Abbiamo già parlato di gerrymandering: la pratica di stabilire con frode i confini delle circoscrizioni elettorali per influenzare il risultato delle votazioni. Questo fenomeno è particolrmente presente nei paesi con sistema maggioritario quindi ora è necessario affrontare il caso degli Stati Uniti, dove questo problema raggiunge livelli allarmanti a causa di alcune mancanze del sistema legislativo.
Come abbiamo detto le radici del gerrymandering affondano nella divisione amministrativa locale ma, come vedremo, i suoi effetti coinvolgono l’intero sistema politico americano fino ai suoi vertici. Sebbene ci sia grande dibattito tra gli studiosi sulla portata degli effetti della mappatura dei collegi sulle elezioni, risulta impossibile negare quantomeno l’esistenza di queste manipolazioni, e per capire il perchè basta guardare una mappa degli Stati Uniti.
Come misura approssimativa del livello di strumentalizzazione dei distretti può essere usata la loro forma: più sono compatti e regolari più è probabile che siano stati stabiliti in buona fede, mentre se hanno forme complesse e tentacolari è lecito pensare che abbiano subito una manipolazione. Se alcune zone risultano divise in modo ragionevole, soprattutto sulla costa Atlantica emergono gravi anomalie, segno di un sistematico abuso di potere delle amministrazioni locali.
Negli Stati Uniti, data la complessità del sistema politico, si tengono molti tipi di elezioni diverse e separate a seconda che riguardino il governo dei singoli Stati federati o gli organi centrali del paese, ricordando che in entrambi i livelli esiste anche l’elezione diretta del capo dell’esecutivo. Avremo quindi le elezioni dei Governatori e della State Legislature (camera legislativa statale) da una parte e quelle Presidenziali e del Congresso dall’altra.
Parlando di quest’ultima, se l’elezione dei due Senatori in ogni Stato non desta particolari preoccupazioni, ben diverso è il discorso sul rapporto tra elezioni locali e della Camera dei Rappresentanti. Questo organo ha 435 seggi che vengono assegnati con il sistema maggioritario: il territorio nazionale è diviso in collegi elettorali nei quali tra tutti i candidati che vi corrono solo chi riceve più voti andrà a sedere alla Camera.
Questi collegi (detti anche distretti o circoscrizioni) sono presenti in numero variabile in ogni Stato ed è sulla decisione di come suddividere il territorio che si annida il pericolo di gerrymandering. Come vengono disegnati influenza decisamente il risultato delle votazioni al loro interno, di conseguenza inficiando il rapporto tra voti e seggi ottenuti dai partiti e distorcendo la rappresenttività del principale organo legislativo degli Stati Uniti.
Il problema degli Stati Uniti con il gerrymandering è fondamentalmente legislativo. I confini delle circoscrizioni vengono ridisegnati ogni 10 anni, quando vengono pubblicati i risultati del Censimento e di conseguenza vanno corrette le mappe elettorali per adeguarle al cambiamento e allo spostamento della popolazione. Ogni collegio deve contenere infatti un numero simile di votanti, che per quanto riguarda la Camera dei Rappresentanti è di circa 710.000 elettori.
Questa operazione è detta “redistricting” ed è a carico di enti diversi a seconda delle leggi statatali. In 37 dei 50 membri della federazione ad oggi la definizione delle circoscrizioni viene compiuta dalla State Legislature, ossia dalla camera legislativa statale eletta localmente. Altrove questa attività è affidata a commissioni indipendenti o commissioni politiche di amministratori, mentre in 7 Stati il problema non si pone visto che hanno un solo collegio che copre l’intero territorio.
Qui nasce il conflitto di interessi: legislatori di un determinato colore avranno grande interesse che la nuova mappatura favorisca loro e loro i colleghi alle elezioni successive, e la storia prova che molto spesso questi cedono alla tentazione e premono in questa direzione. Alcuni blandi meccanismi di controllo esistono, ma molto spesso cedono davanti al forte potere degli esecutivi o, più amaramente, alla corruzione.
La pratica è talmente diffusa e antica che si sono sviluppate vere e proprie strategie codificate per compiere questa azione.
Una recente congiuntura temporale ha reso nuovamente scottante la faccenda del redistricting e della sua influenza, in particolare dopo la pubblicazione del Censimento del 2010. Questo avvenimento ha portato ovviamente alla necessità di ridefinire i collegi, ma una nuova variabile era entrata in gioco: la travolgente vittoria dei Repubblicani in moltissimi organi federali e statali dello stesso anno.
