La jihad dell’ISIS si espande in Asia

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Martedì 23 maggio diversi militanti connessi all’ISIS (Islamic State of Iraq and Syria) sono insorti nella città filippina di Marawi nel sud del Paese. Nel corso dell’attacco, i miliziani jihadisiti hanno dato alle fiamme una scuola e una chiesa, prendendo diversi fedeli in ostaggio. Si è trattato di una vera e propria azione di guerriglia e non di un attacco isolato come quelli avvenuti in precedenza in Francia, Belgio, Germania e Gran Bretagna. I miliziani hanno anche occupato un ospedale della città e per le prima volta le bandiere nere del califfato sono apparse sul territorio delle Filippine.

L’insurrezione estremista, che tra i diversi atti di violenza ha visto anche l’uccisione e decapitazione di un poliziotto, ha scatenato la pronta reazione del governo di Manila, il quale ha ordinato alle forze militari filippine di ingaggiare i guerriglieri in combattimento. La battaglia di Marawi infuria da ormai diversi giorni, con molte perdite da entrambe le parti. Come riportato dal The Guardian, almeno 46 persone sono rimaste uccise durante gli scontri armati, tra cui 15 militari filippini e 31 guerriglieri delle forze estremiste, mentre migliaia di cittadini scappano dalla città.

La violenza è scaturita in seguito a un raid effettuato dalle forze antiterrorismo filippine finalizzato a catturare Isnilon Hapilon. Un capo Jihadista ed esperto in guerriglia connesso con l’ISIS. Hapilon è stato designato dallo Stato Islamico nel 2016  come capo del ramo dell’ ISIS nel Sud Est Asiatico, ma già in precedenza era connesso ad altri gruppi terroristici locali, tra cui Abu Sayyaf, del quale egli stesso è uno dei comandanti. È da sottolineare come queste cellule estremiste, pur essendo rimaste isolate dal Califfato per gli ultimi due mesi, siano comunque riuscite a continuare la loro attività indipendentemente dai centri decisionali dell’ISIS, tenendo impegnate le forze di polizia filippine.

Hapilon era già noto agli americani e alle forze di sicurezza filippine per aver aiutato il gruppo Abu Sayyaf nel prendere in ostaggio 20 persone in un resort filippino nel 2001 ed una taglia di ben 5 milioni di dollari è stata posta sulla sua testa da Washington.

L’esercito era da mesi occupato nella lotta contro i gruppi di guerriglieri islamici nelle montagne nei pressi di Marawi, ed era già arrivato vicino all’eliminazione di Hapilon in gennaio con un raid aereo durante il quale lo stesso ricercato era rimasto ferito.

In seguito ad alcune informazioni d’intelligence con le quali si precisava che Hapilon si era recato a Marawi per ricevere trattamenti medici, le forze filippine hanno dato il via al raid che ha poi portato all’insurrezione delle forze islamiche. Non appena fiutato il pericolo, le forze estremiste hanno chiesto rinforzi, portando al repentino fallimento dell’operazione e ai combattimenti che ormai infuriano per le strade delle periferie di Marawi.

Marawi è una città di 200.000 abitanti, la maggior parte dei quali sono di religione mussulmana. Essa si trova nell’isola di Mindanao nel sud delle Filippine, in cui vivono ben 18 milioni di abitanti. Le Filippine sono un paese a maggioranza cattolica, rendendolo lo Stato cristiano più grande del Sud Est Asiatico, ma la presenza di cittadini mussulmani nel meridione del Paese lo rende anche un target dello Stato Islamico. Infatti, la povertà diffusa nell’isola di Mindanao e la diffidenza nutrita dalla popolazione nei confronti del governo, la rende terreno fertile per la propaganda estremista.

L’esplosione della violenza nella città ha portato l’energico e autoritario Presidente Rodrigo Duterte a rientrare improvvisamente dalla sua visita diplomatica a Mosca. Duterte non ha esitato a dichiarare lo stato di emergenza e ad applicare la legge marziale nella parte meridionale del paese. Mercoledì il Presidente commentando gli attacchi e rivolgendosi agli insorti ha dichiarato: “se ci sarà un’aperta opposizione, morirete […] e se ciò vuol dire che molte persone perderanno la vita, così sia”.

La legge marziale consente al presidente delle Filippine di appellarsi alle forze armate per sopprimere violenza, invasioni e ribellioni. Le forze di sicurezza saranno adesso in grado di arrestare i sospetti jihadisti e di detenerli per tre giorni senza capi d’imputazione.

Nel corso dei 9 anni di legge marziale applicati durante la dittatura di Ferdinand Marcos, la polizia ha arrestato, torturato e ucciso migliaia di oppositori al regime. Duterte ha inoltre dichiarato che l’applicazione della legge marziale rispecchierà il vigore e la durezza dell’epoca della dittatura, suscitando non poca diffidenza da parte degli attivisti per la difesa dei diritti civili, umani e politici. Il Presidente ha in aggiunta dichiarato di voler estendere la legge marziale anche nel resto del Paese, non limitando quindi lo stato di emergenza all’isola di Mindanao, in cui lo stesso Duterte è nato.

Le Filippine si trovano quindi di fronte a due pericoli da non trascurare. Da un canto vi è la minaccia che lo Stato Islamico riesca ad insediare una propria roccaforte all’interno della regione mussulmana del Paese, dall’altra vi è la reale possibilità che le Filippine continuino a marcare la svolta autoritaria già presa. Nei mesi passati il Presidente ha già dato prova della propria brutalità dando inizio ad una guerra senza quartiere contro i trafficanti di droga e la situazione di emergenza potrebbe essere usata da Duterte per ampliare ulteriormente il proprio potere sul paese.

Tale svolta autoritaria, sebbene abbia già causato delle divergenze con gli Stati Uniti D’America, tradizionale alleato di Manila, potrebbe trovare un appoggio estero in altri interlocutori. Di fatto, la visita di Duterte a Mosca, dalla quale il Presidente è dovuto rapidamente rientrare, era finalizzata a trovare un accordo con Putin per la vendita di armi moderne per combattere il terrorismo. Allo stesso modo, in seguito al peggioramento delle relazioni con Washington questo ottobre, Duterte si era recato a Pechino per aprire ai cinesi e trovare nuovi finanziamenti per la costruzione di infrastrutture.

Le Filippine si trovano di fronte ad una pagina complicata della propria storia e le recenti attività terroristiche non sono l’unica cosa ad essere in gioco.

 

 

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