Siria: demografia del conflitto

Shia
@MostafaMeraji-CC BY-SA 4.0

La Siria, come noto, è scossa da un conflitto interno che va avanti oramai da quasi sei anni e che vede coinvolta la maggior parte della popolazione: nata sull’onda delle primavere arabe che hanno toccato numerosi paesi del Medio Oriente e del Nord Africa, la sommossa siriana si è poi trasformata in una sanguinosa guerra civile che non accenna a volersi concludere.

Probabilmente a tutti è passata almeno una volta sotto gli occhi una mappa dell’attuale suddivisione territoriale della Siria, come quella sottostante, in cui le zone di dominio, governativo, quelle dell’opposizione, quelle curde e quelle conquistate dalla Stato Islamico vengono messe in evidenza. In queste è visibile una parte di paese che non viene presa in considerazione, in quanto le zone centrale e meridionale sono quasi completamente desertiche.

La maggior parte della popolazione si trova sulla costa mediterranea, nelle maggiori città, come Aleppo, Damasco, Hama o Homs e sulle rive dell’Eufrate; sono queste zone, quindi, ad essere teatro della sanguinosa guerra civile in atto, zone in cui, pur essendo in vigore un cessate il fuoco dal 30 dicembre 2016, continui attacchi sono sferrati dalle forze governative su cellule ribelli che non vi hanno preso parte e dai gruppi jihadisti, sempre affamatai di conquista.

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Il conflitto siriano, prima che essere espressione di fazioni politiche, è dimostrazione dell’estrema frammentazione etnica e religiosa del paese: la Siria, nata dall’accordo segreto tra  il francese François Georges-Picot  e l’inglese Briton Mark Sykes del 1916, è sempre stata costretta a cercare nell’arabismo, denominatore comune della maggioranza della popolazione, il collante della propria società, a volte imbarcandosi in azzardati progetti sovranazionali.

In effetti, a livello etnico più di tre quarti della popolazione siriana è di origine araba e, a livello religioso, la stessa quantità, è musulmana sunnita; ma le maggioranze devono convivere con minoranze di vario genere e la presenza di queste ultime incide in vario modo nelle sorti dell’attuale conflitto.

La posizione dei curdi

I curdi sono la più numerosa delle minoranze etniche presenti in Siria, costituendo all’incirca il 10% della popolazione. I cittadini siriani di origine curda sono stanziati per la maggior parte nelle zone a nord del paese, al confine con la Turchia, in quello che viene denominato Kurdistan Siriano. Le città con la maggiore presenza curda sono Quamishli e al Hasaka, ma anche a Kobane e Afrin la loro presenza è numerosa. In più un’esigua percentuale di curdi è presente anche nelle principali città del paese, come Aleppo, Damasco, Homs e Hama.

In generale i curdi, sparsi tra Iran, Turchia e Siria, sono un popolo senza stato: essi combattono da decenni perché venga loro riconosciuta la possibilità di istituire una nazione, richiesta da sempre ostacolata dalle potenze della zona mediorientale, in particolare dalla Turchia, pur essendo stata promessa loro già nel 1920, nel Trattato di Sèvre.

 

All’infiammarsi degli scontri nel paese, i curdi, già uniti nel PYD, un distaccamento del PKK (Partito del Lavoratori Curdi) nato nel 2003 dopo la cacciata di quest’ultimo dalla Siria, avvenuta nel 1998,  hanno deciso di sfruttare la situazione, definendosi come la ‘terza parte’ del conflitto. Evitando di schierarsi in modo definitivo con il governo o con i ribelli, hanno iniziato a creare una zona posta sotto il loro dominio, denominata Rojava (ovest). Seguendo il pensiero di Abdullah Ocalan, un ex leader del PKK, il governo di Rojava si basa su un sistema di confederalismo democratico.

L’azione prevalentemente pacifica dei curdi ha dovuto subire un rapido processo di militarizzazione quando, nel 2014, i miliziani dello Stato Islamico hanno iniziato ad attaccare le zone sotto il loro controllo, uccidendo e distruggendo tutto ciò che trovavano. I curdi si sono subito adoperati per tentare di difendere la zona, in particolare la città di Kobane, in collaborazione con i peshmerga del KRG, cioè le forze militari della zona curda dell’Iraq, cosicché ad oggi, le zone di influenza dello Stato Islamico sono state decisamente ridimensionate.

