Migranti, accoglienza, esclusione: i report di Medici Senza Frontiere

Immigrazione
@Irish Defence Forces - wikimedia commons - Licenza: Attribution 2.0 International (CC BY 2.0)

Decine di migliaia di migranti, regolari e irregolari, vivono in Italia fuori dai circuiti dell’accoglienza, costretti a esistenze dure in occupazioni, baraccopoli o addirittura all’aperto nelle zone di frontiera. Medici senza Frontiere ne ha incontrati 10.000, potendo così produrre dei report che raccontano la vita di questa popolazione invisibile.

Le situazioni giuridche di queste persone sono le più diverse: richiedenti asilo che hanno fatto domanda di protezione ma per cui non c’è posto nelle strutture, migranti a cui è stato negato l’asilo, migranti di passaggio diretti verso altri paesi europei e, infine, gli ex ospiti delle strutture di accoglienza che però non sono stati sufficientemente integrati.

Nel suo lavoro, Medici Senza Frontiere viene spesso in contatto con queste realtà ed è stata quindi in grado di fotografare la situazione in due rapporti, presentati a Roma nel febbraio 2018. “Fuori Campo” racconta la vita negli insediamenti di fortuna in cui trovano riparo queste persone costrette alla marginalità, mentre “Mal di frontiera” si concentra sulla vita ai confini italiani come a Ventimiglia e a Como, dove a quello dell’accoglienza si mischia il dramma dei respingimenti.

L’accoglienza

Nell’ultimo anno, dopo l’accordo tra Italia e Libia, il numero di arrivi nel nostro paese si è ridotto drasticamente, ma al contempo sono aumentate le richieste di asilo e altre forme di protezione in Italia. Il sistema dell’accoglienza dei richiedenti è quindi cresciuto molto, fino a raggiungere oggi 183.000 posti, ma presenta ancora due gravi carenze.

Innanzitutto c’è una generale mancanza di posti, dovuta soprattutto alle lungaggini amministrative che impediscono il ricambio degli ospiti dei centri. Una volta presentata la richiesta di asilo, infatti, si ha diritto a un posto in cui attendere il responso, che però richiede in media 300 giorni per arrivare (più il tempo per un eventuale ricorso). Questa sofferenza strutturale del sistema ha portato un sovraffollamento delle strutture, che devono affrontare anche il ritorno dei migranti respinti ai sensi del “Regolamento di Dublino”.

Ad aggravare il tutto contribuisce poi il fatto che oggi si entra nel circuito dell’accoglienza solo dopo la compilazione dei moduli di richiesta di asilo, che nelle questure meno attrezzate può richiedere settimane. In questo tempo i migranti sono lasciati a loro stessi, senza un luogo dove andare e dipendenti dall’assistenza dei volontari e delle comunità.

Anche all’interno del sistema di accoglienza, poi, il rischio marginalità è molto forte. Questo è dovuto al fatto che solo 31.000 posti sono effettivamente all’interno della rete SPRAR, che prevede che all’accoglienza si affianchino programmi di integrazione e avviamento al lavoro. Per tutti gli altri richiedenti asilo l’assistenza è solo di tipo emergenziale, con poco o niente da offrire oltre la sussistenza. Usciti da questi centri, quindi, i migranti non saranno ancora in grado di inserirsi nella società e nel lavoro, condizione necessaria ad una vera integrazione.

Delle 100.000 persone già uscite dal circuito dell’accoglienza, quindi, una grandissima parte ha provato a lasciare l’Italia per un altro paese europeo, o si è ritrovata a cercare una sistemazione di fortuna, solitamente in un contesto di forte marginalità sociale. Le 10.000 persone censite da MSF si trovano solitamente in tre contesti diversi: occupazioni, insediamenti informali e aree di frontiera.

Insediamenti informali

Con questo termine si intendono tutti quegli assembramenti di vario genere totalmente irregolari e non censiti, di solito nati spontaneamente in aree periferiche e marginali. Questi possono essere di vario tipo, da vecchi edifici fatiscenti occupati, a baraccopoli, a campi di tende o addirittura semplici giacigli all’aperto. Ultimamente in essi si registra una sempre maggiore presenza di cittadini italiani al fianco dei migranti.

Particolarmente dura è la situazione nelle baraccopoli in cui confluiscono i migranti per il lavoro stagionale in agricoltura, che durante il periodo del raccolto si riempiono rapidamente oltre le capacità delle strutture. Quando succede questo la situazione diventa estremamente pericolosa, con un altissimo rischio di incendi e una sofferenza maggiore per la mancanza di servizi basilari.

Le condizioni di vita in tutte comunità sono durissime, per la frequente mancanza di  acqua ed elettricità e per la loro vulnerabilità alla criminalità organizzata, che spesso ne sfrutta gli abitanti per le sue attività di racket e caporalato. Interviene poi un circolo vizioso di esclusione legato agli sgomberi: spesso queste formazioni vengono smantellate dalle amministrazioni in nome del decoro e della sicurezza, ma senza offrire una soluzione alternativa agli abitanti. Questi, non avendo alternative creano nuovi insediamenti, ancora più piccoli, precari e nascosti, rischiando di essere ancor più emarginati e vulnerabili.

Occupazioni abitative

Le occupazioni abitative non sono una novità, esistono in Italia da decenni ma ultimamente sta aumentando vertiginosamente il numero di richiedenti asilo o addirittura di titolari di protezione internazionale che abitano in edifici occupati.

Molte sono organizzate dai movimenti sociali di lotta per la casa e autogestite dagli ospiti. Vedono al loro interno italiani e persone provenienti da molti paesi diversi che spesso collaborano per il recupero dei palazzi occupati, sottraendoli all’abbandono.

