La presenza militare USA nel Pacifico

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Sin dalla  fine del  secondo Conflitto Mondiale  e per tutta la durata della Guerra Fredda, gli Stati Uniti  hanno costituito e mantenuto una rete di basi militari nel Pacifico volta a difendere  i propri interessi  nella regione e ad ostacolare l’avanzata della minaccia  comunista. Con il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991 e con la fine dal pericolo  posto dal peso ideologico e militare di Mosca, Washington si è trovata a dover rivalutare la necessità della propria presenza nella regione .

Il dibattito avviatosi all’interno dell’amministrazione americana si trovò inizialmente di fronte a due possibilità.  La prima prevedeva la chiusura di diverse  basi e il ridimensionamento dell’impegno USA nel Pacifico al fine di reinvestire le nuove risorse disponibili in politiche domestiche. La seconda opzione favoriva invece la continuazione dell’impegno USA nella regione che, fiancheggiato da un maggiore dialogo con la Cina, allora  potenza in ascesa, avrebbe creato le condizioni necessarie per la stabilità del Pacifico. In tale ottica, la presenza di un attore predominante  come gli USA nella Regione, avrebbe impedito, almeno così si credeva, il sorgere di nuove tensioni regionali e di possibili  corse  agli armamenti. Queste due opzioni formarono il  terreno  principale su cui si svolse il dibattito strategico statunitense per gran parte degli anni novanta.

Tuttavia, con il cambiamento dello scenario internazionale all’inizio del 2000, nuove necessità iniziarono ad influenzare il dibattito. Un ruolo chiave venne giocato dall’allora Segretario della Difesa  Donald Rumsfeld, il quale  si faceva fautore di un maggior impegno mondiale degli Stati Uniti.  Si parlava allora di una vera e  propria rivoluzione negli affari militari, dominata anche dalla necessità di supportare  le operazioni in corso in Iraq e Afghanistan.  Rumsfeld propose di rimodulare radicalmente la  presenza USA nel Pacifico; anziché dispiegare rigidamente le forze  statunitensi in punti nevralgici come al confine con la Nord Corea, Washington avrebbe dovuto creare forze più flessibili e utilizzare le strutture militari sotto il suo controllo come forward operating bases  ( basi operative avanzate) capaci di  dare una risposta rapida ad  ogni crisi regionale.

Altro fattore aggiuntivo da tenere in considerazione, era (ed è) lo sviluppo dell’arsenale balistico cinese ed il sorgere della minaccia nucleare della Corea del Nord. Pechino in particolare, è riuscita  negli ultimi dieci anni  a migliorare il proprio arsenale , tanto da poter  minacciare le diverse  basi USA nella Regione. Stessa cosa si può dire della Corea del Nord; di fatto, i missili Ndong del regime, hanno una gittata tale da poter colpire  le  basi USA in Giappone,  costituendo così un fattore di instabilità per l’intera area  del Pacifico.

L’insieme di queste considerazioni ha portato Washington a optare per il mantenimento  della propria presenza nel Pacifico, riadattandola alle nuove necessità strategiche degli USA e rendendola più flessibile. La posizione adottata  divenne ancora più evidente nel corso della Presidenza Obama.  L’ex presidente degli Stati  Uniti aveva infatti dichiarato di voler spostare il 60% delle forze militari statunitensi nella regione del Pacifico. In seguito all’annuncio del Pivot to Asia nel 2011, Washington si è impegnata nel rafforzamento delle  alleanze regionali, sia militari che economiche, principalmente al fine di ostacolare l’ascesa della Cina in questo scenario.

Quali sono quindi  le basi USA più importanti nel Pacifico?  Qual è il loro significato strategico oggi?

 

Corea e Giappone

Gran parte delle  forze USA nel Pacifico si trova attualmente stazionata nella penisola Coreana  e in Giappone. Le forze americane nei pressi della Zona Demilitarizzata al confine con la Corea del Nord ammontano a 28 mila unità le quali costituiscono l’avanguardia USA nel caso  di un conflitto con Pyongyang.  A queste forze, si aggiungerebbero inoltre mezzo milione di soldati della Corea del Sud che nell’eventualità di un conflitto verrebbero posti sotto il comando  USA. Tuttavia, il ruolo delle forze USA in  Corea del Sud ha assunto ancora più importanza con il posizionamento del sistema difensivo THAAD (Terminal High Altitude Area Defense), una difesa antibalistica in grado di intercettare e neutralizzare missili nemici. Si tratta tuttavia  di un’arma a doppio taglio. Infatti, sebbene un’arma di difesa, il suo posizionamento nei pressi di Seoul causa non poche preoccupazioni per la popolazione locale, in quanto le difese THAAD, in caso di conflitto con la Corea del Nord, costituirebbero un bersaglio prioritario per Pyonyang. Inoltre, quest’arma, sebbene concepita da Washington in funzione anti Nord Coreana, ha destato le preoccupazioni della Cina, la quale vedrebbe il posizionamento di THAAD in Corea del Sud come una vera e propria minaccia per la propria sicurezza nazionale, in quanto capace di alterare l’equilibrio nucleare tra Cina e USA.

Per quanto riguarda il Giappone,  la maggior parte dei 40.000 soldati statunitensi  nel paese si trova nell’isola di Okinawa. Anche in questo caso, le forze USA in  giocano un ruolo fondamentale nel costituire un’avanguardia facilmente dispiegabile per fronteggiare le potenziali minacce provenienti sia  dalla Corea del Nord che dalla Cina. Come in Corea del Sud, anche in Giappone sono presenti dei sistemi di difesa antibalistica. I MIM -104 Patriot, sebbene più antiquati del THAAD, costituiscono un’importante barriera per difendere le forze USA da eventuali attacchi missilistici.