Gli sciiti siriani: il potere degli alawiti

Gli alawiti sono la minoranza religiosa siriana più numerosa, secondi soltanto ai musulmani sunniti. Essi rappresentano il 12% della popolazione, storicamente collocati nella zona del litorale del Mediterraneo, a ovest del paese, comunità alawite sono ormai presenti in tutte le maggiori città siriane.

Il gruppo è stato considerato eretico dai musulmani fino al 1972, quando l’imam Musa al-Sadr, proclamò l’accettazione degli stessi come autentici musulmani, di stampo sciita. Il motivo per cui i sunniti li ritengono ancora eretici è che, pur riconoscendo la validità dei cinque pilastri dell’Islam, essi non ritengono obbligatorio rispettarli, inoltre, credendo in un concetto trino e riconoscendo il Natale, si crede che ci sia uno stretto collegamento della religione alawita con il cristianesimo. In realtà è difficile analizzare nello specifico le tradizioni di questo gruppo religioso, in quanto la maggior parte dei loro testi sacri non è stata tradotta e anche per la segretezza della loro religione, che non accetta convertiti.

La minoranza alawita detiene il potere dal 1970, grazie al colpo di stato del generale Hafiz al Assad, padre di Bashar, che diede inizio a quella che viene chiamata ‘rivoluzione correttiva’, con la quale egli si proponeva di guidare il paese con spirito socialista e nazionalista, appoggiandosi al partito bahatista

I rapporti tra gli alawiti e sunniti non è sempre stato idilliaco durante il periodo di governo degli Assad: alla fine degli anni ’70 il gruppo dei Fratelli Musulmani, che non aveva mai visto di buon occhio il regime secolare di Hafiz, iniziò ad organizzare manifestazioni in varie zone del paese, che venivano sempre represse con la forza dall’esercito regolare. L’apice degli scontri tra il governo alawita e i Fratelli Musulmani, di ispirazione sunnita, sfociarono nel 1982, nel massacro di Hama, durante il quale svariate migliaia di persone vennero uccise.

La situazione sembrava migliorata quando, nel 2000, fu il figlio di Hafiz, Bashar al Assad, a prendere il posto del padre. I Fratelli Musulmani, avendo dichiarato di rinunciare alla lotta armata, chiedevano la possibilità di un confronto politico pacifico.

Nel marzo 2011, quando anche la Siria divenne teatro di una delle rivolte contro il regime che scossero in quell’anno buona parte del Medio Oriente e del Nord Africa, il carattere delle dimostrazioni era laico e non violento e i Fratelli Musulmani, ribadendo la loro estraneità a fazioni fondamentaliste, presero parte al Consiglio Nazionale Siriano e all’Esercito Siriano Libero. Quest’ultimo è stato formato il 29 luglio 2011 da ex soldati dell’esercito regolare che, a seguito delle dimostrazioni di piazza e delle reazioni del governo a queste, hanno deciso di disertare e creare un’opposizione armata al regime.

La decisione dei Fratelli Musulmani e la necessità del distaccamento dei gruppi di opposizione, almeno all’inizio del conflitto, da ideologie religiose totalizzanti, mostra che le motivazioni che spinsero la popolazione ad agitarsi contro Bashar al Assad erano economiche: la forte differenza nella ricchezza e nello stile di vita dei siriani residenti nella costa Mediterranea e quelli che risiedevano invece nelle zone ad est e a sud della Siria era estremamente marcata e il livello di crescita, superiore al 4% annuo, che faceva sembrare, agli occhi dell’opinione pubblica internazionale, la Siria uno stato stabile, non era specchio della situazione economica della popolazione.

La fortuna del regime, cioè ciò che ancora oggi gli permette di resistere e di governare la parte più densamente popolata e ricca della Siria, è la fedeltà delle forze armate regolari: nonostante numerose defezioni, gli alti gradi dell’esercito sono ricoperti da alawiti, spesso in qualche modo imparentati con la famiglia Assad.