Queste realtà sono illegali e quindi risulta difficile bilanciare lo scontro tra i diritti dei proprietari e i bisogni emergenzali di chi vi abita abusivamente. Se da un lato quando gli stabili sono comunali e viene riconosciuta una valenza sociale all’uso che ne viene fatto si giunge spesso ad una forma di regolarizzazione, quando la proprietà è privata la situazione si complica. Gli sgomberi sono frequenti e, quando mancano soluzioni alternative da proporre agli occupanti, si rischia che da un contesto in parte protetto questi finiscano per strada o in precari insediamenti formali.

Frontiere

Non tutti i migranti presenti sul suolo italiano sono qui per restare, moltissimi sono diretti in altri paesi europei, dove hanno famiglie o comunità di riferimento. Questi sono i cosiddetti “transitanti”, che però per il regolamento di Dublino dovrebbero stabilirsi in Italia in attesa dei permessi per muoversi nel resto d’Europa.

Succede quindi che nel tentativo di attraversare le frontiere vengano respinti, spesso in modo violento, dovendo quindi cercare una sistemazione di fortuna a ridosso del confine per tentare un nuovo passaggio. Quasi tutti i respinti ripovano a prosegure il viaggio in Europa, rischiando nuovamente la vita, soprattutto quando tentano di varcare il confine camminando lungo ferrovie o autostrade. Solo lo scorso anno almeno 20 migranti sono morti in questo modo.

Anche chi riesce ad arrivare in Francia, Svizzera o Austria non è sicuro di essere passato, visto che rischia di essere riportato in Italia secondo le regole del Trattato di Dublino. Questo stabilisce tassativamente che lo stato che deve valutare le domande d’asilo dei richiedenti è quello di “primo arrivo”, ossia il primo stato attraverso cui giungono in Europa. I migranti senza permessi provenienti dall’Italia vengono quindi scortati nuovamente nel nostro paese, e devono tentare nuovamente la fortuna.

Questa dinamica ha fatto nascere grandi insediamenti di migranti in luoghi come Ventimiglia, Como, Gorizia o il Brennero, in cui la convivenza con gli abitanti sta diventando progressivamente più complicata. Le associazioni come MSF sono tra i pochi enti che si occupano degli invisibili delle frontiere, mentre spesso i comuni hanno reagito duramente con sgomberi e altre misure di ordine pubblico.

Il problema dell’accesso alle cure

Qualunque sia la sistemazione che trovano i migranti esclusi dall’accoglienza, una cosa le accomuna: la difficoltà nell’accesso alle cure mediche. Quelle che abbiamo descritto, infatti, sono situazioni abitative irregolari, nelle quali non si può fissare la residenza anagrafica, requisito richiesto per accedere alla sanità pubblica.

In Italia le cure sono garantite a tutti per legge, ma per iscriversi al Sistema Sanitario Nazionale e di conseguenza farsi assegnare un medico serve tassativamente una residenza. Questa per legge non può essere fissata in stabii occupati e la procedura per l’assegnazione di residenza fittizia (come avviene con i senza dimora) è molto difficile per un migrante, soprattutto se intende spostarsi nel territorio per lavorare.

Molti migranti in regola ricorrono quindi al regime STP (straniero temporaneamente residente), ossia lo strumento giuridico con cui si forniscono le poche cure essenziali ai migranti irregolari. L’assistenza sanitaria ai migranti viene quindi in proporzione sempre maggiore affidata alla cooperazione e al terzo settore, se non ai presidi di pronto soccorso, che quindi in alcune zone sono cronicamente sovraffollati.

L’accesso alle cure per i migranti è quindi fortemente compromesso, visto che questi regimi emergenziali mettono a disposizione ben poche delle cure specialistiche garantite invece dal SSN. Ci sono quindi enormi difficoltà ad esempio ad accedere alle cure pediatriche o a quelle relative alla salute riproduttiva, mentre la mancanza di mediatori culturali nei presidi medici rende quasi impossibile l’accesso alle cure psichiatriche, oltre che complicare in generale l’assistenza.

Cosa chiede Medici Senza Frontiere

Al termine dei suoi rapporti MSF presenta delle richieste alle autorità competenti per migliorare le condizione dei riugiati e dei migranti che vivono negli insediamenti informali. L’organizzazione sottolinea come queste siano persone estremamente vulnerabili che necessitano di beni essenziali e cure mediche.

Per quanto riguarda la sanità MSF chiede la rimozione delle barriere burocratiche che impediscono l’accesso dei richiedenti asilo al Sistema Sanitario Nazionale, soprattutto quelle legate alla residenza anagrafica. Chiede poi che queste cure vengano erogate nelle strutture del SSN invece che in maniera emergenziale direttamente nei centri d’accoglienza e che siano disponibili programmi avanzati come le cure pediatriche o i consultori familiari. Chiede poi che siano disponibili dei mediatori in maniera strutturata, non solo grazie ai contratti a progetto.

Sul tema degli insediamenti informali viene invece richiesta una seria attività di monitoraggio, necessaria per individuare i casi di vulnerabilità e allertare i servizi sociali. Chiede poi che si evitino gli sgomberi forzati in mancanza di soluzioni abitative, in modo da non interrompere i processi di inserimento sociale. Chiede infine delle misure apposite per i transitanti, aiutandoli dal punto di vista sanitaro e giuridico nel loro viaggio, in particolare escludendo le attività di soccorso dal reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

 

Fonti e Approfondimenti:

Report 2018 completo  –  Fuori Campo

Report 2018 completo  –  Mal di Frontiera

Video di presentazione  –  https://www.youtube.com/watch?time_continue=80&v=0v399wRulYw

 

Leave a comment

Your email address will not be published.


*