Perù, l’indulto all’ex presidente Fujimori fa scoppiare la rivolta

Fujimori
@Pedro Rivas Ugaz - Flickr - Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)

di Serena Pandolfi

Il Natale in Perù è stato movimentato dalla decisione di Pedro Pablo Kuczynski, resa nota il 24 dicembre, di concedere l’indulto all’ex Presidente Alberto Fujimori. Quest’ultimo stava scontando il dodicesimo dei 25 anni di reclusione ai quali è stato condannato il 7 marzo 2009 per gravi violazioni dei diritti umani.

La reazione popolare è stata immediata, unita all’appello di 230 intellettuali latinoamericani e svariate condanne da parte della comunità internazionale.

Chi è Fujimori?

Alberto Kenya Fujimori è stato Presidente del Perù dal 28 luglio 1990 al 17 novembre 2000, in un difficile contesto socio-politico, soprattutto a causa dell’aggravamento della crisi economica. Il suo movimento politico, Cambio 90, riuscì a canalizzare il malcontento verso il precedente governo guidato da Alan Garcia Pérez e la paura, soprattutto delle fasce povere degli elettori, nei confronti delle politiche di austerità economica promesse dall’avversario conservatore al ballottaggio, Vargas Llosa.

La soluzione alla crisi economica scelta dal neoeletto Presidente, il fujishock, fu però più dura di quella dello stesso FMI, ma riuscì, al prezzo di enormi disagi sociali, a portare il Perù in soli quattro anni a poter vantare il più alto tasso di crescita del PIL al mondo (13%). Parallelamente alla manovra economica, Fujimori portò avanti nei primi anni di presidenza una dura politica di contrasto al terrorismo organizzato, attraverso un potenziamento delle operazioni dell’intelligence peruviana e dell’attività dei gruppi paramilitari affiliati al governo. I principali destinatari di questa strategia furono i gruppi di Sendero luminoso e Tupac Amaru (MRTA), organizzazioni guerrigliere di ispirazione, la prima maoista, la seconda marxista-leninista. Il tutto culminò con l’arresto del leder di Sendero Luminoso, Abimael Guzmán; ben presto i metodi violenti adottati da militari e paramilitari incaricati della repressione si tradussero nella violazione grave e sistematica dei diritti umani, oggetto della condanna avvenuta circa dieci anni dopo.

Queste operazioni, oltre alla spiccata matrice autoritaria dell’operato di governo, vennero contrastate dal Congreso, in entrambe le Camere a maggioranza antipresidenzialista, e la conseguenza fu il cosiddetto autogolpe de Estado: il 5 aprile 1992, Fujimori e il suo governo sciolsero temporaneamente il Parlamento, sospesero l’attività della magistratura e svariate libertà civili, tra cui quella di espressione.

Subito dopo vennero convocate le elezioni per una nuova Assemblea costituente che, con una prevedibile maggioranza fujimorista, discusse e approvò la nuova Costituzione peruviana del 1993. Dopo un tentato contro-golpe del Generale Sedó, il Presidente ebbe l’occasione di inasprire il suo governo, che lui stesso definì “di emergenza e ricostruzione nazionale”.  Fu rieletto alla Presidenza peruviana per altri due mandati: nel 1995 contro l’ex Segretario generale dell’ONU, Javier Guerra, e nel 2000, grazie alll’approvazione forzata di una legge ad personam che permise di aggirare il vincolo dei due mandati imposto dalla precedente carta costituzionale del 1979.

Durante il terzo e ultimo mandato, scoppiò uno scandalo di corruzione che coinvolse il capo dei servizi segreti (SIN), Vladimiro Montesinos, allargandosi poi, anche grazie alla risonanza nell’opinione pubblica, a vari esponenti politici vicini al Presidente. Il clima teso costrinse Fujimori a convocare delle nuove elezioni, sia presidenziali che parlamentari, ma, nel timore di essere accusato e perseguito per corruzione e crimini contro l’umanità, fu costretto a rassegnare le dimissioni. Fujimori infatti, subito dopo la partecipazione a un summit della Asia-Pacific Economic Cooperation in Brunei, non fece più ritorno in Perù, ma si auto-esiliò nel suo Paese di origine, il Giappone, e da Tokio formalizzò la sua rinuncia alla presidenza della Repubblica.

