La Politica estera dell’Unione europea: una nuova definizione

Bandiere dell'UE e di Paesi membri
Wikimedia Commons - CC-BY-SA-2.5

Le sfide geopolitiche che costellano l’attuale panorama internazionale mettono sempre più sotto pressione quegli attori che se ne considerano parte attiva ed integrante. Tra questi troviamo l’Unione Europea, la cui “politica estera e di sicurezza si è progressivamente sviluppata nel corso degli anni, consentendole di esprimersi con un’unica voce sulla scena mondiale”, secondo quanto affermato nel sito ufficiale. Ciononostante, l’Unione Europea è spesso oggetto di critiche per mancanza di coerenza, debolezza e inazione nel contesto globale. Ma cosa intendiamo veramente per “politica estera dell’Unione Europea”? Chi sono gli attori coinvolti nel processo decisionale? Quali sono gli obiettivi reali degli stati membri?

La multidimensionalità della politica estera UE

Secondo la definizione canonica, la politica estera dell’UE corrisponde a ciò che i Trattati definiscono come Politica estera e di sicurezza comune (Common Foreign and Security Policy). Per cogliere a pieno il raggio d’azione dell’UE, è però necessario prendere in considerazione tutte quelle politiche che sono orientate verso l’ambiente esterno con l’obiettivo di influenzare l’andamento e il comportamento degli altri attori coinvolti, sulla base di determinati valori ed interessi. Tale prospettiva ci permette di fare luce sulla multidimensionalità della politica estera dell’UE, i cui componenti principali sono:

  • Politica estera e di sicurezza comune (PESC): consiste nella cornice entro la quale l’UE si prefigge di preservare la pace e rafforzare la sicurezza internazionale, promuovere la collaborazione internazionale, sviluppare e consolidare la democrazia, lo stato di diritto e il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali (tra queste ricordiamo la politica europea di vicinato, le missioni di monitoraggio, gli aiuti allo sviluppo);
  • Politica di sicurezza e difesa comune (PSDC): operazioni comuni di disarmo, missioni umanitarie e di soccorso, azioni di consulenza e assistenza militare, prevenzione dei conflitti e mantenimento della pace, gestione delle crisi, stabilizzazione post-conflitto;
  • Azione Esterna: politiche esterne (policies) e relazioni esterne tra cui politica commerciale, accordi di associazione e cooperazione, politica di sviluppo e politica umanitaria;
  • Politiche interne con dimensione esterna: tali vengono definite tutte quelle politiche che, seppur formalmente rivolte alla gestione di questioni interne all’Unione, hanno forti ripercussioni in termini di politica estera (energia, ambiente, immigrazione e asilo politico, sicurezza e giustizia).

Una componente spesso dimenticata è l’interazione con (e tra) le politiche estere degli stati membri. Gli stati membri mantengono, infatti, un alto livello di autonomia e competenza nel campo della politica estera.  La dichiarazione n° 14 al Trattato sull’Unione Europea sottolinea questo aspetto:

le disposizioni riguardanti la politica estera e di sicurezza comune, comprese quelle relative all’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e al servizio per l’azione esterna, non incidono sulla base giuridica, sulle responsabilità e sui poteri esistenti di ciascuno Stato membro per quanto riguarda la formulazione e la conduzione della sua politica estera, il suo servizio diplomatico nazionale, le relazioni con i paesi terzi e la partecipazione alle organizzazioni internazionali compresa l’appartenenza di uno Stato membro al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Competenze, attori, obiettivi: il ruolo dimenticato degli stati membri

Storicamente gli stati membri si sono dimostrati restii alla cessione di sovranità nazionale in materia di politica estera: l’UE non ha una base legale che le conferisca una generale competenza ad agire in ambiente esterno. Come anticipato, le è certamente concesso di agire sul piano internazionale, ma soltanto in un numero ristretto di settori. Guardando alle competenze esterne, possiamo distinguere tre grandi categorie:

