Con Pompeo se ne va la diplomazia?

Il presidente Trump martedì 13 marzo ha deciso di allontanare il Segretario di Stato Tillerson e sostituirlo con il capo della CIA Mike Pompeo. Le voci di questo cambio erano già iniziate a settembre del 2017, dopo le prime incomprensioni tra Trump e Tillerson riguardo al trattamento da adottare in Korea.

Venti è il numero magico dei collaboratori e membri ufficiali dello staff che Trump ha fatto allontanare, alcuni obbligandoli a dimissioni, altri con il licenziamento diretto. A nessuno di questi la decisione è stata comunicata di persona dal presidente. Nel caso del neo licenziato Segretario di Stato il capo del personale della Casa Bianca ad avvertirlo, venerdì scorso, ma senza indicargli un orizzonte temporale preciso. Successivamente Tillerson ha appreso della decisione attraverso il tweet di Trump.

 

Cerchiamo di capire i motivi dell’allontanamento dell’ex ceo di EXXON, quale figura lo è andato a sostituire e cosa ci dobbiamo aspettare nei prossimi mesi.

I motivi dell’allontanamento di Tillerson

La domanda che lo stesso Tillerson e tutto il mondo dei media si è fatto è stata: perché? La ragione principale riguarda l’incomprensione continua che il presidente Trump percepiva nei confronti di Rex Tillerson. Il segretario di Stato era un uomo di mediazione, una caratteristica che aveva acquisito negli ultimi 30 anni come membro della più grande azienda petrolifera d’America. Era critico su praticamente tutte le decisioni di Trump, non perché in realtà nascondesse idee progressiste, ma perché capiva perfettamente che le azioni dell’amministrazione stanno mettendo a rischio il portafogli degli Americani, una cosa a cui Tillerson è molto legato.

Le divergenze tra Presidente e Segretario di Stato si possono leggere su questa direttrice praticamente in tutti gli scenari. Partiamo dal caso del Qatar. Tillerson sa perfettamente che Doha è un punto centrale per il commercio internazionale e sa che è l’unico baluardo anti saudita all’interno di un Gulf Cooperation Council che, senza di questa, sarebbe a esclusiva trazione saudita. Nelle relazioni internazionali è di basilare importanza comprendere come avere un alleato forte di cui ti fidi è un vantaggio, ma avere un alleato forte che tende a fare colpi di mano importanti, come l’Arabia Saudita ha dimostrato negli ultimi mesi, è un rischio. Di conseguenza era comodo avere un Qatar forte che potesse influenzare le decisioni di Ryad. Su questo punto Tillerson era stato molto chiaro fin dall’inizio: gli USA non devono sostenere alcuno scontro all’interno della cerchia dei propri alleati. Trump senza ascoltarlo è andato in Arabia Saudita, ci ricordiamo tutti l’orribile balletto con le spade, e ha benedetto l’azione saudita di Bin Salman contro Doha, per i suoi rapporti con l’Iran.

 

Consigli inascoltati, questo è stato il copione base del rapporto tra Trump e Tillerson. Lo stesso si è ripetuto nella questione Nord Korea, per affrontare la quale a novembre Trump era pronto a inviare nuove truppe in Sud Korea, nonostante il parere negativo del Segretario di Stato, salvo poi astenersi dal farlo dopo il deciso rifiuto del presidente Moon Jae In. Lo scenario si è presentato in tutte le crisi che il presidente ha affrontato e sta affrontando, l’ultima delle quali, forse la più importante, è quella a proposito dei dazi su alluminio e acciaio.

Tillerson è cresciuto e diventato l’uomo di successo che è nel libero mercato, ha guidato la sua azienda petrolifera in un mondo sempre più globalizzato e sempre meno inficiato da dazi doganali e barriere di frontiera. La storia dell’uomo è stata alla base del secco rifiuto con cui il Segretario di Stato ha risposto al Presidente Trump quando lui gli ha spiegato e mostrato la sua volontà di imporre queste misure economiche. Tillerson sapeva che questo passo poteva essere visto come una guerra commerciale, e che non si può fare una guerra commerciale quando hai un surplus negativo alto come quello degli Stati Uniti. I risultati sono tre:  il costo della vita interna si alza, le aziende si indeboliscono e perdono in competitività e il risultato finale è una rottura di quel gentlemen agreement che c’è tra Cina, America e Europa, in cui si è deciso di non vendere i titoli di stato altrui apertamente, con il rischio di far crollare tutto. 

 

Il Segretario, avendo questo scenario in mente e temendo che gli Stati Uniti non possano vincere questa guerra, si è fermamente opposto a questa misura. Il copione però è rimasto lo stesso, cambiando solo il risultato finale: oltre a non ascoltare il consiglio, Trump ha anche deciso di sostituirlo con Mike Pompeo.

Mike Pompeo, chi è?

