La creazione del “mondo russo” in Europa

vucic putin
kremlin.ru - CC BY 4.0

La Russia sta da tempo cercando di espandere la propria influenza e il proprio modello sociale e politico verso l’Europa centro-orientale. A questo scopo, oltre al già collaudato strumento militare, ha a disposizione il cosiddetto soft power, vale a dire il proprio apparato diplomatico, economico e culturale.

Dalla transizione democratica a Putin

Nel periodo immediatamente successivo alla fine della Guerra Fredda, la Russia si era avviata verso quella che, agli occhi degli osservatori occidentali, sembrava una vera e propria rivoluzione liberale. Il governo Eltsin si mostrava amichevole e spingeva per profonde riforme istituzionali ed economiche; il vecchio modello basato sull’onnipresenza dello stato negli affari economici cedeva il passo alla mano invisibile del mercato capitalista e alla transizione verso la democrazia, confermata dal fallimento di Gorbaciov nel salvare l’Unione Sovietica e dall’elezione dello stesso Eltsin. L’ottimismo e la fiducia nella democrazia fecero parlare Fukuyama di “fine della storia” e il sistema internazionale occidentale sembrò in grado di garantire sicurezza in qualunque area del mondo, grazie alla sua multilateralità ed inclusività.

Con il passare del tempo e la crisi economica del 1998, l’opinione pubblica russa cominciò a rendersi conto di come il nuovo corso delle cose non fosse in grado di garantire la ricchezza che prometteva, con la maggior parte della popolazione che rimaneva ben al di sotto degli standard occidentali. Perciò, verso la fine del millennio, accolse con gioia una leadership forte, ritenuta in grado di risollevare la Russia sotto ogni punto di vista: quella di Vladimir Putin. In questo primo momento, l’ex capo dei servizi segreti sovietici si occupò di risistemare la situazione economica interna, riuscendo parzialmente nell’intento, soprattutto grazie al ruolo del settore energetico. In tempi più recenti, in una tendenza osservabile almeno dagli anni 2000, l’attenzione di Putin si è progressivamente rivolta verso l’espansione della NATO e dell’Unione Europea verso est e il suo atteggiamento al riguardo è diventato sempre più ostile.

Deciso quindi a ostacolare il quanto più possibile questo processo, nonché a rendere nuovamente la Russia una potenza mondiale, Putin ha due macro-strumenti a sua disposizione: quello militare – visto all’opera in Georgia, in Crimea, in Siria – e il cosiddetto soft power. Con questo termine, coniato da Joseph Nye nei tardi anni ’80, si intende la capacità di influenzare il comportamento di altri attori tramite la persuasione e gli strumenti culturali ed economici, invece che tramite la coercizione.

L’uso del soft power nel contesto strategico

Non vi è disaccordo, tra gli studiosi, nel definire l’Unione Europea la “regina” del soft power. Priva dei tradizionali strumenti militari a disposizione dei normali stati (è infatti dipendente dalla NATO per la propria sicurezza), rappresentante del più grande blocco economico mondiale e auto-proclamatasi portabandiera dei diritti umani e dei valori occidentali, sembra avere tutti gli strumenti per modificare le azioni dei suoi vicini più prossimi senza il bisogno di ricorrere alla forza.

Per quanto ciò sia certamente vero, non bisogna sottovalutare l’attrazione che Mosca esercita nell’Europa centro-orientale e nei Balcani, principale terreno di scontro tra i due giganti. Se Bruxelles punta alla trasformazione dell’intera area in stati a lei amichevoli e democratici, con l’obiettivo finale di offrire loro lo status di membri, la strategia russa è volta ad impedire questo processo. Non solo vi è da tempo il tentativo di mettere in cattiva luce le istituzioni comunitarie, Mosca supporta attivamente leader e movimenti nazionalisti in tutta Europa, indebolendo il sentimento di unità necessario per la sopravvivenza del progetto europeo. Lo scopo è quello di mantenere uno scacchiere di piccoli stati, che possano essere più facilmente influenzati e controllati secondo una strategia di divide et impera. Non a caso, si trovano spesso bandiere russe nel corso di dimostrazioni a supporto di realtà secessioniste come quelle della Transnistria, regione della Moldavia che, se indipendente, orbiterebbe attorno a Mosca.

Diametralmente opposti gli obiettivi dell’Unione, che ricaverebbe solo vantaggi da una maggiore stabilità nell’area e dalla partecipazione attiva dell’Europa centro-orientale nel mercato unico. L’incentivo economico offerto dall’Unione – la partecipazione al mercato unico – è molto più di quanto la Russia possa promettere agli stati nell’area. Questi ultimi lo sanno ed esitano ad allontanarsi dal progetto comunitario per la paura di perdere un’enorme possibilità di guadagno e benessere. Ma questo non vuol dire che siano coinvolti nel progetto culturale europeo o che ne condividano gli ideali di fondo. Al contrario, paesi come la Serbia, il Montenegro e, in parte, la Bulgaria sono caratterizzati da una vicinanza culturale e storica con la Russia molto più forte che con i paesi dell’Europa Occidentale e si trovano al centro di una forte tensione tra le due correnti. Sono in molti a ritenere che il progetto europeo attiri la razionalità ma non i cuori, e questi paesi sono l’esempio perfetto di questa dinamica.

