Il Brasile ha abbandonato l’Amazzonia (e chi la difende)

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

La Foresta Amazzonica, più comunemente chiamata Amazzonia, è una foresta di origine pluviale che si estende su un’area di circa 6,5 milioni chilometri quadrati e attraversa nove paesi del Sud America: Brasile (nel quale si trova il 65% del territorio), Colombia, Perù, Venezuela, Ecuador, Bolivia, Guyana, Suriname e Guyana francese.

Oltre ad essere l’ecosistema più ricco di biodiversità al mondo (circa 60.000 specie di piante, 1.000 specie di uccelli e oltre 300 specie di mammiferi), l’Amazzonia ospita numerose popolazioni indigene da migliaia di anni.

Nonostante questa ineguagliabile ricchezza, la Foresta Amazzonica è perennemente sotto attacco e sotto minaccia di deforestazione, a causa di interessi particolaristici che vengono anteposti alla salvaguardia della zona. La causa principale di ciò, specialmente in Brasile, è l’aumento sconsiderato dell’allevamento bovino, in linea con le politiche di export di capi bovini e carne che i governi brasiliani hanno avallato nel corso del tempo.

In particolare, tra il 2000 e il 2007, l’Amazzonia ha visto ridurre il proprio territorio di una superficie di circa 154,312 chilometri quadrati, un’area grande circa quanto la Grecia. 

La deforestazione amazzonica, inoltre, è una delle principali cause delle emissioni di gas nel Paese dal momento che la foresta protegge e conserva tra gli 80 e i 120 miliardi di tonnellate di carbonio. Il Brasile va così ad occupare il quarto posto nella classifica mondiale dei paesi che liberano più gas nell’aria.

Di promesse per salvaguardare l’area ne sono state fatte molte, la situazione rimane tutt’oggi immutata e le ultime decisioni politiche potrebbero addirittura aggravarla.

L’attuale Presidente brasiliano Michel Temer, infatti, nonostante le prese d’impegno dei discorsi inaugurali, ha manovrato in maniera totalmente opposta alle sue parole. Da un’iniziativa di 7 deputati, portata in parlamento a febbraio di quest’anno,e avallata dal partito presidenziale (il Pmdb), è appena stata approvata una legge che ha smantellato una delle ultime decisioni prese dal governo di Dilma Roussef. Questa riguardava la creazione di 5 aree protette su terre federali. In particolare le zone tutelate dalla legge dell’ex presidentessa erano la riserva biologica di Manicoré, il parco nazionale di Acari, le foreste nazionali di Aripuanã e Urupadi e l’area di protezione ambientale di Campos de Manicoré. Ora il parlamento brasiliano si appresta a smantellare il piano che, inserito all’interno del progetto Terra Legal, puntava anche a regolamentare la proprietà della terra con l’assegnazione di specifiche destinazioni d’uso che miravano alla salvaguardia di parchi e terre riservate alle popolazioni indigene.

A sollevare forti dubbi sugli interessi celati dietro questa iniziativa è anche il modus operandi con il quale si è arrivato a legiferare: Jose Sarney Filho, il ministro dell’Ambiente, non è stato neppure informato. Anche lui, come molti altri parlamentari, l’ha scoperto quando il disegno di legge è stato depositato al Congresso. La lobby degli allevatori, infatti, è molto forte in parlamento e l’attuale governo Temer, messo sotto inchiesta per corruzione nell’indagine lava jato, non può fare a meno del loro appoggio. La parte sottratta alla conservazione ammonterebbe, dunque, al 60% del totale. Una politica, questa, che l’ex ministra dell’Ambiente Izabella Teixeira non ha esitato a definire “land grabbing legalizzato” , accaparramento della terra. 

Oltre a cancellare una delle aree protette dall’amministrazione Roussef, e a ridimensionare le altre quattro inserite nel progetto, il neopresidente ha condonato tutti i responsabili di deforestazione fino al 2011. Secondo la nuova legge, infatti, chiunque si sia appropriato di pezzi di terra in Amazzonia prima del 2011 ne uscirà indenne. Prima, questa sanatoria, arrivava solo fino al 2004.

Secondo dati dell’Agenzia federale per l’ambiente brasiliana (Ibama) e dell’Istituto nazionale per la ricerca sul territorio (Inpe), il logging illegale nelle zone tutelate dalla legge è stato in crescita tra il 2011 e il 2015, passando dal 27 al 36% del totale delle aree disboscate nello stato. La creazione di riserve protette aveva invertito la tendenza.

La decisione presa da Temer ha suscitato reazioni negative nell’opinione pubblica internazionale e, in particolar modo, sulla Norvegia, paese che più di tutti si è impegnato (anche economicamente) alla protezione della foresta pluviale più grande del mondo. Il governo di Oslo, infatti, ha contribuito con più di un miliardo e duecento milioni di dollari al fondo creato nel 2008 da Brasilia per lottare contro l’abbattimento delle foreste. 

“Ho espresso la mia inquietudine per il sensibile aumento della deforestazione in Brasile”, aveva dichiarato Erna Solberg , prima ministra norvegese, ”un aumento documentato avrà per conseguenza una riduzione dei pagamenti della Norvegia”. E, stando ai dati raccolti dai satelliti in possesso del regno nordico, i dati vanno decisamente contro alle politiche brasiliane: la deforestazione in Amazzonia è aumentata del 24 per cento nel 2015 e del 29 per cento nel 2016, portando a quasi ottomila i chilometri quadrati distrutti nel corso di questo periodo.

“Abbiamo registrato un’accelerazione della deforestazione in Brasile, quindi verseremo meno soldi”, ha dichiarato laconico Vidar Helgesen, ministro norvegese dell’Ambiente e del clima. E dalle parole Oslo è già passato ai fatti riducendo i fondi disponibili per il 2017, stanziando 35 milioni di dollari al posto dei 65 milioni investiti nel 2016. 

Un altro attore che si è mosso in prima persona per difendere la regione amazzonica è Google Earth. Il colosso della Silicon Valley ha presentato in questi giorni Eu SoAmazônia (io sono l’Amazzonia), un progetto inserito nella sua applicazione e nel suo sito web che consente il monitoraggio (quasi) in tempo reale della deforestazione dell’immensa regione amazzonica. Il duplice scopo è quello di sensibilizzare circa l’incommensurabile patrimonio etno-culturale, naturalistico e turistico e sulle conseguenze della progressiva distruzione delle risorse naturali; il programma faciliterà anche agli indigeni il compito di controllare la depredazione e la deforestazione illegale.

Proprio tra gli indigeni Brasiliani si conta il numero maggiore di vittime tra coloro che hanno dato la vita per difendere la propria terra.

Tra coloro che si battono contro la deforestazione vi è anche il leader del popolo suruí, Almir Suruí, che ha sottolineato l’importanza dell’attività promossa da Google Earth nel far conoscere i problemi della regione al mondo valorizzando, inoltre, l’apporto del progetto nella formazione delle persone dei popoli originari all’uso della tecnologia. Grazie al gigante della Silicon Vlley, ha spiegato Almir, i giovani della sua tribù (che conta 1500 persone) stanno imparando a effettuare rilevamenti e a redigere contenuti.

Qui il video promosso da Google Earth

 

 

Fonti e Approfondimenti

Fai clic per accedere a difensori-diritti-umani-terra.pdf

http://www.inpe.br/index.php

Google Earth lotta per l’Amazzonia

http://www.greenpeace.org

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