Qui si arriva alla seconda domanda che ci poniamo oggi, ma chi è quest’uomo? Bisogna inizialmente capire da dove viene e che studi ha fatto per definirne il profilo. Mike Pompeo è un americano di origini italiane, se vogliamo essere precisi abruzzesi. È nato nella Contea di Orange in California, uno degli ultimi baluardi repubblicani dello stato di L.A.. Ha studiato legge ad Harvard e poi si è formato a West Point come esperto di sicurezza internazionale. È stato eletto nel 2010 deputato alla Camera dei Rappresentati come parlamentare del Kansas. Il suo sostegno arriva dal Tea Party americano, un gruppo di ultra conservatori libertari che prendono il nome dal famoso lancio del tè inglese in mare durante la guerra di indipendenza.

 

Per sette anni ha fatto l’opposizione dell’opposizione. Ha combattuto contro i democratici di Obama e contro l’establishment repubblicano di Paul Ryan, ottenendo ben poco successo. Nel 2016 mentre tutto il Partito Repubblicano saltava giù dalla barca di Trump, pronto a perdere le elezioni, Mike Pompeo è diventato praticamente uno dei pochi che lo sosteneva a spada tratta. 

Per questo motivo quando Trump è stato eletto Presidente, Pompeo ha ricevuto la carica di direttore della CIA. In questo anno di presidenza si è dimostrato proprio l’uomo che la Casa Bianca aveva immaginato che fosse. La Central Intelligence Agency sotto la sua guida è stata forse l’agenzia più aggressiva del panorama pubblico. L’agenzia si è dimostrata partigiana come da molti anni non si vedeva. Numerosi report hanno criticato le investigazioni del procuratore Muller del FBI riguardo al Russia Gate, prima come spreco di denaro poi arrivando anche a dire che potrebbe esserci sotto un complotto democratico. Come capo della CIA ha spesso commentato in modo molto diretto l’operato di altri membri dell’amministrazione. Ha definito l’Iran “lo stato più pericoloso al mondo”, la Korea del Nord “una minaccia continua all’esistenza degli Stati Uniti d’America”, e ha criticato moltissimo gli alleati americani che a suo parere non supportano abbastanza lo sforzo americano.

Allo stesso tempo ha anche mostrato la sua posizione sulla tortura, che ha ritenuto legittima nel caso in cui serva ad avere informazioni chiave, e anche la sua posizione su Guantanamo che, a suo parere, è una struttura chiave nel panorama di sicurezza degli Stati Uniti.

 

Tutte idee che Trump ritiene debbano essere proprie degli uomini della sua amministrazione. Questo ragionamento lo ha spinto a nominare al posto di Pompeo, Gina Haspel, una donna che è implicata nel massiccio uso del waterboarding sia a Guantanamo sia nel famoso “Occhio del Gatto”, una prigione segreta della CIA in Tailandia.

La fine della diplomazia?

Dopo aver fatto un profilo di Pompeo è necessario chiedersi cosa succederà. È molto difficile fare un quadro veramente valido, anche perché l’ormai ex direttore della CIA non ha mai avuto una posizione propositiva di politica estera o di politica di sicurezza. Il direttore della CIA fa report e approva, o rifiuta, le missioni sotto copertura, ma non ha un vero e proprio ruolo di proposizione di una linea politica. Adesso dovrà invece sporcarsi le mani e non potrà più criticare solamente quello che gli altri fanno. Dovrà andare a parlare con l’Iran, con la Korea del Nord e con gli alleati americani. Quello su cui siamo sicuri è che nessuno di questi soggetti lo accoglierà a braccia aperte.

 

La regola dice che i Segretari di Stato, qualunque siano state le loro precedenti posizioni, si sono tutti trasformati in uomini di dialogo e di ragionamento, ma l’amministrazione Trump ci ha abituato allo stravolgimento di regole secolari.

Dovremo aspettare i prossimi appuntamenti per capire come si muoverà Pompeo e questo ci farà capire quanto durerà. Trump ha sostenuto che Pompeo è l’uomo giusto perché va sempre d’accordo con lui, questo sembra essere l’unico modo per rimanere in carica.

 

La prospettiva più preoccupante è quella che vede la diplomazia uscire dalla porta per laciare spazio all’azione diretta. Non sappiamo cosa potrebbe succedere nel caso in cui il nuovo Segretario di Stato diventi così aggressivo da uscire unilateralmente dal JCPOA o se agisse in modo unilaterale verso i proxies dell’Iran, cosa che porterebbe inevitabilmente ad uno scontro. Questo è solo uno dei casi e una delle possibili conseguenze, ma sono molti gli scenari a tinte fosche che potremmo vedere nei prossimi mesi nel caso in cui il capo della diplomazia della più grande potenza al mondo decidesse di mettere da parte la diplomazia stessa.

 

 

Fonti e Approfondimenti:

https://www.theatlantic.com/international/archive/2018/03/rex-tillerson-firing-timeline/555464/

https://www.theatlantic.com/politics/archive/2018/03/exodus-rex/555473/

https://www.vox.com/world/2017/11/30/16719690/mike-pompeo-tillerson-fired-haspel-cia-state-department

http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2018-03-13/chi-e-mike-pompeo-l-uomo-cia-simbiosi-trump-155704.shtml?uuid=AE107FGE

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