L’India e la stretta sul denaro contante

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Lo scorso 28 novembre i partiti di opposizione del Parlamento indiano e i loro sostenitori hanno scioperato, scendendo poi nelle piazze per protestare contro la nuova politica monetaria del premier Narendra Modi. Il fatto che contestano è il ritiro dalla circolazione delle banconote da 500 e da 1000 rupie (i tagli più usati negli scambi quotidiani di contante) iniziato l’8 novembre e che obbligherà a cambiare o digitalizzare questo denaro entro la fine dell’anno.

Modi ha parlato della sua politica in termini di modernizzazione e demonetizzazione dell’economia indiana, una sfida ardua e di lungo periodo che tra l’altro appare più utile combattere sul piano culturale piuttosto che quello legale, essendo oggi l’India uno dei paesi con la più bassa percentuale di transazioni digitali al mondo. La finalità di questa manovra è infatti soprattutto quella di contrastare l’economia sommersa e la falsificazione del denaro, riportando miliardi di rupie nell’economia legale.

Questa legge era stata preceduta da un provvedimento di amnistia fiscale per chi avesse dichiarato redditi nascosti, che aveva fruttato già l’equivalente di 10 miliardi di dollari circa un mese fa ma che rispetto alle promesse di contrasto al denaro nero fatte da Modi nel 2014 risultava completamente insufficiente.

La misura arriva infatti al culmine di un’esplosione di circolazione di moneta contante nel paese, in crescita costante da ormai 15 anni. Questo dato ha portato con sè la crescita parallela del denaro circolante in India come denaro nero fino al 20%, generato soprattutto dall’evasione fiscale e dalla corruzione, un eccesso di moneta asfissiante per l’economia.

Numeri del genere hanno obbligato il governo a provvedimenti drastici per evitare ulteriori danni all’economia del paese: il think-tank americano Global Finance Integrity ha infatti quantificato la perdita finanziaria subita dalle casse dell’India a causa del denaro nero in almeno 344 miliardi di dollari solo tra il 2002 e il 2011.

Aumentare il controllo sul denaro irregolare in un paese come l’India significa affrontare solide reti criminali: la corruzione sistematica che affligge molti livelli della burocrazia, la criminalità organizzata di stampo mafioso presente in alcune aree e la radicata incidenza del prestito a usura nelle campagne. Fin dall’indipendenza lo Stato indiano ha lottato strenuamente con questo sottostrato criminale, ottenendo scarsi risultati a causa della debole incidenza delle sue azioni di contrasto di tipo finanziario.

Sembra impossibile che questi mercati non possano trovare un mezzo alternativo per funzionare, ma un ritiro così improvviso dei contanti potrebbe obbligare a uscire allo scoperto i loro protagonisti. La necessità imposta dalla legge di recarsi a cambiare in moneta elettronica o banconote di piccolo taglio i patrimoni accumulati in contanti in modo illecito porterà inevitabilmente chi li detiene agli sportelli (pena la perdita totale di quel denaro), dando la possibilità agli inquirenti di rilevare situazioni sospette.

Nelle intenzioni di Modi il bisogno di convertire il denaro accumulato, pena la sua perdita di qualsiasi valore, dovrebbe portare allo scoperto proprio chi detiene queste fortune, obbligandolo a presentarsi in banca per cambiarle o digitalizzarle. Le banconote da 500 e 1000 rupie rappresentano infatti l’86% del denaro circolante in India ed è stato disposto l’obbligo di accertare la provenienza di qualsiasi somma si voglia depositare che ecceda una soglia di poche migliaia di rupie.

Fonti governative hanno già segnalato molti casi di sequestri di ingenti quantità di denaro affidato a prestanome ai danni di organizzazioni terroristiche di matrice islamista. Il progetto di Modi si lega infatti anche con il contrasto ai gruppi estremisti di varia natura presenti in India. Un vasto arcipelago di organizzazioni di questo tipo è presente in India, dai guerriglieri del Kashmir, agli ultra-nazionalisti Hindi fino ai gruppi marxisti dell’est e ad alcune cellule residue delle Tigri Tamil.

Questi gruppi ovviamente si avvalgono di denaro nascosto ma soprattutto, come rilevato in varie indagini, spesso si finanziano con la falsificazione delle banconote. L’obbligo di regolarizzare quel denaro, unito all’improvvisa trasformazione del denaro falso in carta straccia (gli sportelli lo riconoscerebbero e nessun cittadino accetta più quei tagli), potrebbe essere utile alle autorità nelle azioni di contrasto, indebolendo economicamente le organizzazioni.

L’organizzazione del cambio del denaro è stata inefficiente e farraginosa, con la gran parte delle banche e delle casse automatiche che hanno esaurito le riserve di contanti in breve tempo, causando disagi e situazioni di tensione che hanno obbligato le forze dell’ordine ad agire.

L’India è il secondo paese al mono per incidenza di pagamenti in contanti al dettaglio (98% secondo Bloomberg), incidenza favorita dalla scarsità di device tecnologici tra la popolazione rurale e una bassissima fiducia nelle transazioni non tangibili, tanto che solo il 5% della popolazione dichiara di usare comunemente home banking e carte di credito, con uno squilibrio abissale tra aree urbane e rurali.

Corollario a questa politica monetaria è infatti una campagna di aggiornamento tecnologico che si prefigge di far avere un conto in banca ad ogni indiano. Soprattutto nelle campagne, infatti, l’economia digitale è ad uno stadio assolutamente embrionale, con intere aree quasi sprovviste di banche, che ovviamente hanno dovuto gestire le richieste di troppe persone per le loro effettive capacità, tanto da dover fissare un tetto giornaliero ai prelievi.

Le conseguenze a breve termine della manovra non hanno quindi tardato a farsi sentire, causando un calo generale dei consumi e molti problemi alle aziende che si appoggiano a fornitori e filiere che fanno grande affidamento agli scambi in contante. Gli analisti della Banca Centrale Indiana hanno tagliato drasticamente le prospettive di crescita economica da qui ai prossimi mesi e hanno registrato un calo del 3% del valore della rupia, che però ritengono recupererà in fretta.

Modi e gli altri fautori della stretta sul contante sono ben coscienti di questi effetti ma li giudicano transitori, al contrario di quello che potrebbero essere i benefici che porterebbero all’economia indiana. In economia sono ben noti i freni che una grossa economia sommersa pone ad una crescita capace di portare anche inclusione e soprattutto di quanto il controllo della corruzione e la qualità istituzionale in genere siano invece basilari affinché questa avvenga.

Gli indiani avranno tempo fino a fine anno per cambiare il proprio denaro ormai fuori corso ma gli effetti a medio e lungo termine della politica di Modi li vedremo nel tempo, per ora resta il clima di ostilità tra la popolazione ad un provvedimento oggettivamente imperfetto nonostante le buone intenzioni, che potrebbe inficiare gravemente il futuro del governo del partito nazionalista Bharatiya Janata Party e del suo leader.

 

Fonti e Approfondimenti:

http://southasiamonitor.org/news/curb-currency-in-circulation-to-ensure-success-of-india-s-demonetisation/emerging/20709

http://indianexpress.com/article/india/india-news-india/bharat-bandh-tomorrow-india-braces-for-large-scale-protests-shutdown-demonetisation/

http://www.reuters.com/article/us-india-policy-poll-idUSKBN13R0X7

https://www.bloomberg.com/news/articles/2016-11-21/india-s-cash-chaos-by-the-numbers-guide-to-banknote-revamp

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