  • Competenze esplicite chiaramente indicate nei Trattati, riguardano otto settori chiave: commercio, accordi di associazione, ambiente, moneta unica, ricerca, cooperazione allo sviluppo, aiuti umanitari, politica di vicinato;
  • Competenze implicite: l’attribuzione di queste competenze non deriva direttamente dagli stati membri, e quindi dai Trattati, ma piuttosto dall’interpretazione delle norme dei Trattati da parte della Corte di Giustizia Europea. Tramite una sentenza degli anni Settanta, la Corte ha imposto il cosiddetto principio ERTA: laddove i trattati riconoscono all’UE competenze esplicite (ad esempio trasporti) o qualora le istituzioni comunitarie abbiano adottato misure in un settore specifico, l’UE dispone di competenze analoghe per concludere accordi con paesi terzi in quel determinato settore (principio del parallelismo: in foro interno, in forno externo).
  • Competenze sussidiarie: quando manca una competenza esplicita o implicita per raggiungere uno degli obiettivi del Trattato connessi al mercato unico, l’articolo 352 del TFUE dà al Consiglio la possibilità di adottare all’unanimità le misure che esso ritenga necessarie.

Tuttavia, nel tentativo di analizzare la politica estera dell’UE, è fondamentale ricordare il principio di conferimento di poteri. Occorre, infatti, operare un’ulteriore distinzione tra:

  • Competenze esclusive per cui gli stati membri hanno rinunciato alla propria sovranità nazionale (Art. 3 TFUE);
  • Competenze condivise tra l’Unione e gli stati membri. In questo caso, però, se l’Unione ha già esercitato la propria competenza, gli stati membri saranno tenuti a seguire la sua politica;
  • Competenze di sostegno: in questo caso, anche se l’Unione ha già esercitato la propria competenza, gli stati membri possono continuare ad attuare politiche proprie (Art. 6 TFUE).

In materia di politica estera sensu lato la distribuzione delle competenze non è, quindi, sempre chiara. Molto spesso gli attori coinvolti, oltre a scontrarsi nelle cosiddette “battaglie territoriali” (turf battles), sviluppano pratiche alternative per guadagnare voce. Un esempio tipico è quello del Parlamento Europeo che, in quanto formalmente escluso dalla maggior parte delle decisioni riguardanti la politica estera in senso stretto, spesso utilizza il bilancio e altri strumenti finanziari per bloccare o sostenere determinate posizioni o iniziative.

Il peso degli attori coinvolti è, infatti, strettamente legato al tipo di processo decisionale previsto per una determinata norma. Seppur da intendere come i due estremi di un continuum, è possibile delineare due categorie principali:

  • Metodo intergovernativo: generalmente si applica in materia di PESC e PSDC, gli attori principali sono il Consiglio dei Ministri e il Consiglio Europeo. Questo significa che gran parte del potere decisionale rimane agli stati membri, rappresentati dai propri capi di stato/governo e ministri;
  • Metodo (i) comunitari (o): una serie di procedure le quali prevedono il coinvolgimento di Parlamento, Commissione e Corte di Giustizia. Tali metodi vengono, invece, adottati per la stesura di norme relative all’azione esterna e alle cosiddette politiche interne con dimensione esterna.

Spostando il nostro punto focale dal processo decisionale (decision-making) al policy-making process, ovvero il processo di costruzione reale di una politica, ci accorgeremo presto del più ampio numero di attori coinvolti. In primis, ricordiamo l’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza (contemporaneamente uno dei Vice-Presidenti della Commissione) sotto la cui autorità opera il Servizio Europeo per l’Azione Esterna. Seppur non direttamente coinvolti nei processi decisionali, sono i rappresentati speciali dell’UE, assieme alle delegazioni UE, a rappresentare l’Unione nei paesi terzi e a gestire crisi locali.

A mancare nelle foto di gruppo sono, poi, molti altri: il COREPER, il Comitato Politico e di Sicurezza e i gruppi di lavoro (ovvero le sottostrutture diplomatiche e burocratiche della Commissione), l’Agenzia Europea per la Difesa, l’Istituto dell’UE per gli studi sulla sicurezza, le varie agenzie come Frontex, Eurojust ed Europol, la Banca Europea per gli investimenti, il Fondo Europeo per gli investimenti, la Banca Europea per la ricostruzione e lo sviluppo. Sul piano globale l’Unione Europea non può fare a meno di collaborare con altre organizzazioni internazionali come la NATO, le agenzie delle Nazioni Unite, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Infine, come negare un ruolo a tutti quegli attori non-statali (gruppi di interesse, organizzazioni della società civile, aziende private) che, tramite la pratica sempre più affermata di lobbying, riescono ad influenzare il corso delle politiche targate UE?

