Come funziona la Politica Agricola Comune

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

La Politica Agricola Comune (PAC) è una delle politiche più “antiche” a livello europeo e anche una delle più importanti. Questa assorbe infatti il 39% del budget comune ma, in passato, veniva finanziata con più del 70%. Nata dall’esigenza di fornire cibo a un continente uscito dalla guerra ha visto via via mutare le condizioni produttive e di mercato intorno a sé. Oggi, dopo diverse riforme, che ne hanno principalmente ridimensionato il peso finanziario è opportuno chiedersi se la PAC non vada ripensata radicalmente.

Circa il 70% del territorio dell’Unione Europea è classificato come “rurale ed è abitato da quasi la metà della popolazione europea. Più di 10 milioni di individui sono coltivatori a tempo pieno e i settori dell’agricoltura e della lavorazione dei prodotti agricoli, secondo i dati del 2013, costituiscono il 6% del Pil europeo dando lavoro a  circa 46 milioni di persone.

Le imprese a conduzione familiare sono una parte importante del sistema agricolo: infatti, a differenza degli Stati Uniti, dove 2 milioni di coltivatori gestiscono una media di 180 ettari per proprietà, in Europa 12 milioni di coltivatori gestiscono una media di 15 ettari.

 

Gli obiettivi della PAC

Le politiche europee riguardanti il settore agricolo sono partite nel 1962. Gli obiettivi della politica agricola comune (PAC) sono elencati dall’art. 39 del TFUE come segue:

  • Incrementare la produttività dell’agricoltura
  • Assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola
  • Stabilizzare i mercati
  • Garantire la sicurezza degli approvvigionamenti
  • Assicurare prezzi ragionevoli ai consumatori

Un ulteriore obiettivo è quello della armonizzazione legislativa tra i paesi membri. Leggi differenti potrebbero, infatti, creare problematiche a chiunque tenti di commerciare tra due paesi. In tale direzione si sono mosse alcuni regolamenti comunitari su conservanti, coloranti, uso di ormoni ecc…. L’obiettivo più generale di eliminare tutte le barriere “invisibili” non può tuttavia ancora dirsi completato.

 

Il processo decisionale e il budget della PAC

Il processo decisionale riguardante la PAC parte dalla Commissione: prima della formulazione delle proposte c’è un importante step di consultazione, studio e confronto con le parti interessate (è in questa sede che i gruppi d’interesse influenzano maggiormente l’azione politica). In seguito la proposta di testo è rimessa al voto al Parlamento Europeo e al Consiglio dei Ministri dell’Agricoltura seguendo la procedura legislativa ordinaria.

Le spese della PAC sono sostenute dal bilancio dell’Unione Europea e le voci principali riguardano tre tipologie:

La prima e più consistente è quella dei pagamenti multifunzionali, che rispondono a precisi obiettivi. I singoli Stati sono obbligati a versare ai propri agricoltori sussidi (forniti dall’Unione) per le seguenti categorie:

  1. Un «pagamento di base» per ettaro.
  2. Una componente «verde», sotto forma di un sostegno supplementare a compensazione dei costi legati alla fornitura di beni pubblici ambientali non remunerati dal mercato.
  3. Un pagamento supplementare ai giovani agricoltori (meno di 40 anni).

Ulteriori vincoli sono costituiti dall’obbligo per lo Stato di versare il 30% della sua dotazione annuale alla componente “verde lasciando il restante 70% ai pagamenti base e ai sussidi ai giovani agricoltori.

La seconda è costituita dalle misure a supporto del mercato. Tali misure si attivano, ad esempio, qualora una stagione venga colpita da climi sfavorevoli che destabilizzerebbero il mercato. Questa voce costituisce poco meno del 10% del budget totale PAC.

L’ultima è costituita dalle misure per lo sviluppo rurale. Tali sussidi sono volti a spingere i coltivatori a modernizzare le loro strutture e a diventare maggiormente competitivi continuando comunque a proteggere l’ambiente, a contribuire alla diversificazione della produzione e alla vitalità delle comunità rurali. Questa voce costituisce il 20% del bilancio totale PAC.

 

L’intervento sul livello dei prezzi e sulle importazioni

L’azione della PAC non si limita solamente ai sussidi elencati, per adempiere agli obiettivi prefissati le azioni necessarie possono rendere necessario un intervento a livello di mercato. Vediamo quali:

  • La prima di queste azioni è l’imposizione di dazi sulle importazioni di specifici prodotti verso l’Unione: fissando questi a un livello tale da far salire i prezzi di mercato ai livelli desiderati.
  • La seconda è l’imposizione di quote sulle importazioni: usate per diminuire l’afflusso di prodotti agricoli provenienti dall’estero. Molti paesi non membri negoziano con l’Unione una quota di prodotti commerciabili che possono così entrare nel mercato europeo senza la barriera dei dazi. Fino al 2015 era invece in vigore la produzione a quote (come le celebri quote latte), che prevedeva una quota per determinati prodotti che, se superata dai singoli produttori, comportava come pena per questi un tributo economico.
  • La terza è l’imposizione di fasce di prezzo in cui intervenire: L’unione fissa un prezzo da mantenere e contemporaneamente stabilisce un prezzo inferiore superato il quale dovrà intervenire. L’Unione provvederà dunque a non far oltrepassare dal prezzo reale i due parametri fissati.

