Elezioni Italia 2018: abbiamo davvero bisogno dei leader?

Entriamo nell’ultimo mese di campagna elettorale con una’offerta politica difficile da identificare per gli elettori. I maggiori partiti o coalizioni in corsa stentano a presentarsi ai cittadini con programmi chiari e dibattiti seri sulle tante sfide da affrontare nei prossimi anni, in mancanza di ciò, ci si affida ai leader.

Il fenomeno della leaderizzazione o personalizzazione della politica ha le sue radici nella crisi della prima repubblica. Affermatosi come premessa a una generale riforma delle istituzioni, mai avvenuta, tale fenomeno è sopravvissuto al fallimento del suo obbiettivo. Tuttavia il fatto che a oggi l’incisività dei partiti nelle scelte elettorali sia diminuita non comporta automaticamente, nel nostro sistema politico, la transizione verso i leader: se è vero che i partiti si sono indeboliti nel loro rapporto con gli elettori non è scontato che si siano indeboliti anche in altri settori, come quello dell’organizzazione parlamentare o dell’organizzazione/finanziamento elettorale. Il grado di incisività dei partiti varia comunque in intensità da esperienza a esperienza.

Il centrodestra: la macchina dei leader

La coalizione di centrodestra è composta da 4 compagini politiche: Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e Noi con l’Italia-UDC; tuttavia veri leader sono soltanto due: Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, entrambi a capo di due partiti nati dopo la crisi della prima repubblica.

L’ex presidente del consiglio è forse stato il primo a basare la sua ascesa politica su un partito costruito intorno a se, un partito che in sua assenza mancherebbe del motore,riducendosi a un gruppo di collaboratori a livello nazionale inadatti a esercitare la leadership e poco aperti a un’articolazione sociale profonda, se messa a confronto, ad esempio, con quella del Partito Democratico.

Berlusconi ha saputo sfruttare per primo le potenzialità della comunicazione di massa, oltre a riuscire a centrare in ogni campagna le fratture dell’elettorato sulle quali far leva.

Salvini e la Lega, sponsor maggiore della coalizione di centro destra, è un altro caso di partito post prima repubblica costruito seguendo le coordinate della leaderizzazione. Le caratteristiche della compagine tuttavia differiscono in parte dal caso di Forza Italia. La Lega oltre, ad aver avuto dei leader molto carismatici e personalizzatori come Bossi, ha fin dalla nascita una strutturazione tipica dei partiti di massa, costituendo sezioni territorialmente molto attive nel nord. La svolta impressa da Salvini ha portato avanti una metamorfosi della Lega Nord, ora Lega, con una operazione di nazionalizzazione della campagna politica del partito, rappresentando un accrescimento a livello elettorale e una sfida diretta agli altri partiti, siano essi suoi avversari o alleati.

La comunicazione di Berlusconi e Salvini risulta vincente rispetto agli avversari perché tutela interessi immediati degli elettori: tasse, sicurezza, immigrazione e pensioni. Si tratta, inoltre, dei temi storici su cui Forza Italia e Lega riescono a essere più convincenti rispetto a qualunque altro avversario. Per ora, il centrodestra ha dimostrato di sapersi compattare superando litigiosità e conflittualità come nel caso della Sicilia e del referendum sull’autonomia. Un posizionamento solido e una compattezza che nell’ultimo mese ha permesso alla coalizione nel suo complesso di crescere posizionandosi nei sondaggi tra il 36% e il 39%.

Il centrosinistra: Renzi contro tutti

Berlusconi si differenzia dal centrosinistra proprio per aver creato per primo un partito personale, a differenza della sinistra che negli anni successivi alla fine della prima repubblica ereditava le tradizioni partitiche tipiche di quell’epoca, conservatesi fino ai giorni nostri.

La costruzione di una leadership personalizzata e forte nel centrosinistra ha sempre dovuto confrontarsi con un partito ben strutturato tendenzialmente di freno alla leaderizzazione, con federazioni a tutti i livelli (comunale, provinciale e regionale) e con una divisione in correnti molto accentuata che dal livello nazionale discende verso tutti i livelli inferiori.