 

La Base di Guam

Tra le  basi USA nel Pacifico, la più importante è forse quella  di Guam nell’Oceano Pacifico centrale. I quadri alti dell’esercito  americano la chiamano, non a torto, la loro Portaerei Permanente (“permanent aircraft carrier”). Sin dal 2000 Washington ha iniziato a potenziare  le diverse strutture militari presenti nell’isola, posizionandovi missili cruise e bombardieri B-51 e B-52. Allo stesso tempo, anche le strutture navali sono state ampliate e ben tre sottomarini nucleari d’attacco sono stati stazionati a Guam.  Altre strutture consentono alla base di ospitare Aerei caccia F-22 e una squadra di elicotteri. Come in Giappone e Corea del Sud, anche Guam gioca un ruolo non trascurabile nello scudo missilistico USA. In seguito all’aumento degli sforzi della Corea del Nord  per ottenere  missili capaci di  colpire gli USA, Washington ha optato per il dispiegamento del sistema THAAD anche in quest’isola, rendendo ancora più efficaci le difese antibalistiche USA.

 

La Posizione USA nel Sud Est Asiatico

Nella zona del Sud Est Asiatico, la posizione militare USA si inserisce nel quadro delle dispute territoriali nel Mar Cinese Meridionale, che vedono la  Cina reclamare il possesso delle isole Spartly, Paracels  e della Secca di Scarborough  ai danni di Filippine, Vietnam,  Brunei, Taiwan e Malesia. In quest’ottica Washington si schiera a fianco degli attori regionali più piccoli nel tentativo di ostacolare la costante espansione cinese nella regione.

Un ruolo importantissimo su questo scenario è giocato dalle Filippine. La collaborazione militare  tra Washington e Manila, alleati sin dal 1951 con la firma del Mutual Defense treaty, si inquadra al giorno d’oggi nell’ Enhanced Defense Cooperation Agreement (EDCA) stipulato nel 2014. L’ECDA consente agli USA di accedere a ben 5 basi militari Filippine e di immagazzinarvi equipaggiamento militare. Ultimamente, il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte, ha messo in discussione la cooperazione di Manila con Washington arrivando anche ad aprire  il dialogo coi Cinesi, ma al momento l’EDCA costituisce ancora un tassello fondamentale della presenza USA nel Mar Cinese Mridionale.

Il Pericolo di un’espansione Cinese nelle isole Paracels ai danni del Vietnam, ha spinto persino il governo di Hanoi, vecchio nemico USA dei tempi della Guerra fredda, a cercare il supporto di Washington per arginare  Pechino. La base di Cam Ranh Bay, recentemente rinnovata, è stata aperta dal Vietnam all’accesso di navi militari straniere, tra cui anche quelle Statunitensi.

In fine, Singapore ha consentito agli Stati Uniti di posizionare quattro vascelli militari specializzati nel combattimento litoraneo nella base di Changi. Grazie a questa base, la  piccola  forza navale americana, sebbene non sufficientemente potente per affrontare eventuali nemici in un vero e proprio scontro, può controllare l’accesso allo Stretto di Malacca.

 

Australia e Nuova Zelanda

Basi statunitensi sono in fine presenti anche in Australia e Nuova Zelanda. La ragion d’essere di tali strutture si inquadra nel trattato di sicurezza collettiva ANZUS in vigore dal 1951. L’alleanza tra Usa, Nuova Zelanda e Australia, inizialmente concepita per fronteggiare l’evenienza di una nuova minaccia giapponese, ha poi finito per svolgere un ruolo antisovietico nel corso della Guerra Fredda e più di recente di containement nei confronti della Cina. Austarlia e Nuova Zelanda ospitano al giorno d’oggi diverse  basi USA nel proprio territorio,  tra le  quali la più importante è quella di Pine Gap  nei pressi di Alice Spring nel cuore dell’Australia. Si tratta di una base satellitare (una delle più grandi USA in territorio Estero) che copre principalmente la funzione di raccogliere informazioni di intelligence. Tale struttura gioca un ruolo fondamentale in tutte le operazioni antiterroristiche della CIA, inclusi i recenti attacchi condotti tramite droni in Yemen, Pakistan e Somalia.

Le diverse  basi USA nel Pacifico permettono  quindi a Washington di schierare rapidamente forze militari per fronteggiare le eventuali minacce poste da Corea del Nord e Cina. Esse svolgono inoltre il ruolo fondamentale di ospitare i sistemi antibalistici statunitensi, costituendo quindi un elemento fondamentale della scudo missilistico USA. Washington, grazie alle sue basi, è senza dubbio la forza dominante nel Pacifico; con la fine del Pivot to Asia di Obama, l’ amministrazione Trump ha fatto grandi passi indietro in termini di presenza economica nella Regione, ma l’aumento della tensione con Cina e Corea del Nord negli ultimi tempi rende improbabile che il Pentagono opti anche per la riduzione del suo impegno militare nel Pacifico.

 

 

Fonti e Approfondimenti

http://ifg.org/militarization-of-the-pacific/

Sideways: America’s Pivot and its Military Bases in the Asia-Pacific

http://www.salon.com/2016/12/16/cops-of-the-pacific-u-s-militarys-role-in-asia-during-the-age-of-donald-trump_partner/

http://www.abc.net.au/news/2016-04-27/americas-navy-airforce-bases-in-guam-ramp-up-construction/7360776

Leave a comment

Your email address will not be published.


*