Jobs act, voucher e referendum

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Il Jobs Act è la riforma del mondo del lavoro attuata dal governo Renzi attraverso una serie di decreti emanati tra il 2015 e il 2016. Attraverso tali modifiche, il governo si proponeva di rendere il mercato del lavoro più flessibile e più sicuro, due aggettivi che spesso non riescono a coesistere soprattutto nel contesto produttivo italiano.

Tale riforma rientra all’interno dell’ondata europea di adattamento ai modelli di flexicurity, sperimentati con grande successo nei paesi scandinavi (che di certo hanno caratteristiche economiche e politiche differenti rispetto ai paesi mediterranei). Per flexicurity si intende quel modello del mercato del lavoro che garantisce la flessibilità, ossia un maggiore ricambio dei lavoratori nel sistema produttivo, assicurando però anche la sicurezza del posto di lavoro attraverso politiche attive, ossia mediante la creazione di istituti che svolgano la funzione di ricollocare i lavoratori, o, qualora questo non risulti possibile, attraverso forme ridotte di politica passiva (ad es. sostegno al reddito da disoccupazione entro certe scadenze).

La riforma si esplica in vari punti. Di seguito, riportando la suddivisione che troviamo sul sito del governo, analizziamo come il mondo del lavoro sia stato modificato da tale riforma:

  • Tutele crescenti

Attraverso tale punto, si garantisce al lavoratore un’indennità in caso di licenziamento illegittimo, di importo crescente rispetto agli anni di attività lavorativa. In sostanzale tutele crescenti sostituivano l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, abolito con le nuove riforme, che prevedeva il reintegro sul posto di lavoro in caso di licenziamento non giustificato.

  • Politiche attive

Con politiche attive si intende quel genere di politiche, che accostate ad un modello di lavoro flessibile, garantiscono una ricollocazione dei lavoratori verso nuovi impianti produttivi. Nel contesto italiano questa formula non ha mai funzionato granché, soprattutto perché i posti lavoro che vengono offerti per la ricollocazione sono spesso situati in aziende distanti chilometri e chilometri sia dal luogo del precedente impiego che dalla zona fulcro della vita dei lavoratori.
Seguendo questa direzione sono stati formati istituti come Garanzia Giovani, che avrebbero dovuto favorire l’occupazione giovanile. Nella sostanza però, più che i giovani, tale misura è andata a favore delle agenzie interinali volte allo sviluppo di questo progetto che hanno visto i loro profitti lievitare con gli stanziamenti pubblici. Come confermano i dati INPS, infatti, la disoccupazione tra i giovani si attesta ancora al 40%.

  • Maternità

Sostanzialmente con il Jobs Act il congedo in caso di maternità viene esteso anche alle lavoratrici autonome, ossia quelle lavoratrici che non sono dipendenti.

  • Flessibilità

La flessibilità, che in teoria dovrebbe fare il paio con le politiche attive, è quel processo che mira alla mobilità del lavoro, nel senso che si cerca di instaurare un ricambio continuo dei lavoratori all’interno del processo produttivo. In questa direzione si muove proprio l’abolizione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, che offre la possibilità ai datori di lavoro di licenziare più facilmente i propri dipendenti. Generalmente, attraverso la flessibilità si cerca di offrire la possibilità di garantire al lavoratore un lavoro part-time piuttosto che un fisso. Spesso però, più che un diritto del lavoratore, la flessibilità del posto di lavoro rappresenta un’opzione dell’impresa per la riduzione dei costi interni.

  • Tutela del lavoro

La tutela del lavoro si esplica con la formazione dei nuovi ammortizzatori sociali. In particolare con la Nuova ASpI (NASpI) – in sostituzione della ASpI (Assicurazione Sociale per l’Impiego) – non è più necessario che al momento della cessazione del rapporto di lavoro siano trascorsi almeno due anni dal primo versamento contributivo contro la disoccupazione per usufruire di tale prestazione. Al termine della NASpI, i soggetti particolarmente svantaggiati a livello economico – il cui indicatore ISEE è inferiore ai 5000 mila euro – possono accedere all’Assegno di Disoccupazione Involontaria (ASDI). La Cassa Integrazione è estesa anche agli apprendisti. Infine, le imprese che adotteranno i contratti di solidarietà, in caso di crisi aziendali, potranno beneficiare delle integrazioni salariali fino ad un massimo di 36 mesi in riferimento ad un quinquennio mobile e non più fisso: sostanzialmente se viene autorizzata un’integrazione salariale al primo gennaio 2017 per 36 mesi (2017-2018-2019), una nuova integrazione potrà essere concessa solo dal 2024, mentre col quinquennio fisso se ne sarebbe potuto usufruire già dal 2020 – come chiarisce la circolare 197/2015 – INPS.

