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Crimini internazionali: il Ruanda e i crimini contro l’umanità

Remix con supporto AI © pxfuel CC0

Gli anni novanta del secolo scorso hanno conosciuto una molteplicità di episodi drammatici in ogni parte del globo. Si sono perpetrati, infatti, crimini internazionali, come nel caso del Ruanda, nel 1994, che è stato scenario di una guerra civile in cui sono stati commessi il crimine di genocidio e crimini contro l’umanità.

Lo Stato del Ruanda, che conobbe la colonizzazione europea per mano di Francia e Belgio, presenta principalmente due etnie: i Tutsi e gli Hutu. La prima distinzione si deve a un’artificiosa creazione belga, che ritenne superiori i Tutsi.

Nelle storia del Paese si sono succedute numerose insurrezioni e colpi di Stato: tutto ciò ha comportato l’acuirsi delle tensioni sociali e dell’odio razziale, costringendo migliaia di persone a fuggire negli Stati limitrofi, in cui permanevano gli stessi problemi di violenza.

Il casus belli che portò alla guerra civile fu l’uccisione del presidente Habyarimana in un incidente aereo nell’aprile del 1994, che diede il via a 100 giorni di ininterrotti massacri e violenze a danno dei Tutsi, ma anche nei confronti di Hutu moderati o che non presero parte all’eccidio, mentre i mezzi di informazione – la radio in particolare – fomentavano l’odio razziale così largamente diffuso nel territorio.

I dati derivanti da questo periodo sono agghiaccianti: si parla, e sono ancora numeri incerti, di un numero di morti che oscilla tra i 800.000 e 1 milione. A ciò si affianca un dato altrettanto terrificante: lo stupro e le violenze sessuali sono stati utilizzati come strumenti di guerra, in modo da devastare fisicamente ed emotivamente la vittima, donna o uomo che fosse. Si è verificata una conseguente impennata della diffusione di gravidanze e di contagio di AIDS.

 

I Crimini contro l’umanità

La comunità internazionale, criticata per aver reagito troppo tardi a quest’ondata di inaudita violenza, dispose quindi la formazione di un Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda. Il suo compito era quello di accertare i delitti commessi e di giudicare e condannare i responsabili, impresa tutt’altro che agevole per i numeri altissimi di soggetti incriminati e la continua mancanza di prove reali.

I due aspetti principali dell’indagine del Tribunale, istituito con Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 955 dell’8 novembre 1994, riguardano l’accertamento dei crimini di genocidio e contro l’umanità. L’analisi si sofferma proprio su questi ultimi, per capire più chiaramente quali atti ricadono in questa categoria e quali sono i soggetti che possono esserne responsabili.

La nascita di questa tipologia di crimini risale al 1915, quando Francia, Inghilterra e Russia condannarono gli omicidi di massa perpetrati a danno degli Armeni dall’impero ottomano; tuttavia solo il Tribunale di Norimberga, nel corso dell’omonimo processo, definì con maggiore chiarezza e utilizzò come caso d’accusa il concetto di crimine contro l’umanità.

Bisogna partire dalla premessa che la nozione di crimini contro l’umanità è in perenne evoluzione, in quanto risente degli influssi del diritto internazionale ma anche di quello interno dei singoli Stati, che possono inserire direttamente nei propri ordinamenti domestici la relativa previsione legislativa.

Un grande passo in avanti nella sua “codificazione” si deve sicuramente ai Tribunali Penali Internazionali per la Jugoslavia e per il Ruanda, i quali sono stati artefici di chiarimenti e di implementazioni nella definizione.

Nonostante ciò, ad oggi manca ancora un trattato appositamente dedicato ai crimini contro l’umanità, a differenza di quanto è avvenuto per il genocidio o i crimini di guerra, ma sono continui gli sforzi che il diritto internazionale compie per raggiungere questo obiettivo. Va anche considerato che, benchè ci sia questa mancanza, il divieto di crimini contro l’umanità, in quanto annoverabile all’interno dello ius cogens, è considerato da tutta la comunità internazionale come perentorio e assolutamente insuscettibile di deroghe.

Per adesso è necessario guardare allo Statuto di Roma del 1998, artefice della creazione dell’ICC, per capire meglio di cosa si sta parlando. Si tratta di uno Statuto che ha forza cogente tra i 123 Stati aderenti e che dispone un’esauriente esemplificazione degli atti da considerarsi crimini contro l’umanità, con la precisazione che non si tratta di un elenco tassativo o definitivo, sempre per il carattere di perenne evoluzione di questa categoria. La sua flessibilità ha anche una rilevanza pratica perchè si vuole evitare di lasciare impunite delle fattispecie criminali che, nonostante la loro gravità ed atrocità, non rientrano tra quelle indicate.