 

Il processo e la condanna

Fujimori rimase in Giappone fino al novembre del 2005, quando tornò in America Latina dopo aver dichiarato l’intenzione di volersi candidare nuovamente alle elezioni presidenziali dell’anno successivo. Il 7 novembre fu però arrestato dalla polizia cilena durante una visita pubblica nel Paese e la sua candidatura fu bocciata dal Tribunale elettorale nazionale e dal parere del Parlamento. L’ex Presidente rimase nella prigione cilena della scuola di polizia investigativa fino al 22 settembre 2007, quando venne estradato e recluso a Lima, dove iniziò il processo per i crimini commessi durante il decennio di governo.

A dicembre iniziò l’esame per le mattanze di Barrios altos e Cantuta e si registrò la prima condanna, a sei anni di reclusione, per abuso di potere e violazione di domicilio. Il 7 aprile 2009 la Sala Penale Speciale della Corte Suprema peruviana, condannò l’ex Presidente Alberto Fujimori a venticinque anni di reclusione per l’omicidio aggravato di venticinque persone, lesioni gravi ai danni di altre quattro e sequestro aggravato di altre due. Nello specifico venne accertata la supervisione e l’appoggio di Fujimori all’attività repressiva, affidata all’esercito e ai servizi segreti  per logistica e individuazione degli obbiettivi, e al gruppo paramilitare Colina per lo svolgimento concreto delle operazioni.

Fu proprio il Grupo Colina a macchiarsi dei crimini imputati all’ex Presidente noti come massacri di Bairros Altos e La Cancuta, oggetto anche di due fondamentali sentenze del 2003 della Corte Interamericana dei diritti dell’uomo.

Il primo ebbe luogo il 3 novembre 1991 quando sei uomini del gruppo Colina fecero irruzione nel quartiere di Lima da cui prende il nome la strage durante una raccolta fondi, uccidendo 14 persone tra cui un bambino di 8 anni, e lasciando gravemente feriti i restanti. Il secondo riguarda l’operazione nota come La Cantuta, che colpì nove studenti e un professore dell’Università Enrique Guzmán y Valle sospettati di collaborare con il gruppo Sendero Luminoso, che il 18 luglio 1992 vennero sequestrati da un commando di militari e membri del gruppo Colina, uccisi e gettati in fosse comuni.

Questa decisione, unitamente alla sentenza del 30 dicembre 2009 della 1ª Sala Transitoria della Corte Suprema, che l’ha confermata in appello, può essere definita una sentenza storica per varie ragioni. Innanzitutto, perché per la prima volta in Sud America un Presidente è stato perseguito e condannato a una pena effettivamente scontabile per violazione dei diritti umani. In secondo luogo, il processo ha seguito principi di equità e la sentenza si è inserita nella ricostruzione storica del Paese, entrando in primo piano nella transizione democratica peruviana. Infine, è stato applicato al giudizio un fondamentale principio, quello dell’autoria mediata dal dominio di un apparato di potere elaborato da Claus Roxin, che ha permesso di incidere fortemente nella condanna dei crimini di Stato.

 

L’indulto di Kuczynski e le reazioni

Il 24 dicembre scorso, l’attuale Presidente peruviano Kuczynski, ha reso nota la decisione di concedere l’indulto a Fujimori, che ha così concluso la sua reclusione al dodicesimo dei venticinque anni ai quali era stato condannato.

