Governo che vieni, governo che vai: le contraddizioni del nuovo esecutivo

Terminata la crisi di governo l’Italia ha inaugurato la nuova legislatura con Giuseppe Conte come Presidente del Consiglio, ufficializzata dalla fiducia di entrambe le Camere. Il nuovo esecutivo inizia però i lavori all’insegna di numerose contraddizioni, che pesano soprattutto sulle sue forze politiche.

Nel linguaggio sviluppato dai partiti della maggioranza durante la campagna elettorale, questi problemi vengono minimizzati o rinominati, nel tentativo di dare l’impressione di una maggiore solidità dell’accordo. Far cooperare Lega e M5S sarà infatti più dura di quanto i leader sostengono, e i sintomi già visibili possono essere schematizzati in cinque punti.

Le affinità elettive

Le due forze di maggioranza hanno poco in comune, se non il presentarsi come partiti anti-establishment.

Questo tra l’altro è sì vero per il M5S, nato con questa identità e ancora in via di maturazione, ma parlando della Lega questa definizione non funziona così bene. Quello di Salvini è un classico partito di destra, ha più di venti anni di storia e una fitta rete di alleanze in Europa e nelle istituzioni dell’UE: un caso da manuale di “vecchia politica”.

La verità è che a unire i due partiti è l’aver fatto un’opposizione velenosa ai governi PD della legislatura appena conclusa e all’UE, in una parola l’essere stati le forze di opposizione. Il cosiddetto “governo del cambiamento” è quindi il normale passaggio di potere tra forze politiche nell’alternanza di governo. A riprova di questo possiamo notare come, una volta spogliato della retorica, quello di Conte sia un semplice governo di destra, promosso da un partito come la Lega e dall’ala conservatrice del M5S.

Vox populi

Questo governo non è espressione delle urne.

La Lega correva in coalizione con il centrodestra, in un fronte che poi si è disgregato alla prova della formazione del governo quando la Lega ha scoperto di esserne divenuta la componente maggioritaria. A voler citare il famoso “mandato degli elettori” caro al M5S, la Lega lo avrebbe platealmente tradito, ma questa mossa di realismo politico non sembra aver turbato nessuno (se non Berlusconi e la Meloni).

Il Movimento 5 Stelle ha invece affrontato da solo la prova delle elezioni, come sempre dichiarandosi unica alternativa a quelli che chiama “vecchi partiti” e annunciando di non voler fare alleanze. Alleanze che invece, una volta scoperto di non aver ottenuto un’irrealistica maggioranza assoluta nè un governo monocolore di minoranza, sono diventate improvvisamente possibili. Da nemico allora Salvini è diventato l’alleato naturale: l’unica altra ex forza di opposizione con abbastanza seggi per avere una maggioranza. I due partiti però hanno ancora agende diverse e per quanto alleati sono in competizione per il voto di fasce simili della popolazione.

Il governo Conte non nasce quindi nelle urne ma nel Parlamento, come è normale che sia in una democrazia rappresentativa senza bipolarismo. Ha quindi poco valore la retorica della diversità e della novità di questo governo, resta da capire la repulsione dei due partiti nel dichiarare le proprie mosse di realpolitik come tali.

Ogni promessa è debito

Non esistono contratti di governo.

Firmare un documento non obbliga nessuno, è il testo che risulta da un negoziato tra le forze politiche ma la verità è che sarà il terreno del loro scontro, non del loro accordo.

Il programma stesso è contraddittorio e volutamente infattibile, con poca coerenza interna ma tanti punti diversi per soddisfare l’elettorato di entrambe le forze di governo. Gli elettori di Lega e M5S hanno così modo di apprezzarlo per gli elementi a loro cari, ma quasi nessuna politica mette davvero tutti d’accordo.

