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Ristagno e potenzialità dell’economia in Cisgiordania

West Bank

@Borja García de Sola Fernández - CC BY 2.0

Un report del Fondo Monetario Internazionale (IMF) datato agosto 2016 definiva l’economia palestinese «stagnante». Per capire motivazioni e dettagli della situazione economica di quest’area si deve necessariamente allargare la visuale e cercare di comprendere come la situazione politica impatti sulla vita della società palestinese.

Il 2017 segna i 50 anni dell’occupazione israeliana dei territori palestinesi: durante questo periodo di tempo sono stati firmati diversi accordi per l’avvio di un processo di pace tra Israele e Palestina, ma ancora oggi la riconciliazione sembra lontana. La situazione che nel frattempo si è andata creando sul territorio ha impedito lo sviluppo di una economia florida da parte palestinese, che anzi è caratterizzata da enormi fragilità strutturali. Come conseguenza, le tensioni sociali sono all’ordine del giorno.

La situazione economica in Cisgiordania

La crescita economica è molto ridotta, e dipende fortemente dagli aiuti esteri e dalle rimesse dei lavoratori palestinesi all’estero, peraltro in declino. Gli ultimi dati disponibili riportano che la disoccupazione coinvolge un quarto della forza lavoro, principalmente i giovani, e che il 18% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà (2011). L’inflazione, invece, è sotto controllo.

Fin dal 1967, l’economia dei territori occupati è stata incorporata in quella israeliana, per cui si è sviluppata fragile e fortemente dipendente da quest’ultima. Nel 1994, poi, sono stati firmati i Protocolli di Parigi, che hanno formalizzato le relazioni economiche e finanziarie tra i due, sancendo la nascita di un’unione doganale. Questo tipo di accordo, nato in realtà ad interim, non ha comportato né la demarcazione dei confini palestinesi né la totale eliminazione di questi, lasciando così la situazione territoriale ancora sospesa.

Il territorio della Cisgiordania è suddiviso quindi in tre aree: l’Area A, che costituisce il 18% e nella quale sono presenti i maggiori centri urbani, è sotto il pieno controllo delle autorità palestinesi; l’Area B è caratterizzata dal controllo civile palestinese, mentre la sicurezza è affidata alle forze israeliane; l’Area C, infine, è sotto il pieno controllo di Israele.

[Per la storia più dettagliata degli insediamenti rimandiamo a questo articolo]

Sono in molti a sostenere metaforicamente che la presenza di Israele «strangoli» l’economia cisgiordana, impedendo pieno sviluppo e crescita: questa analisi si basa su diversi spunti.

Innanzitutto, come si nota dalla mappa, l’assenza di contiguità territoriale, unita a diverse restrizioni israeliane al movimento, ha portato alla frammentazione dell’economia in piccoli mercati non connessi. Sono infatti presenti diversi checkpoint, il controllo sul trasporto di qualsiasi tipo di prodotto è molto rigido, e i cisgiordani hanno bisogno di richiedere permessi – spesso negati – per l’accesso ad alcune aree. Il trasporto di merci sia all’interno che all’esterno del territorio risulta perciò difficile.

L’imprevedibilità e l’incertezza della situazione politico-sociale, poi, ha determinato un clima ostile per gli investimenti, impedendo un proficuo sviluppo e favorendo problemi legati alla disoccupazione e alla povertà.

Ma la questione più complessa riguarda l’Area C, il 61% del territorio cisgiordano: quest’area doveva essere gradualmente trasferita sotto il controllo delle autorità palestinesi, ma si trova ancora interamente sotto il controllo delle forze israeliane. Proprio qui si trova piuttosto la maggior parte delle colonie israeliane, la cui quantità è aumentata nel tempo nonostante le condanne arrivate a livello internazionale. Nel frattempo, questi territori, ricchi di acqua e altre risorse grazie alla presenza del Mar Morto, vengono sfruttati economicamente da Israele, mentre accessi, costruzioni e investimenti da parte palestinese vengono limitati, e molti terreni confiscati.