I cristiani

Anche la minoranza cristiana è abbastanza numerosa, costituendo essi, intorno al 10% della popolazione tra greci ortodossi, greci cristiani e ortodossi siriani e altri gruppi minori. Anche i cristiani, così come gli alawiti sono presenti in tutte le maggiori città del paese.

I cristiani sono protetti dalla costituzione del 1973, che mentre afferma che il presidente siriano deve esse musulmano, concede ad essi la libertà di espressione religiosa; essi sono inoltre ben integrati e spesso godono di una posizione sociale ed economica migliore di quella dei musulmani con cui convivono.

La posizione dei cristiani nel conflitto siriano, che per la maggior parte appoggiano il governo di Bashar al Assad, è dettata dalla convinzione che, se i musulmani sunniti riuscissero a prendere potere, la loro sopravvivenza sarebbe messa in serio pericolo e anche dal sopracitato benessere economico che il governo degli Assad ha garantito loro negli ultimi quarant’anni.

Ma le milizie cristiane non sono tutte dalla parte del governo: alcuni gruppi militari di opposizione composti da cristiani hanno iniziato a formarsi già nel 2012 mentre altri gruppi, in particolare di origine assira e stanziati nella parte settentrionale del paese, combattono l’ISIS a fianco dei curdi.

I drusi

I drusi, i quali rappresentano all’incirca il 3% della popolazione, sono un gruppo etnico e religioso monoteista, che incorpora varie dottrine; in particolare, si ritiene che il loro credo sia di derivazione musulmana sciita, ma si ritrovano in esso anche elementi ebraici, cristiani e induisti. La loro religione è caratterizzata da un estremo esoterismo, cioè essi rivelano gli insegnamento solo a coloro che vengono ritenuti degni , di conseguenza se ne ha pochissima conoscenza.

Essi si concentrano nella provincia di al Suwaida, che si trova nel sud-ovest della Siria.

La posizione dei drusi nel conflitto siriano non è delle migliori: il loro particolare credo fa sì che tutti i gruppi religiosi li vedano come nemici. I musulmani sunniti, in particolare i salafiti, fazione religiosa a cui si ispirano sia al Nusra, affiliato di al Qaeda su suolo siriano, sia l’ISIS, li hanno etichettati come eretici e hanno come obiettivo la loro completa eliminazione.

Quando però i due gruppi hanno cercato di impossessarsi delle zone a maggioranza drusa, non hanno mai avuto successo.

Prima molto vicini a Damasco, probabilmente per lo stesso motivo dei cristiani, cioè il fatto che il regime bahatista degli Assad sia secolare e laico e gli permetta quindi di vivere la propria religione senza subire discriminazioni, nel 2015, per la prima volta, dopo la morte di due dei loro leader religiosi causata dall’esplosione di due autobombe per mano dell’esercito regolare, hanno iniziato la loro battaglia contro il governo.

I drusi fanno quindi parte dell’opposizione al governo di Assad, ma contemporaneamente combattono per difendersi da al Nusra, che fa parte anch’esso dei gruppi ribelli.

Il conflitto siriano man mano che il coinvolgimento civile si è andato intensificando nel tempo, ha mostrato sempre più le sue radici sociali e religiose, oltre che economiche: lo scontro tra sciiti e sunniti già esistente da anni nel mondo si è manifestato anche in Siria, sotto le vesti dello scontro politico tra la minoranza alawita al potere e la maggioranza sunnita della popolazione. In questo contesto, le altre minoranze, etniche e religiose, si sono fatte spazio tra le fina di una delle due fazioni in lotta, a volte mantenendo salda la propria posizione, altre volte, invece, modificandola a seconda dell’andamento del conflitto. Quella che sembrava nata come un’agitazione sociale simile alle altre avvenute nei primi mesi del 2011, ha dato vita ad uno scontro settario la cui risoluzione risulta ad oggi estremamente difficile, complicata anche dalla presenza esclusivamente distruttiva dei gruppi terroristici jihadisti.

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