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Crimini internazionali: il genocidio

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Con il termine “genocidio” si fa riferimento al più grave tra i crimini contro l’umanità che l’essere umano possa commettere.  Sulla definizione giuridica di questo crimine si è animata una discussione molto vivace e controversa. Le ragioni di questo difficile inquadramento sono dovute in parte allo sviluppo e alla ripresa del tema negli ultimi 20-30 anni, in ambiti anche molto diversi dal diritto, che hanno dunque deviato e reso più difficile una precisa e lineare definizione. Ovviamente il proliferare di analisi e studi sul concetto di “genocidio” è da considerare positivamente in quanto, in ogni caso, questi danno spessore e rilievo ad un crimine di tale portata. Bisogna, inoltre, dare per assodato il fatto che al concetto di genocidio si accosta un uso politico, così come per il concetto di diritti umani.

Storia e origine del termine

La parola “genocidio” non ha un’origine molto antica. Bisogna riconosce il merito al giurista polacco di origine ebraica e professore dell’università di Yale, Raphael Lemkin (1900-1959),  che ha coniato il termine da due parole: una greca “γένος” (razza o stirpe) e l’altra latina “caedere” (uccidere). Dopo gli orrori dell’Olocausto, durante il quale ogni membro della sua famiglia, eccetto il fratello, era stato ucciso, Lemkin portò avanti una campagna per il riconoscimento del genocidio come crimine nel diritto internazionale. I suoi sforzi diedero vita all’adozione della Convezione dell’Onu sul Genocidio nel dicembre 1948, che entrò in vigore il 12 gennaio 1951. Nacque così un nuovo termine volto a istituire una nuova categoria di crimini contro l’umanità. Nel preambolo si riconosce la portata storica del fenomeno e si iscrive per la prima volta questo crimine come materia di diritto internazionale.

La Corte internazionale di giustizia in diverse occasioni, ha confermato l’appartenenza della norma al gruppo di regole che gli Stati devono rispettare e far rispettare e a cui va riconosciuto il carattere di norma imperativa (ius cogens). Esso, dunque, non va considerato come un reato solo per gli Stati che fanno parte della Convenzione sul Genocidio ma per la totalità dei membri della comunità internazionale.

 

L’articolo II della Convenzione sul Genocidio

L’articolo II della Convenzione definisce il crimine. Per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale:

Da quanto appena delineato emergono due elementi che caratterizzano il crimine di genocidio: l’elemento mentale e l’elemento fisico o materiale, dove per mentale si intende l’intenzionalità della sua realizzazione e per fisico la realizzazione stessa, che include i cinque atti riportati.

L’articolo II è stato incluso alla lettera nell’art.6 dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale e negli statuti dei Tribunali Penali Internazionali del Ruanda e dell’ex Jugoslavia.

Per quanto riguarda l’elemento mentale è importante comprendere che per definire il genocidio tale bisogna riscontrare  la specificità dell’intenzione dell’autore del reato. Dunque, il valore giuridico che va rilevato è l’esistenza di un gruppo, la cui distruzione comporterebbe una perdita per il genere umano. Secondo questa analisi, colpire una massa di individui per altri motivi rispetto a quello di appartenenza al gruppo specifico, non costituisce la fattispecie di genocidio. I problemi relativi all’elemento mentale sono svariati. Bisogna sottolineare che la definizione di genocidio è stata frutto di un’unione di realtà e volontà differenti, un compromesso, in quanto senza l’appoggio di una parte consistente della Comunità Internazionale, la Convenzione avrebbe perso credibilità e sarebbe risultata debole.

Altri problemi per inquadrare il crimine di genocidio sono da individuare, sempre, nell’art.II della Convenzione, dove si fa riferimento alla nozione di “distruzione totale” e di “distruzione parziale”. Per quanto riguarda il concetto di “distruzione totale”, vi sono due interpretazioni. La prima, conforme al diritto consuetudinario, indica l’intento di eliminare fisicamente o biologicamente tale gruppo, attraverso l’omicidio dei suoi membri o altri mezzi che mirano a causarne la morte o ad impedirne la riproduzione. Questa interpretazione è, però, limitata agli aspetti biologici e fisici, e non fa alcun accenno alla possibilità di una distruzione di un gruppo come entità sociale, il che non vuol dire per forza eliminazione fisica, ma anche deportazioni e tutti gli altri metodi volti alla demolizione dei simboli e dei luoghi che rappresentano quel gruppo. Quest’ultima lettura incarna la seconda interpretazione di “distruzione totale”.

L’altra questione controversa, già accennata prima, riguarda l’elemento “parziale” della distruzione di un gruppo. La questione è nata a seguito dei fatti di Srebrenica, dove lo sterminio di circa un quinto della popolazione che si trovava nella safe area cittadina, rappresentativa di circa 1/35 dell’intera popolazione bosniaco-musulmana, è stato qualificato come genocidio. I giudici del Tribunale Internazionale dell’Aja per la ex Jugoslavia, nella sentenza di appello nei confronti di Krstic, comandante delle truppe serbo bosniache a Sebrenica, hanno affermato che l’intento di genocidio non deve per forza riguardare tutti gli appartenenti ad un determinato gruppo, ma può “limitarsi” alla distruzione di una parte di esso, identificata in quanto residente in una certa area geografica e, per di più, la sentenza sancisce che l’intento non deve necessariamente investire tutti i membri del gruppo nell’area considerata, ma anche solo una parte “sostanziale” di esso. Nel definire cosa significhi “sostanziale”, si possono tenere in considerazione diverse variabili, quali la consistenza numerica del gruppo, ma anche la composizione sociale di esso, alla luce di rapporti politici e sociali.

Dalla fine della Seconda guerra mondiale la comunità internazionale ha assistito (più o meno) passivamente a numerosi atti di genocidio. Nel caso del Ruanda e della Jugoslavia sono stati istituiti appositi tribunali che hanno cercato di attribuire responsabilità e di punire i colpevoli delle atrocità avvenute in quegli Stati, ma la mancanza di un tribunale internazionale che avesse come scopo quello di occuparsi dei più gravi crimini internazionali ha mosso la comunità internazionale verso la creazione di un organismo che potesse intervenire in materia di chiare violazioni dei diritti umani, una Corte che avesse lo scopo di andare oltre il principio di non ingerenza che in molte occasioni ha reso fallimentare ogni tentativo di prevenzione di una violazione dei diritti umani. Da questa volontà, nasce perciò, dopo due anni di lavoro, lo Statuto della Corte penale internazionale, i cui lavori si sono svolti a Roma ed è stato adottato il 17 luglio 1998, per poi entrare in vigore il 1 luglio 2002.

Fonti e Approfondimenti

UNGA, Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide. 9 December 1948

Prevent Genocide International, ‘the international legal definition of genocide’, available at http://www.preventgenocide.org/genocide/officialtext-printerfriendly.htm

‘how do you define genocide?’, 17/03/2016, bbc.com, available at http://www.bbc.com/news/world-11108059

A. Rossini, ‘Srebrenica, un genocidio’ europeo’, in Osservatorio Balcani e Caucaso, 20/04/2004, available at https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Srebrenica-un-genocidio-europeo-25779

WILLIAM A. Schabas, Genocide in international Law, in Cambridge University press, 2000

 

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