Lo Statuto chiarisce quali sono gli atti empirici che costituiscono il crimine e, al contempo, stabilisce gli elementi necessari che lo configurano. In primis, viene riconosciuto che questi crimini possono essere commessi sia in tempo di pace sia in tempo di guerra e devono presentare i seguenti elementi:

A differenza del genocidio, i crimini contro l’umanità non devono per forza rivolgersi contro uno specifico gruppo di soggetti definito da un elemento etnico o di appartenenza a un gruppo, bensì contro la popolazione civile generalizzata. Inoltre, non devono rispondere a un intento specifico, ma basta che si realizzi uno degli atti elencati, accompagnati dalla consapevolezza di compiere un atto contro la popolazione civile; unica eccezione riguarda la fattispecie di persecuzione, per la quale, invece, è necessario l’intento discriminatorio.

 

Il Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda  

L’importanza storica del Tribunale Penale internazionale per il Ruanda è innegabile, considerando che ha accertato responsabilità individuali, cioè direttamente a carico dei soggetti criminali, a prescindere dal fatto che rivestissero una carica politica. Il compito fondamentale, come già detto, è stato quello di accertare la commissione dei crimini di genocidio e contro l’umanità. Lo statuto del Tribunale vi fa riferimento nell’art. 3: 

Il Tribunale internazionale per il Ruanda è competente a giudicare le persone responsabili dei crimini seguenti quando commessi nel quadro di un attacco su larga scala e sistematico diretto contro qualsiasi popolazione civile in ragione della sua appartenenza nazionale, politica, etnica, razziale o religiosa: assassinio; sterminio; riduzione in schiavitù; deportazione; prigionia; tortura; stupro; persecuzione per motivi politici, razziali e religiosi; altri atti disumani.

È evidente la somiglianza con l’art. 7 dello Statuto dell’ICC, ma si nota anche come in questo ultimo caso, facendo tesoro delle esperienze precedenti, la gamma di crimini sia più ampia e dettagliata, per dare loro un contorno di maggiore chiarezza. Inoltre, nello statuto del Tribunale ci si riferisce ad atti contro la popolazione civile in ragione della sua appartenenza ad uno specifico gruppo/etnia/nazione; questa specificazione, assente nello statuto dell’ICC, era funzionale alla situazione concreta su cui si doveva pronunciare il Tribunale, poichè gli atti erano stati realizzati proprio a causa dell’appartenenza a un determinato gruppo etnico.

Tra le condanne più significative vanno inoltre ricordate quelle a carico di Jean Kambanda, primo ministro ad interim dopo la morte del presidente Habyarimana, giunta il 4 settembre 1998 con l’accusa di genocidio e di crimini contro l’umanità. Kambanda rappresenta la prima persona a essere condannata per genocidio dal 1948. Stessa sorte per Jean-Paul Akayesu, sindaco della città di Taba, dove si perpetrò un massacro mostruoso di Tutsi e un episodio di violenza sessuale di massa, utilizzata come strumento di genocidio.

Fondamentale importanza ha assunto anche il “Media case” cioè il processo a carico di responsabili di strumenti di comunicazione di massa, accusati di aver diffuso e fomentato l’odio razziale. Il processo, iniziato nel 2000, era rivolto a Hassan Ngeze, condannato a 35 anni di reclusione; Ferdinand Nahimana, condannato a 30 anni di reclusione; Jean-Bosco Barayagwiza, condannato a 27 anni di reclusione, dopo l’accoglimento del suo appello. Le condanne si inseriscono nel contesto dei crimini contro l’umanità, per la loro funzione di promozione di stragi e violenza.

Nonostante le numerose condanne, che possono essere interpretate come successi del Tribunale, ci si interroga ancora oggi sulla effettività delle sue decisioni, che arrivano dopo più di 20 anni dalla commissione di queste atrocità. Da non tralasciare sono anche le critiche che sono state rivolte nei confronti dell’operato del Tribunale per la lentezza del lavoro e, secondo alcuni, i troppi casi di impunità.

 

 

Fonti e Approfondimenti

United Nations, International Residual Mechanism for Criminal Tribunals, the Genocide, available at http://unictr.unmict.org/en/genocide

International Crimes Database (ICD), Crimes against Humanity, available at http://www.internationalcrimesdatabase.org/Crimes/CrimesAgainstHumanity

Human Rights Watch, Rwanda: International Tribunal Closing Its Doors, 23/12/2015, available at https://www.hrw.org/news/2015/12/23/rwanda-international-tribunal-closing-its-doors

Centro di Ateneo per i diritti umani, Università di Padova, Tribunale internazionale per il Ruanda: ergastolo a Bagosora, Ntabakuze e Nsengiyumva per genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, 22/12/2008, available at http://unipd-centrodirittiumani.it/it/news/Tribunale-internazionale-per-il-Ruanda-ergastolo-a-Bagosora-Ntabakuze-and-Nsengiyumva-per-genocidio-crimini-contro-lumanita-e-crimini-di-guerra/1153

Statuto del Tribunale penale internazionale per il Ruanda, 8/11/1994, available

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