Matteo Renzi, segretario del Partito Democratico, ha tentato di irrompere in questo delicato equilibrio, con tutte le conseguenze politiche. Da un lato è riuscito a diventare padrone indiscusso del partito relegando la minoranza a posizioni marginali, lo dimostra tra le varie cose la composizione delle liste per le politiche annunciata pochi giorni fa. Dall’altro ha perso pezzi di elettorato e pezzi di partito a cominciare da Civati e Fassina nel 2015 e Bersani, D’Alema e Speranza nel 2017, ora coalizzati in Liberi e Uguali.

Ma diventare leader di un partito non vuol dire diventare leader nell’elettorato e Matteo Renzi, con il più basso livello di gradimento tra i leader principali, non è riuscito in questi mesi ad imporsi con forza sulla scena mediatica. Questo si riflette sulle intenzioni di voto, con il centrodestra quasi vicino al 40% che distanzia il centrosinistra al 26%-28%, completamente in caduta libera.

A nulla è valso il tentativo di vestire nuovamente il ruolo del “rottamatore” provando ad opporsi alla riconferma di Ignazio Visco o con il tour dell’Italia in treno. Tornare sulla questione banche è stato un pericolo sottovalutato mentre spostarsi sul territorio lo ha esposto anche a contestazioni.

Il Movimento 5 Stelle: il primo partito che non cresce

Alla sua prima prova elettorale il Movimento 5 Stelle riuscì a diventare il primo partito, ottenendo nelle politiche del 2013 il 25,6% dei voti, in un contesto in cui il 39% degli elettori cambiarono il proprio voto. Non c’è dubbio che il M5S racchiuda in sè tutte le caratteristiche del nuovo tipo di partito verticale e maggioritario. La componente elettorale è caratterizzata dalla disomogeneità sotto tutti i criteri, così come la sua assenza di strutturazione interna. L’utilizzo della rete può essere visto come evoluzione della strategia televisiva di Berlusconi. All’ interno delle piattaforme del movimento la partecipazione è assicurata ma a un livello di interazioni tra partecipanti molto debole, meno impegnativo rispetto a una sezione di partito, assicurando un controllo finale della leadership sulle decisioni .

Nonostante la struttura del movimento permetta invidiabili margini di manovra ai leader e nonostante un contesto politicamente favorevole, il movimento non riesce comunicativamente a “fare gol” da qualche mese. Pur restando il primo partito, il M5S resta fermo a quota 26%-27%.

Luigi Di Maio risulta in questa campagna elettorale più debole di quanto ci si aspettasse: dopo circa due mesi dalla sua incoronazione il leader e candidato premier del M5S, così come gli altri candidati, non riesce a far emergere una visione chiara di governo. La comunicazione rimane infatti troppo sbilanciata sulla frattura anti-establishment con attacchi continui agli avversari politici e alle istituzioni.

Il difficile risveglio dopo il 4 marzo

Per concludere possiamo dire che ogni leader ed ogni partito avrà davanti a se grandi responsabilità insieme a grandi sfide personali e collettive da superare.

Il centrodestra dovrà provare la stabilità del connubio Berlusconi-Salvini. Davanti a diverse  situazioni politiche la coalizione potrebbe saltare mentre l’ambizione e il carisma dei due leader da un lato e la diversità di vedute su molte questioni  renderanno ancora più complesso mantenere stabile il centrodestra.

Il centrosinistra resterà ancora diviso? Inoltre è addirittura legittimo chiedersi se il Partito Democratico esisterà ancora dopo il 4 marzo o se sarà invece la carriera politica di Renzi a concludersi. Esiste a sinistra una formula di sintesi capace di far ricucire le ferite aperte durante gli ultimi anni?

Infine, il Movimento 5 Stelle. Forse è proprio questa forza politica a farci interrogare su una questione importante: verrà mai trovata una sintesi tra spinta alla democrazia diretta e necessità di una leadership forte? Inoltre, il Movimento rimarrà isolato in parlamento come nella passata legislatura?

Per concludere: forse quello di cui hanno bisogno gli elettori in campagna elettorale sono i leader, ma di certo i cittadini necessitano che la campagna elettorale prima o poi si chiuda.

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