Haiti mostra ancora i segni del terremoto,  ma le macerie e il numero elevato di morti sono solo uno dei segni, quello che si attende ancora è che la politica smetta di tremare.

 

Fonti e Approfondimenti:

http://cepr.net/blogs/haiti-relief-and-reconstruction-watch/ocha-s-flash-appeal-for-haiti-reinforcing-failed-aid-modalities

http://www.telesurtv.net/english/opinion/Jean-Bertrand-Arisitide-Haitis-Enduring-Political-Enigma-20160930-0004.html

https://www.foreignaffairs.com/articles/haiti/2016-01-18/hands-haiti

https://www.foreignaffairs.com/articles/haiti/2014-05-13/haiti-strikes-back

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