Provare che ci siano stati episodi di gerrymandering non è semplice ma si può tentare una misurazione usando come indicatore approssimativo la forbice tra percentuali di voti e di seggi ottenuti a livello nazionale. Se guardiamo le elezioni della Camera in relazione a questa variabile salta all’occhio che nel 2010 qualcosa sembra essere accaduto.
Se è vero che nei sistemi maggioritari avviene sempre una distorsione della rappresentanza, i dati successivi al 2010 mostrano un trend non imputabile interamente a questo fenomeno, segno che qualcos’altro è intervenuto. Per molti studiosi questa variabile è proprio il gerrymandering, e a riprova di questo giocano almeno due fattori.
Innanzitutto possiamo notare la specularità della situazione del dopo 2010 con quella degli anni tra il 1950 e il 1990, dove ad essere nettamente più forte nelle amministrazioni locali era il partito Democratico ed effettivamente veniva costantemente sovra-rappresentato alla Camera. In seconda battuta dobbiamo considerare che molte delle amministrazioni “strappate”agli avversari e riformate dai Repubblicani erano proprio alcune di quelle storicamente note per essere soggette a gerrymandering a favore delle precedenti amministrazioni, il che spiegherebbe l’inversione del trend.
Da questa considerazioni emerge come problema del gerrymandering sia cronico, indipendente dal colore delle amministrazioni ma causato esclusivamente dalla predisposizione del sistema elettorale americano all’abuso del meccanismo del “winner takes it all“ tipico del sistema maggioritario. Secondo questo principio infatti sarebbe opportuno un sistema elettorale che assicuri al vincitore delle elezioni la possibilità di governare da solo, sottoposto però al controllo ferreo dell’opposizione parlamentare.
Chi governa sarebbe comunque obbligato a non abusare del proprio potere poichè, vista la necessità di correre a nuove elezioni entro pochi anni, verrebbe “punito” alle urne per il suo comportamento scorretto dai cittadini insoddisfatti. La possibilità di attuare il gerrymandering sembra essere una falla in questo sistema, che altrimenti ha provato di funzionare nonostante sia molto lontano dall’essere perfetto.
Nella situazione in cui il vincitore delle elezioni sia in grado di sbilanciare a suo favore le future votazioni viene meno il principio di parità alla base della democrazia rappresentativa e in più vengono di fatto “neutralizzati” i voti di migliaia di cittadini. L’attuale regolamentazione permette quindi di fatto un vero e proprio abuso di potere, in un’amplificazione estrema del principio del “chi vince prende tutto” dei sistemi maggioritari.
Un barlume di speranza sembra venire da una recente pronuncia della Corte Suprema degli Stati Uniti, che ha sancito la liceità costituzionale delle commissioni indipendenti bipartisan. Questo ha dato nuovo slancio alle associazioni impegnate nel garantire che il redistricting avvenga in maniera onesta, da sempre favorevoli a questi organi.
Molti gruppi politici e della società civile si sono immediatamente mossi per chiedere l’attuazione di riforme dirette in questo senso, istanze che sebbene siano state portate nei parlamenti statali si sono prevedibilmente scontrate contro le maggioranze delle camere, che per ora ne hanno bloccato l’adozione.
Diverso è il caso dell’Ohio, che nel 2015 ha introdotto una legge per cui i collegi saranno disegnati da una composizione di 7 membri tra i quali saranno presenti due esperti indipendenti nominati dai leader alla Camera di entrambi i partiti e due nominati dai leader di entrambi i partiti al Senato dell’Ohio. Una volta disegnati, tra l’altro, i nuovi confini dovranno essere approvati alla Legislature da almeno due membri dell’opposizione. Se questo modello funzioni realmente lo sapremo nel 2021, alle prime elezioni generali dell’Ohio previste dopo il prossimo redistricting.
Il tema del gerrymandering sta guadagnando molta notorietà visti questi sviluppi e sarà cruciale nelle prossime elezioni locali, che entro il 2020 faranno cambiare in più tornate tutte le amministrazioni della federazione.
Fonti e Approfondimenti:
https://ballotpedia.org/State-by-state_redistricting_procedures
https://ballotpedia.org/Ohio_Bipartisan_Redistricting_Commission_Amendment,_Issue_1_(2015)
http://harvardpolitics.com/united-states/redrawing-america-gerrymandering-matters/