Trump: La prossima volta potresti votarlo tu

Di Francesco Frisone

Il vento di Novembre fa volare le foglie a Central Park, la Fifth Avenue è ancora lì super affollata, dalle vacche del Montana si munge latte fresco, i Golden State Warriors si sono ripresi in NBA e il giorno del ringraziamento si avvicina. Insomma la fine del mondo non è arrivata. 

Tanto si è scritto sul perché e sul come Donald Trump abbia conquistato la Casa Bianca e sia diventanto il 45esimo Presidente degli Stati Uniti. L’impopolarità della Clinton, gli scandali delle e-mail. Il comportamento dei media e di Wall Street. Concause ragionevoli, ma che non sciolgono nessun nodo che non fosse già stato sciolto in campagna elettorale. In altre parole, contingenze.

Poco si è detto invece sulle cause sistemiche che hanno prodotto questo risultato. Se allarghiamo lo sguardo sia dal punto di vista spaziale sia temporale, la situazione appare invece molto più chiara e le motivazioni del successo di Trump molto più semplici di quelle che sembrano: impoverimento della classe media e sistema partitico.

L’impoverimento della classe media

Procediamo con ordine. Possiamo intendere la prima causa, l’impoverimento della classe media, come esogena, prodotta cioè dalla crisi economica del 2008. Già, la crisi. Ce la ricordiamo? Era sulle prime pagine di tutti i quotidiani. Chi l’avrebbe mai detto che avrebbe influito su un’elezione presidenziale.

Uno studio del McKinsey Global Insitute del luglio 2016 condotto su 6 Paesi (USA, GB, Francia, Italia, Paesi Bassi e Svezia) rivela che il 65-70% delle famiglie delle economie avanzate ha visto il proprio reddito rimanere piatto o diminuire tra il 2005 e il 2014. I numeri sono enormi se comparati a quelli del periodo che va dal 1993 al 2002 dove solo il 2% delle famiglie non aveva accresciuto il suo reddito.

Negli USA l’81% delle famiglie ha sperimentato un abbassamento del livello del reddito tra il 2005 e il 2014. Per scendere più nel concreto: negli Stati Uniti una madre single ha una probabilità di essere nella fascia di reddito più bassa di 20 volte superiore a quella di essere nella fascia di reddito più alta. 

In particolare sono coloro che hanno un basso grado di istruzione a sperimentare le maggiori difficoltà. Negli USA un laureato percepisce il 97% in più di un diplomato. Concreatamente: chi ha fatto il college guadagna il doppio di chi si è fermato alla high school.

Come si traducono questi numeri? La nuova classe media rischia di essere, se già non lo è diventata, più povera di quella che l’ha preceduta. Non a caso lo studio McKinsey si intitola “Più poveri dei propri genitori?”

Cosa c’entra tutto questo con Donald Trump? Tutto. Circa un terzo delle persone (540 milioni) i cui redditi non crescono hanno espresso opinioni negative sul libero scambio e sull’immigrazione. Protezionismo e anti-immigrazinismo, in poche parole la campagna elettorale di Trump.

Se guardiamo i dati sulle elezioni presidenziali del New York Times la situazione appare ancora più chiara. Nel campione interrogato, il 78% di coloro che credono che la loro situazione finanziaria sia peggiorata rispetto al passato ha votato Trump e solo il 19% Clinton.

Proporzioni simili anche per la domanda “Cosa ti aspetti per le future generazioni di americani?“:  il 63% di coloro che credono che le condizioni di vita delle future generazioni saranno peggiori rispetto al passato ha votato Trump,  il 31% Clinton.

Ancora: il 79% di coloro che giudicano l’economia nazionale come “povera” ha preferito il magnate newyorkese rispetto alla ex Frist-Lady. Come ulteriore dimostrazione che è l’impoverimento e la percezione dell’impoverimento e non tanto in reddito in sé a determinare la scelta elettorale.

Se consideriamo infine i dati relativi all’istruzione il quadro è completo: la proposta politica di Trump ha riscosso un notevole apprezzamento tra i non laureati. Mentre la Clinton è andata decisamente meglio tra i laureati. E questo perché, come messo in luce dal rapporto McKinsey, la variabile dell’istruzione è direttamente collegata alle difficoltà economiche incontrate dalle famiglie nell’ultimo decennio.

In ognuno dei Paesi presi in esame dal McKinsey Global Institute assistiamo alla nascita di partiti nazional-populisti, o al rinforzamento elettorale di quelli già esistenti, che basano i propri programmi elettorali sullo sciovinismo sociale, sull’isolazionismo, sul protezionismo e sull’anti-immigrazionismo.  Ukip in GB, Front National in Francia, Movimento 5 Stelle in Italia, Partito per la Libertà nei Paesi Bassi, i Democratici Svedesi in Svezia. Ma gli esempi potrebbero continuare, individuando una tendenza globale, per lo meno per quanto riguarda il mondo occidentale.

Gli USA rappresentano però un caso anomalo dal momento che non registrano nessuna nuova formazione politica. Perchè?

Il sistema partitico statunitense

È il momento di introdurre la seconda causa, endogena questa volta: il sistema elettorale e il sistema partitico statunitense. Il partito Repubblicano e il partito Democratico negli USA rappresentano i due poli di un sistema bipartitico. Il che vuol dire che solo due partiti hanno concrete possibilità di vittoria. Queste formazioni politiche funzionano sostanzialmente come piattaforme per la mobilitazioni dell’elettorato e sono aperte, fluide, poco strutturate al loro interno.

L’emergere di un nuovo attore politico è quindi ostacolata da due fattori. Primo, le scarse possibilità di vittoria. Secondo, la possibilità di entrare in uno dei due partiti già esistenti. I due maggiori partiti USA sono infatti “scalabili” dall’esterno. Bernie Sanders non era nemmeno iscritto al Partito Democratico prima delle primarie e Donald Trump è diventato Repubblicano dal 2009.

Se nei sistemi partitici europei osserviamo la nascita di formazioni nazional-populiste o il rafforzamento elettorale di quelle già esistenti e poi il tentativo dei partiti mainstream di emarginare tali formazioni, negli USA il nazional-populismo si è impossesato di uno dei due partiti tradizionali, sfruttando il grado di apertura e il basso livello di strutturazione del sistema. 

In altre parole: Farage non avrebbe mai potuto conquistare la leadership dei Conservatori inglesi né tanto meno Le Pen quella dei Repubblicani francesi. Trump invece ha trovato molto più semplice scardinare le porte del GOP, modificare l’identità del partito e correre per la Casa Bianca.

Dunque, ricapitolando. La crisi economica inziata nel 2008 ha causato un netto impoverimento della classe media che ha favorito l’emersione di risposte politiche nazional-populiste. In Europa, i sistemi partitici hanno visto la nascita di nuovi partiti politici e/o il rafforzamento di quelli già esistenti, che sono però troppo deboli per governare, almeno per ora (il che non vuol dire che non abbiano ottenuto alcuni importanti successi come il Brexit). Negli USA, il sistema elettorale e il grado di apertura dei partiti politici hanno invece permesso alle correnti nazional-populiste di correre all’interno dei partiti mainstream. E vincere.

Fonti e approfondimenti

JON HUANG, SAMUEL JACOBY, MICHAEL STRICKLAND and K.K. REBECCA LAI, Election 2016 Exit Polls, NYT November 2016

Richard Dobbs, Anu Madgavkar, James Manyika, Jonathan Woetzel, Jacques Bughin, Eric Labaye, and Pranav Kashyap, Poorer than their parents. A new perspective on income inequality, McKinsey June 2016

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