  • Semplificazione

Con semplificazione si fa riferimento al processo di eliminazione delle forme contrattuali inutilizzate o utilizzate scarsamente, come le associazioni in partecipazioni e le collaborazioni a progetto.

 

Tra le innovazioni introdotte dal jobs act troviamo la retribuzione del lavoro accessorio tramite voucher – formula già sperimentata dal III Governo Berlusconi nel 2003 – ossia “buoni lavoro” da riscuotere presso i rivenditori di tabacchi autorizzati.
Nata come misura per combattere il lavoro in nero, ne è divenuto il cavallo di battaglia: oggi la retribuzione tramite voucher è più che raddoppiata e ad esperienza di molti, spesso i buoni lavoro vengono utilizzati per retribuire la prima ora lavorativa, lasciando la paga delle restanti ore in nero (per un analisi dell’andamento dei Voucher si rimanda a questo articolo).

Ma cosa sono i Voucher?

Ogni Voucher che si caratterizza come “buono lavoro” ha il valore nominale di 10€ di cui solo 7,50€ sono incassati dal prestatore (ossia da chi lavora). In generale, il lavoro retribuito tramite voucher non dà diritto alle prestazioni a sostegno del reddito INPS (disoccupazione, maternità, malattia, assegni familiari, ecc.), mentre è riconosciuto ai fini della pensione (sostanzialmente non si hanno diritti se non a versare i contributi).
Coloro che impiegano lavoro accessorio, i committenti, possono essere:

  1. famiglie;
  2. enti senza fini di lucro;
  3. soggetti non imprenditori;
  4. imprese familiari;
  5. imprenditori agricoli;
  6. imprenditori operanti in tutti i settori;
  7. committenti pubblici.

i soggetti che invece possono prestare lavoro accessorio sono:

  1. pensionati;
  2. studenti nei periodi di vacanza (natalizi, pasquali ed estive)
  3. percettori di integrazioni salariali o sostegno del reddito
    (cassintegrati, titolari di indennità di disoccupazione ASpI, disoccupazione speciale per l’edilizia e i lavoratori in mobilità)
  4. lavoratori in part-time
  5. altre categorie di prestatori
    (categoria che sostanzialmente comprende tutto il resto dei lavoratori)
  6. prestatori extracomunitari (se con permesso di soggiorno)

Il tetto massimo per un percettore di voucher è di 7.000€ netti annui in totale (precedentemente il tetto era fissato a 5.000€). I committenti (ossia coloro che impiegano lavoro accessorio) non possono eccedere circa 2.000€ netti a lavoratore in “buoni lavoro”: in pratica, se presto lavoro accessorio all’impresa X, all’impresa Y, all’impresa Z e all’impresa Q non posso ricevere più di 2000€ netti in voucher da ognuna delle imprese e non posso ricevere una somma superiore a 7000€ in totale.

Negli ultimi giorni il discorso sui voucher è stato affrontato da più parti sociali in seguito alla proposta di referendum della Cgil sul Jobs Act, che chiedeva l’abrogazione degli articoli 48, 49 e 50 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, ossia l’abolizione dei voucher, il ripristino dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori e l’abolizione dell’articolo 29 del decreto legislativo 10 settembre 2003, ossia il ripristino della responsabilità dell’azienda appaltatrice oltre a quella appaltata. L’11 gennaio la consulta ha accettato i quesiti su voucher e responsabilità dell’azienda appaltatrice mentre ha respinto per illegittimità il quesito sul ripristino dell’art. 18, in quanto quest’ultimo assume la forma di un referendum propositivo. Ricorre dunque l’incostituzionalità sulle manovre relative all’art.18, la cui abrogazione sancita dal Jobs Act ha suscitato (e continua a suscitare) delle critiche proprio in questo senso.

 

 

Fonti e Approfondimenti

http://www.jobsact.lavoro.gov.it/Pagine/default.aspx#jobsAct

http://www.inps.it/portale/default.aspx?itemdir=6661

https://www.inps.it/portale/default.aspx?itemdir=8292

https://www.inps.it/portale/default.aspx?itemdir=11316

http://www.inps.it/portale/default.aspx?itemdir=5590

http://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/poverta-ed-esclusione-sociale/focus-on/ASDI/Pagine/default.aspx

http://www.internazionale.it/notizie/2016/12/22/referendum-jobs-act-cgil

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/05/10/garanzia-giovani-flop-per-chi-cerca-lavoro-affare-per-chi-prova-a-trovarglielo/1658038/

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/10/05/voucher-lo-studio-inps-girone-infernale-che-non-fa-emergere-il-nero-servono-solo-a-tenere-basso-il-costo-del-lavoro/3074836/

http://www.inps.it/portale/default.aspx?sID=%3b0%3b6840%3b11458%3b&lastMenu=11458&iMenu=1&p4=2

http://www.internazionale.it/opinione/marta-fana/2017/01/12/voucher-lavoro-referendum-cgil

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