Il Russkiy mir, il modello politico russo

La Russia cerca di promuovere, più in generale, un’idea dello stato e della sua organizzazione sociale riassumibile nel concetto di Russkiy mir, “mondo russo”, di origine ottocentesca. I tre pilastri sono pravoslavie, samoderzhavstvo e narodnost, rispettivamente religione ortodossa, potere dello zar e nazionalità. L’idea di Russkiy mir si è evoluta nel tempo, prima adattandosi al periodo sovietico e poi reincarnandosi sotto Putin e, di fatto, punta sull’accentramento del potere in una sola persona in grado di espandere l’influenza e la cultura russa in patria e altrove, con la Chiesa Ortodossa, molto influente in Russia, sotto il controllo del governo.

Un’ideologia di questo tipo crea inevitabilmente un contrasto tra la nazione e un “altro”, che è cambiato a seconda del tempo e del contesto: attualmente questo “altro” è l’Occidente insieme a tutti coloro, come gli Ucraini pro-europei, che ne supportano la causa. È chiaro che, in un’area fino a venticinque anni fa sotto il diretto controllo sovietico, l’influenza di questo tipo di pensiero risulta ancora presente – in modalità e profondità molto diverse – e determina un vantaggio culturale russo, malgrado la transizione liberale e democratica degli anni novanta e duemila.

Ecco perché la Russia supporta fortemente tutte quelle realtà autoritarie, nazionaliste e anti-UE che esistono tutt’oggi in Europa centro-orientale. Non solo queste sono molto più simili al modello previsto dal Russkiy mir di quanto non siano paesi più favorevoli al progetto europeo; se dovessero avere successo, sarebbero più facilmente controllabili dalla Russia e ne subirebbero più decisamente l’influenza. Inoltre, se tra l’Unione Europea e la Russia vi fosse una “zona cuscinetto” di paesi illiberali ed anti-occidentali, il tanto temuto allargamento verso est della NATO subirebbe quantomeno un netto rallentamento.

L’economia e la propaganda

Il supporto russo nei confronti di questi regimi si basa principalmente su strumenti di soft power: a quelli culturali già citati si aggiunge quello economico, più diretto e dall’influenza più misurabile. Lo strumento principale a disposizione di Putin è quello del mercato energetico, il grande punto di forza dell’economia russa, soprattutto in seguito al generale rialzo dei prezzi dell’energia cominciato sin dagli anni 2000. Con la possibilità di garantire prezzi più favorevoli agli alleati, di gonfiarli o addirittura tagliare i rifornimenti agli avversari, Mosca possiede uno strumento efficace e diretto per garantire ai movimenti illiberali europei il supporto di cui hanno bisogno.

Un esempio recente è l’abbassamento del costo del gas da parte di Gazprom in Ungheria, nel 2014, a seguito dell’elezione di Viktor Orbàn, de facto leader del movimento anti-Unione europeo. Inoltre, vi è il tentativo di aumentare la dipendenza economica di diversi paesi nei confronti della Russia attraverso un rigonfiamento dei prezzi del gas naturale: la Bulgaria pagherà oltre un miliardo di euro più della Germania nei prossimi cinque anni, anche a causa della scarsa integrazione del mercato bulgaro in quello europeo.

Gli investimenti russi non riguardano solo il mercato energetico, ma spaziano da eventi culturali a quelli sportivi e sono spesso volti a rallentare la liberalizzazione dei mercati, a scoraggiare investigazioni anti-corruzione o a garantire regimi fiscali più vantaggiosi ad alleati o a figure amiche. A ciò si aggiunge il ruolo sempre più importante svolto dalla propaganda russa con lo scopo di ridurre la credibilità e la fiducia dell’Europa centro-orientale nei confronti dell’Unione Europea.

Questa si è dimostrata efficace in più occasioni, specialmente a causa di una già presente sfiducia verso Bruxelles, vista come poco interessata al proseguimento dell’integrazione nei Balcani. Ecco perché l’Unione, se vuole aumentare il proprio peso specifico, deve sfruttare ancora di più il proprio strumento più forte, quel soft power che da sempre la contraddistingue. Questo deve essere volto verso misure anti-corruzione, verso una più convinta liberalizzazione e integrazione dei mercati centro-europei e, infine, verso un miglioramento della propria immagine di promotore culturale, in modo da conquistare non solo le menti, ma anche i cuori.

 

Fonti e approfondimenti:

https://www.foreignaffairs.com/articles/russia-fsu/2017-10-16/responding-russias-resurgence

https://www.economist.com/…/21717390-aid-warplanes-and-propaganda- convince-serbs-russia-their-friend-moscow-regaining-sway

 

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