La riflessione sulla PAC, dalle riforme alla necessità di un rilancio

Essendo una delle politiche europee più “antiche”, la PAC ha vissuto diverse fasi.
Le varie riforme che si sono succedute negli ultimi decenni hanno, in modo più o meno graduale, modificato l’assetto della Pac in riposta alla necessità del settore agricolo di adeguarsi ai mutati scenari di relazioni internazionali (accordi Gatt/Wto), alle più restrittive condizioni di bilancio, all’allargamento verso Est e alla crescente importanza delle tematiche climatico ambientali. Tuttavia, nonostante gli importanti cambiamenti intervenuti nella filosofia del sostegno e negli strumenti adottati, la Pac è rimasta una politica tendenzialmente isolata, arroccata in difesa degli interessi finanziari degli agricoltori e poco propensa a mettersi completamente in discussione.

Ultimamente la riflessione a livello generale sul futuro dell’Unione Europea ha coinvolto trasversalmente anche la PAC. Pubblicato dalla Commissione nel 2017, il libro bianco sul futuro dell’Europa ha toccato trasversalmente anche la questione della politica agricola che l’Unione dovrà darsi da qui al 2025.

Partendo dai risultati raggiunti nel corso degli anni in termini di prosperità, pace e garanzia delle libertà fondamentali, ma tenendo conto anche dalle criticità e delle sfide poste dalle recenti trasformazioni legate alla globalizzazione, alle migrazioni, ai cambiamenti climatici e, non ultimo, alla percezione di insicurezza dovuta agli attacchi terroristici, vengono definiti cinque scenari destinati ad orientare il dibattito per il prossimo futuro.

Alla politica agricola è fatto lievemente riferimento nelle riflessioni sulla dimensione sociale dell’Europa e in quelle sulla globalizzazione, mentre la PAC torna ad avere importanza nel documento quando si parla di questioni finanziarie. Leggendo il documento si comprende come si svilupperà la futura gestione della politica agricola comune.

Questa infatti è destinata a vedere diminuite progressivamente le proprie risorse finanziarie. Sia in un ipotetico scenario di bilancio stabile (scenario 1 e 3 delle ipotesi della Commissione) che in uno scenario di bilancio ridotto (scenario 2 e 4) prevalgono  esigenze finanziarie rispetto a “nuove” priorità. Quali? Ovviamente le circostanze rendono doveroso un aumento delle spese in difesa, lotta al terrorismo, gestione della migrazione e delle frontiere. Tali nuove esigenze potranno essere soddisfatte prevedendo fonti di finanziamento alternative e/o effettuando dei tagli di bilancio (dell’UE) che andrebbero a colpire prioritariamente, ma anche inevitabilmente, le due politiche che, assieme, assorbono il 70% delle risorse finanziare comunitarie, vale a dire la PAC e la politica di coesione.

Quale destino per la  PAC?

Tra le proposte le più importanti e realizzabili ci sono ad esempio:

  • Introduzione del cofinanziamento statale
  • Introdurre strumenti di gestione dei rischi
  • Rafforzamento delle sinergie con altri fondi strutturali

In conclusione, così come era già successo in occasione della riforma 2014-2020, il futuro della Pac nell’ambito del futuro dell’Unione è inesorabilmente ridimensionato dalla necessità di dare più spazio e soprattutto più fondi ad altre attività. Per questo motivo, in quasi tutti gli scenari (tranne l’ultimo), viene proposto di modificare il target dei pagamenti diretti (premiando gli agricoltori che si confrontano con vincoli e obiettivi specifici).

Il maggior rischio collegato alla mancanza di dibattito e al semplice ridimensionamento finanziario è l’isolamento della Pac dal contesto più generale di rilancio dell’UE, relegando la sua riforma ad un “affare” da gestire internamente, con ovvie conseguenze sulla sua comprensione, trasparenza e accettabilità. La Pac, al contrario, avrebbe tutto da guadagnare da un dibattito che uscisse fuori dallo stretto recinto degli interessi agricoli e che, invece, la ponesse accanto alle altre politiche comunitarie per la fornitura di beni pubblici europei e il conseguimento di un comprovato valore aggiunto a livello europeo.

 

 

Fonti e approfondimenti

https://agriregionieuropa.univpm.it/en/node/9890?qt-eventi=2

http://www.oecd.org/eu/evaluationofagriculturalpolicyreformsintheeuropeanunion.htm

https://ec.europa.eu/agriculture/cap-overview_en

https://ec.europa.eu/agriculture/cap-overview/history_en

http://eur-lex.europa.eu/legal-content/it/TXT/PDF/?uri=CELEX:32013R1306

 

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