Il Presidente ha dichiarato di aver concesso a Fujimori l’indulto umanitario a causa delle gravi condizioni di salute di quest’ultimo che non gli permetterebbero di continuare la sua permanenza in carcere, dichiarando di “non poter permettere a Fujimori di morire in prigione”. Altre tre richieste, a partire dal 2013, erano state presentate da parte dell’ex dittatore, tutte rigettate per via dell’inqualificabilità della situazione clinica di Fujimori come “malattia terminale”.

Secondo l’articolo 118 comma 21 della Costituzione peruviana del 1993, tuttora vigente, rientra nelle prerogative del Presidente della Repubblica annullare o ridurre le pene, nelle tre forme previste della concessione di grazia, indulto o la riduzione di pena. Nello specifico, l’indulto si articola in un percorso che va dalla richiesta del condannato, all’esame della Commissione presidenziale di grazie e del Ministero della giustizia, per arrivare alla decisione finale del Presidente. L’indulto può essere umanitario, per infermità terminale o degenerativa, o comune, per buona condotta, ma in ogni caso non può essere concesso a condannati all’ergastolo, per delitti di lesa umanità, omicidio qualificato (volontario nell’ordinamento italiano), sequestro aggravato di persona, terrorismo, narcotraffico e violazione della libertà sessuale.

Secondo il Regolamento di grazie presidenziali, l’indulto umanitario si raccomanda per carcerati che “soffrono di malattie non terminali gravi, in tappa avanzata, progressiva, degenerativa ed incurabile”, ma l’ex Presidente dell’American cancer society, Élmer Huerta, ha assicurato che la lista dei mali attribuiti a Fujimori dalla Giunta medica include malattie che “moltissimi anziani peruviani hanno” e nessuno di questi rappresenta una minaccia di morte, pertanto l’indulto, dal punto di vista medico-scientifico, non avrebbe ragione di esistere. A mettere in dubbio il parere medico anche le dichiarazioni a Ojo Publico di Avelino Guillén, avvocato e giurista, sul possibile annullamento per “gravi vizi processuali” a causa del fatto che uno dei medici della Giunta medica penitenziaria, Juan Postigo, sia stato in precedenza medico personale di Fujimori.

Inoltre, Fujimori non avrebbe potuto beneficiare dell’indulto, viste le condanne per svariati reati che rientrano nelle categorie di non applicabilità dell’istituto. Tale ambigua interpretazione della normativa ha sollevato molteplici e pesanti critiche verso l’attuale Presidente, accusato di aver concluso un accordo con il suo partito, Peruanos por el kambio (PPK), per evitare il processo d’impeachment a suo carico.

Kuczynski, infatti, è stato oggetto di un enorme scandalo nei giorni precedenti la controversa decisione sull’indulto, nel quale è coinvolta anche la figlia di Fujimori, Keiko, sua avversaria politica alle passate elezioni presidenziali. Il Parlamento del Perù aveva deciso di cominciare un processo che avrebbe portato il presidente alla rimozione dal suo incarico, in quanto “moralmente inadatto”, a causa delle accuse di ricezione di pagamenti illeciti da parte del colosso edile brasiliano Odebrecht. La presentazione della mozione di impeachment è stata votata dalla maggior parte dei parlamentari, dopo il rifiuto di Kuczynski di dimettersi e la negazione di tutte le accuse a suo carico. Il presidente ha avuto la possibilità di difendersi in aula il 21 dicembre scorso e dopo le scuse per la mancanza di rigore delle precedenti dichiarazioni, è riuscito ad ottenere una bocciatura della mozione (solo 78 degli 87 voti favorevoli necessari sono stati espressi). L’ipotesi dell’accordo è sostenuta anche dal fatto che Kenji Fujimori, uno dei figli di Alberto, e il suo gruppo di parlamentari hanno scelto di astenersi durante quest’ultima votazione.