Il potenziale dell’Area C

Uno studio effettuato dalla Banca Mondiale ha voluto indagare il potenziale dell’Area C e analizzare i miglioramenti che il libero accesso a questi territori potrebbero comportare per l’economia palestinese.
L’analisi si basa sullo sviluppo nello specifico di cinque settori:

  1. Il settore agricolo potrebbe generare da solo centinaia di milioni di dollari: questi territori sono infatti molto fertili e ricchi di risorse di acqua [il cui accesso è peraltro regolato e gestito dalle autorità israeliane, e decisamente limitante per i palestinesi].
  1. Il settore delle estrazioni è oggi assai limitato a causa della mancata concessione o del rinnovamento delle licenze. L’accesso a cave e miniere attrarrebbe investimenti e conseguente produzione di valore aggiunto pari a più di un miliardo di dollari.
  2. Anche il settore delle costruzioni avrebbe molto potenziale se fosse possibile l’accesso a questi territori. Il prezzo dei terreni diminuirebbe, rendendoli più accessibili; i costi per la costruzione di nuovi immobili calerebbe e, di conseguenza, i costi di vendita. Si genererebbe così un aumento della domanda e milioni di dollari.
  3. Il settore turistico è un’altra importante fonte di investimento: l’accesso all’Area C equivarrebbe all’accesso alle coste del Mar Morto, e un potenziale richiamo turistico.
  4. Infine, il settore delle telecomunicazioni avrebbe la possibilità di svilupparsi costruendo un efficiente network di servizi e infrastrutture.

Investimenti e sviluppo di questi settori genererebbero miliardi di dollari e sbloccherebbero l’economia palestinese, che al momento non è in grado di produrre alcun investimento o occupazione. I benefit derivanti dalla messa in moto dell’economia porterebbero anche effetti di spillover e una crescita importante del PIL. Parliamo della riduzione del deficit fiscale, della creazione di moltissimi posti di lavoro, della riduzione della povertà, di una minore dipendenza dagli aiuti esteri. E anche, il miglioramento degli standard di vita della popolazione, l’incremento della qualità e dell’accessibilità delle infrastrutture, la diminuzione delle tensioni sociali.

Come procedere

Riconciliazione interna e evolversi degli accordi di pace sono necessari per avviare e sostenere la crescita economica in Palestina. Il ruolo e la volontà di Israele a questo proposito sono fondamentali: non è certa però la posizione che questo voglia assumere nel prossimo futuro. Al giorno d’oggi gli scambi commerciali della Cisgiordania si svolgono per la maggior parte proprio con lo stato ebraico (l’import per un 70% e l’export per più dell’80%), e molta forza lavoro palestinese è occupata nelle colonie. È cruciale anche il ruolo giocato dagli Stati Uniti, sia come fonte di investimento che come forza mediatrice: anche in questo caso, però, le politiche del governo Trump sono incostanti e poco chiare.

Dal canto loro, le autorità palestinesi, accusate di corruzione e clientelismo, devono procedere alla costruzione di un sistema finanziario stabile per attrarre investitori e preparare il campo per lo sviluppo del settore privato attraverso riforme e credibilità, nonché impegnarsi nel miglioramento nei settori di istruzione e servizi.

 

Fonti e approfondimenti

http://www.aljazeera.com/indepth/features/2017/07/myth-palestinian-economy-170706060337109.html

https://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:sICf3QlUfJgJ:https://www.imf.org/~/media/Files/Countries/ResRep/WBG/2016WBGRR.ashx+&cd=2&hl=it&ct=clnk&gl=it

https://www.ft.com/content/aa376bfc-54f0-11e7-9fed-c19e2700005f?mhq5j=e5

https://www.foreignaffairs.com/articles/israel/2017-06-13/start-palestine

 

 

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