L’interazione tra i vari attori e i rapporti tra le varie istituzioni sono complessi e intricati, ma un importante figura di collegamento è l’Alto Rappresentate, ponte tra Commissione, Consiglio “Affari Esteri”, Consiglio Europeo, Parlamento e Servizio Europeo per l’Azione Esterna.

Alla luce della complessità del sistema istituzionale e del numero degli attori coinvolti, non resta che soffermarci sugli obiettivi della politica estera dell’UE.  A questo proposito: siamo sicuri che la soluzione di una crisi internazionale, di un disastro naturale così come la creazione di un’area di libero scambio – ovvero quelli che potremmo definire come “obiettivi esterni” – siano sempre la vera ragione per cui l’UE decide di agire? O meglio, la ragione per cui gli stati membri decidono di intervenire tramite le strutture e le istituzioni europee?

In effetti, sono spesso gli stati membri a decidere se operare tramite l’UE o altre istituzioni, come potrebbe essere la NATO. Il dilemma tra integrazione europea e solidarietà transatlantica è un classico che ha sempre afflitto gli stati europei nel secondo dopoguerra. Lungi dall’essere neutrale, la scelta di europeizzare la propria politica estera ha infatti una logica specifica, in quanto permette di perseguire anche obiettivi interni:

  • Inter-relazionali quando volti al miglioramento delle relazioni tra gli stati membri. (Lo stesso processo di integrazione europeo è stato lanciato per gestire la storica inimicizia tra la Germania e i suoi vicini, tra cui la Francia in primis).
  • Di integrazione: gli stati membri possono promuovere o intraprendere nuove iniziative in politica estera con l’obiettivo di rilanciare il processo di integrazione o di influenzare la natura del progetto europeo. Un esempio è la creazione della stessa Politica estera e di sicurezza comune con il Trattato di Maastricht (1993), volta non solo al rilancio dell’integrazione, ma anche alla limitazione dell’UE come attore internazionale tramite la scelta del metodo intergovernativo.
  • Identitari: sottolineare la specificità dell’approccio europeo alla politica internazionale, differenziarsi da altri attori rafforzare l’identità europea.

Allo stesso modo, una sorta di divisione del lavoro informale sembra essersi ormai affermata nella pratica della politica estera dell’UE. Molte volte sono piccoli gruppi di stati membri (spesso assieme alla Commissione e all’Alto Rappresentante) a prendere in mano le redini di determinati progetti o missioni, diventando rappresentanti dell’intera Unione in quell’ambito. Nel 2014, ad esempio, è stato il cosiddetto EU-Team (tra cui spiccavano Regno Unito, Germania e Commissione) a gestire le trattative sul clima a Lima. Allo stesso modo le trattative sugli accordi di Minsk per la risoluzione del conflitto in Ucraina sono state portate avanti dal cosiddetto Normandy Group, in cui soltanto Francia e Germania (quindi Hollande e Merkel) fecero le veci dell’UE.

Tale divisione avviene tramite il tacito consenso degli altri stati membri, che sembrano favorire tale pratica quando l’UE può risultarne più forte in termini di credibilità internazionale. Ancora una volta, questo dimostra come, aldilà dell’innegabile sviluppo storico che le strutture dedicate alla politica estera hanno attraversato, la strada verso un sovra-nazionalismo disinteressato e fine a sé stesso sia ancora molto lunga.

 

Fonti e Approfondimenti

Trattati dell’Unione Europea

Exploring EU Foreign Policy

Keukeleire, Stephan and Tom Delreux (2014), The Foreign Policy of the European Union (2nd edition), (Basingstoke, Palgrave)

Delreux, T. and S. Keukeleire (2017), ‘Informal Division of labour in EU foreign policy-making ’, Journal of European Public Policy, Vol. 24, No.10, pp. 1471-1490.

EUROPA – PESC 

 

 

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