La figura di Fujimori si conferma divisiva per il Paese, tra chi lo sostiene per aver sconfitto il terrorismo maoista e aver regalato una forte ripresa economica al Paese e chi sottolinea la matrice autoritaria del suo governo e le condanne per violazione dei diritti umani. L’ex Presidente, in un video ufficiale dalla clinica diffuso su Facebook ha dichiarato di essere consapevole “che i risultati prodotti dal suo governo siano stati accolti bene da alcuni” ma riconosce di aver deluso altri e chiede “perdono dal profondo del cuore”, aggiungendo un pieno appoggio all’attuale presidente nell’opera di riconciliazione del Paese.

Nei giorni subito successivi alla notizia dell’indulto il Perù ha assistito a una spontanea rivolta della società civile e dell’opinione pubblica. Migliaia di persone sono scese in piazza a Lima per protestare e la folla ha cercato di raggiungere l’ospedale dove Fujimori, 79 anni, era ricoverato per un abbassamento di pressione, ma è stata bloccata dalla polizia. Il 2 gennaio 2018, un gruppo di oltre 230 scrittori peruviani, capeggiati da Mario Vargas Llosa (Premio Nobel per la Letteratura nel 2010 e candidato presidenziale nel 1990) ha pubblicato una dichiarazione comune nella quale respingono l’indulto umanitario a Fujimori che, si legge, “è stato condannato per violazioni dei diritti umani e corruzione, ed è stato responsabile di un colpo di Stato e dello smantellamento delle [nostre] istituzioni. Il suo indulto dimostra scarso rispetto per la dignità umana, per l’uguaglianza dinnanzi alla legge e per il diritto alla memoria”.

Non sono mancate le condanne da parte della comunità internazionale: in primis la Commissione interamericana dei diritti umani (CIDH) che, in attesa della pronuncia attesa in merito per il 2 febbraio, in un documento ufficiale si allontana da tale decisione in quanto “contraria agli impegni internazionali dello Stato del Perù” e chiede di adottare “le misure necessarie a ristabilire i diritti delle vittime lesi” in sua conseguenza. Anche il Segretario generale dell’OEA (Organizzazioni degli Stati Americani), Luis Almagro, cita la posizione della CIDH e si aggiunge al coro della comunità internazionale. L’ONU aveva criticato da subito la scelta di Kuczynski, nello specifico tramite l’Ufficio Regionale per l’America del Sud dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani, il gruppo di lavoro per le sparizioni forzate e i relatori speciali per la promozione della giustizia (Pablo de Greiff) e per le esecuzioni extragiudiziali (Agnes Callamard), in un concerto di condanne verso l’atteggiamento irrispettoso per le vittime e i loro familiari, oltre che per il ricordo di un periodo buio della storia democratica peruviana.

L’unica soluzione per un retrofront è quella dell’impugnazione di fronte al Tribunale Costituzionale (TC) per vizi di forma o sostanza dell’atto di concessione dell’indulto, che lo renderebbero nullo. Tra gli scenari possibili, nell’immediato, c’è anche quello della fine anticipata del mandato di PPK, data l’insicurezza di arrivare alla fine della presidenza. A lungo termine, però, lo scenario non è dei migliori, a causa dell’assenza di una personalità politica in grado di convogliare su di sé quanto meno le speranze dei cittadini peruviani che nelle piazze hanno sfilato al grido, più volte sentito in Argentina: “Que se vayan todos”.

 

Fonti e Approfondimenti:

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/americalatina/2017/12/25/peru-indulto-umanitario-per-fujimori_c58cb583-a42d-488e-a27e-b356e4a5a2b4.html

https://peru21.pe/mundo/mario-vargas-llosa-otros-escritores-rechazan-indulto-alberto-fujimori-390150

http://rpp.pe/politica/historia/5-de-abril-de-1992-el-autogolpe-de-estado-de-alberto-fujimori-noticia-951034

http://rpp.pe/politica/gobierno/la-cronologia-del-proceso-del-indulto-a-alberto-fujimori-noticia-1096356

http://larepublica.pe/politica/1167169-comunidad-internacional-rechaza-indulto-a-fujimori

http://www.bbc.com/mundo/noticias-america-latina-42488735

http://www.bbc.com/news/world-latin-america-42484989

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