Diritti LGBT in Russia e Caucaso

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Lo scorso primo aprile il quotidiano indipendente russo Novaya Gazeta ha riportato le testimonianze di due sopravvissuti alla detenzione nel centro di prigionia di Argun, situato a soli quindici chilometri dalla capitale cecena di Groznyi, dove vengono inflitte violenze contro gli omosessuali. Sono state almeno tre le vittime ufficialmente riportate. La continua lesione dei diritti dell’uomo è stata descritta come il primo “campo di concentramento per omosessuali” dalla caduta di Hitler. L’inizio delle persecuzioni è avvenuto alla fine di febbraio: sono state individuate delle immagini «a contenuto omosessuale» nel telefono sequestrato ad un uomo arrestato sotto effetto di sostanze stupefacenti. Il quotidiano russo cita fonti riservate, secondo le quali, a tali atti di violenza avrebbero partecipato anche il portavoce del parlamento ceceno Magomed Daudov e il ministro dell’Interno Aub Kataev.

Poco prima dell’accaduto, il gruppo moscovita per i diritti LGBT (GayRussia.ru) ha richiesto un’autorizzazione per svolgere alcune manifestazioni in quattro città della regione del Caucaso settentrionale. Sulla lista non sono state inserite mete cecene, ma la vicinanza della tappa in Kabardino-Balkaria ha destato tensioni nelle regioni confinanti. Organizzazioni per i diritti umani quali Amnesty International e Human Rights Watch hanno da tempo espresso la loro preoccupazione per i diritti dei cittadini omosessuali presenti sul territorio in questione.

La Cecenia è una repubblica all’interno della Federazione Russia. Di conseguenza la legislazione in ambito civile e penale risulta essere in armonia con le pratiche adottate nella Federazione Russa per regolare i diritti riservati, alle minoranze ma sopratutto alla comunità LGBT.

Per quanto riguarda la Federazione Russa, l’omosessualità è stata legalizzata nel 1993 dopo il lungo periodo di repressione staliniana. Particolare attenzione e sensibilità sul tema dei diritti degli omosessuali è stata dedicata durante le preparazioni ai Giochi Olimpici invernali a Sochi nel 2014. Siamo, comunque, lontani da quelle che sono state le norme staliniane a proposito dell’omosessualità. Di fatti dal 1934, con l’articolo 121 del Codice penale della Repubblica Sovietica Russa la si rendeva perseguibile fino a 5 anni di incarcerazione. La reclusione nei gulag come anche i lavori forzati erano la risposta a quello che era considerato un grave reato. Fino al 1999 in Russia l’omosessualità  veniva considerata come malattia mentale. 

Nel 2013, una legge ha criminalizzato materiali didattici e divulgativi che promuovono rapporti sessuali “non tradizionali”, decreto che è stato utilizzato per giustificare gli arresti di attivisti che promuovono i diritti delle persone gay. Gli LGBT in Russia affrontano maggiori difficoltà ed ostacoli rispetto agli altri cittadini. Nella Federazione non vi è alcuna legge contro la discriminazione basata sull’orientamento sessuale, inoltre le coppie dello stesso sesso non dispongono di alcuna protezione legale. Sia le Nazioni Unite che le istituzioni dell’Unione europea hanno chiesto l’abrogazione di tale legislazione specificando che essa, assieme ad altre gravi negazioni dei diritti LGBT in tutto il Paese sono una chiara violazione dei diritti umani. In più occasioni la Corte europea dei diritti dell’uomo si è trovata costretta a multare la Russia per palese violazione dei diritti LGBT.