Le risorse economiche e politiche a disposizione per questa legislatura, tra l’altro, non bastano che per una frazione delle proposte, quindi la competizione interna alla maggioranza per la definizione delle priorità del governo rischia di essere serrata. Il boicottaggio reciproco è solo questione di tempo, e la soluzione temporanea adottata dai due leader (vedi prossimo punto) non può durare 5 anni.

Leadership cercasi

Il governo Conte è nella storia della repubblica quello con più ministri “tecnici” tra i cosiddetti governi politici. 

Il perché di questa scelta è a mio avviso evidenziato dalle posizioni assunte dai due leader di partito e da quelle andate proprio ai tecnici.

Di Maio e Salvini hanno occupato rispettivamente i Ministeri di Lavoro e Interni, quelli propedeutici a mettere in atto le politiche più “concrete” e realizzabili al centro delle loro campagne elettorali. Come Di Maio sa che il suo successo è dipeso dalle sue rassicurazioni nel campo dell’occupazione e del reddito, Salvini sa che la narrativa di sicurezza e immigrazione gli è stata fondamentale. Le loro dichiarazioni di questi giorni hanno fatto subito capire che saranno questi i primi temi che affronteranno, ma a presenza di tecnici in Ministeri chiave come quello dell’Economia fa presagire anni di ordinaria amministrazione nei settori di politiche più complessi e meno “fotogenici”.

Infine, alla nomina di un premier non-carismatico come Conte corrisponderà l’assenza di una linea propria dell’esecutivo. Questo è stato evidente nei discorsi per chiedere la fiducia alle Camere, in cui il premier non è andato molto oltre ribadire le priorità del patto di governo. Il governo vivrà o morirà esclusivamente nei negoziati tra i gruppi dirigenti dei due partiti a causa delle contraddizioni che stiamo vedendo, e non ci si può permettere nessuna autonomia del premier quando serve tutta questa flessibilità.

Nemici del popolo

La retorica del nemico è bene che finisca con la presa del potere.

Una volta lasciata l’opposizione per il governo si è pienamente responsabili dei propri risultati, non ci sono più capri espiatori. Sia la Lega che il M5S hanno basato il loro successo sulla critica aspra a Renzi, ora sono quindi obbligati a presentare dei risultati al loro elettorato per dimostrare di saper guidare il paese oltre che fare opposizione.

Incolpare i predecessori delle proprie inadeguatezze non sarà una difesa utile, come non lo è stata per le amministrazioni Cinque Stelle di Roma e Torino, e nemmeno l’inesperienza è più una giustificazione. Il 2018 non è il 2013, Salvini e Di Maio hanno bisogno di dimostrare che oltre che “indignarsi” negli ultimi 5 anni hanno anche costruito qualcosa, e il ruolo delle opposizioni sarà fondamentale perché non lo facciano solo a parole e slogan.

Questa legislatura è fragile, ma non c’è da sorprendersi. Nasce da un passaggio di potere da una maggioranza frammentata ad un’opposizione frammentata dopo un voto senza vincitori, allea due forze populiste ma difficili da conciliare e ha un programma ambiguo. Cosa ne sarà lo vedremo presto, e se il tono della comunicazione rimarrà quello della campagna elettorale sapremo che nemmeno i protagonisti si fidano del loro progetto.

Le forze sconfitte, i protagonisti della Seconda Repubblica per la prima volta entrambi all’opposizione, hanno l’opportunità di fare autocritica e rifondarsi in vista del prossimo appuntamento elettorale. La loro sopravvivenza però dipende da come si comporteranno nel loro nuovo ruolo istituzionale: devono capire che non sono in grado come i loro avversari di portare avanti una campagna di becero assalto frontale su ogni mossa del governo e, nel frattempo, dimostrare di aver superato la vuotezza di contenuti dell’anti-berlusconismo. Fallire anche una sola tra la sfida politica e la sfida interna le condannerà all’irrilevanza, se sono capaci di fare opposizione è bene che non perdano tempo.

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