Ma torniamo alla Cecenia. Il carattere ultra-conservativo che regna nel Paese è stato inasprito sotto la guida di Akhmad Kadyrov (padre dell’odierno presidente) dopo i conflitti separatisti della Prima e della Seconda Guerra Cecena. L’omofobia è stata culturalmente imposta e divulgata in tutta la popolazione. Sotto la presidenza di Aslan Maskhadov è stata adottata la legge della sharia. Venne quindi allora emendato l‘articolo 148 del codice penale ceceno che ha reso punibile con la fustigazione l’atto carnale tra le persone dello stesso sesso. Ciò ammette tutt’ora la presenza della pena di morte (ufficialmente sospesa) a seguito di relazioni omosessuali. Poche sono quindi le garanzie a disposizione di quei cittadini, che si trovano ora nel Paese, stretto nel pugno del leader paramilitare della Cecenia dal 2007, Ramzan Kadyrov.

Non sono solo le autorità a perpetrare le persecuzioni: in Cecenia vi è ancora il delitto d’onore, secondo il quale, gli stessi familiari del presunto omosessuale sono autorizzati a compiere atti di omicidio stragiudiziale. L’attuale presidente della Repubblica, ha vivamente incoraggiato tale pratica, utilizzando i membri delle famiglie come alternativa all’applicazione della legge.  Un gruppo di esperti consiglieri del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha riferito all’inizio di aprile 2017 che: “Si tratta di atti di persecuzione e violenza su scala senza precedenti nella regione e costituiscono gravi violazioni degli obblighi della Federazione Russa nel quadro del diritto internazionale sui diritti umani” ponendo l’attenzione sul comportamento lassista da parte di Mosca.

Michael Georg Link, direttore dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, per le istituzioni democratiche e i diritti umani, ha invitato le autorità russe a “investigare urgentemente sulla scomparsa, la tortura e altri maltrattamenti” degli uomini gay in Cecenia. Inoltre il relatore generale dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE) sui diritti LGBT, Jonas Gunnarsson, ha sottolineato “i rapporti allarmanti della Cecenia nei giorni scorsi riguardanti i rapimenti sistematici, le torture e gli omicidi degli individui basati sul loro orientamento”. La notizia delle torture subite da almeno 100 detenuti, in quello che può essere definito il campo di concentramento ceceno, ha scosso anche i candidati alle elezioni presidenziali francesi, con Jean-Luc Mélenchon, Benoît Hamon e Emmanuel Macron che hanno condannato gli abusi avvenuti in Cecenia. 

Sembra però che la preoccupazione generale e l’attenzione trans-nazionale che è stata dedicata al problema così tanto grave, non abbia in alcun modo convinto né Mosca né Groznyi a provvedere ad un cambio di rotta. Anzi, il 15 aprile scorso il ministro della stampa cecena Dzhambulat Umarov ha chiesto alla Novaya Gazeta di “scusarsi con il popolo ceceno” per aver fatto menzione della presenza di persone LGBT nella Repubblica e che il documento ha istigato “l’isteria” sulle “minacce inesistenti” (dove per minacce vengono considerate le stesse vittime) . Alle denunce dell’Ilga (associazione europea lesbica gay e transgender), le autorità cecene hanno negato completamente l’esistenza degli omosessuali sul loro territorio. Altrettanto preoccupanti le parole di Kheda Saratova, membro del Consiglio per i diritti umani ceceno: “Nella nostra società, chiunque rispetti le nostre tradizioni e cultura darà la caccia a questo tipo di persone senza bisogno di aiuto da parte delle autorità”. Poca rimane per ora la speranza che Mosca presti attenzione agli avvisi e alle denunce, portavoce delle quali lo è stata anche la stessa Angela Merkel.

 

 

Fonti e approfondimenti

https://www.novayagazeta.ru/articles/2017/04/01/71983-ubiystvo-chesti

http://www.independent.co.uk/news/world/europe/gay-men-chechnya-prisons-detain-torture-murdered-killed-detain-russia-region-a7669911.html

https://www.theguardian.com/commentisfree/2017/apr/13/gay-men-targeted-chechnya-russia

https://www.hrw.org/world-report/2016/country-chapters/russia#e81181

https://www.balcanicaucaso.org/aree/Cecenia/Il-sistema-Kadyrov-ne-Russia-ne-sharia-104736

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