Somaliland: lo stato che attende il riconoscimento

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Subayerboombastic, Wikimedia Commons, CC-BY-SA 3.0

La Repubblica del Somaliland è composta dalle provincie più settentrionali della Somalia. Nonostante abbia dichiarato l’indipendenza nel 1991 e da allora funzioni di fatto come uno stato indipendente, il Somaliland non è riconosciuto ufficialmente da nessun attore internazionale. Capire il perché non è facile, soprattutto visto che il paese è nettamente più stabile e funzionale del resto della Somalia e di molte altre zone del Corno d’Africa.

Il Somaliland ha praticamente tutte le caratteristiche degli stati sovrani: una moneta propria, confini stabiliti, burorazia ed esercito professionali e il governo della capitale Hargeisa ha il controllo del territorio. Il paese inoltre può firmare contratti internazionali, ad esempio quelli con le imprese private, e intrattiene relazioni diplomatiche con organizzazioni come le Nazioni Unite, l’UE e la Lega Araba, oltre che con alcuni paesi.

Il paese si affaccia sul golfo di Aden ed è compreso tra i territori di Gibuti, Etiopia e l’altra regione indipententista della Somalia: il Puntland, con cui ha una disputa per il confine. Il territorio è quindi estremamente importante per la sua posizione strategica lungo le rotte del commercio globale e nel cuore di una regione complicata come il Corno d’Africa. I timori dietro il mancato riconoscimento riguardano quindi soprattutto il rischio di destabilizzazione dell’area, nonostante il Somaliland abbia delle performance molto solide dal punto di vista politico ed economico.

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La via verso l’autodeterminazione

La Repubblica del Somaliland ha dichiarato l’indipendenza nel 1991, dopo la definitiva caduta del regime autoritario di Siad Barre. Il progetto di unità nazionale somala perseguito dal generale si sgretolò progressivamente a causa della politica clientelare e divisiva che rinforzò le fratture tra clan e regioni, culminata nel crollo dell’apparato statale negli anni Novanta. Nel caos della guerra civile le autorità locali dichiararono l’indipendenza, creando la situazione di limbo che dura ancora oggi.

L’attuale governo del Somaliland ritiene di essere il successore naturale del vecchio protettorato inglese sulla regione, iniziato nel 1884 quando le truppe di Londra si stabilirono nella regione. Durante la seconda guerra mondiale l’Italia invase il Somaliland per annetterlo ai suoi domini, ma il controllo inglese fu ristabilito nel 1941, con la controffensiva che espulse le truppe italiane dal Corno d’Africa. Nel 1950 fu quindi ripristinato il protettorato inglese sul Somaliland e la cosiddetta “Somalia Italiana” fu affidata a Roma dalle Nazioni Unite, dividendo nuovamente le due entità statali unificate durante la guerra.
Questo è un periodo di autogoverno per la regione settentrionale, che inizia a prendere la sua forma odierna. Tutto cambierà deci anni dopo con l’indipendenza della Somalia nel 1960, frutto del desiderio delle potenze globali di creare uno stato somalo unitario nella regione.

Mano a mano che l’autorevolezza di Barre si deteriorava il progetto nazionale fu ripreso dal Somali National Movement (SMN) supportato dal governo comunista etiope del DERG. La fine degli anni Ottanta vide una dura repressione del SMN da parte dell’esercito di Barre, ma il crollo del suo regime diede spazio ai ribelli che divennero l’autorità sovrana della regione settentrionale. Da allora il processo di state-building del Somaliland è in corso, così come la tessitura delle sue relazioni internazionali.

Il Somaliland oggi ha stretti rapporti politici (informali) con Regno Unito, Ruanda, Norvegia, Kenya, Etiopia, Irlanda ed Unione Europea. Il paese viene trattato ormai da molti come uno stato, ma il riconoscimento sembra ancora lontano.

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Problemi di riconoscimento

Ufficialmente la comunità internazionale riconosce il Somaliland come una regione autonoma della Somalia piuttosto che come uno stato indipendente, di fatto reputandolo sottomesso all’autorità del governo federale di Mogadiscio. Sono molti infatti gli interessi regionali, continentali e internazionali contrari al riconoscimento vero e proprio del paese, che non fanno riferimento alla sua situazione interna quanto al quadro regionale.

Quella del cambiamento dei confini è una delle dinamiche più difficili della politica africana. Nel continente si sono mantenuti i confini coloniali per paura che si innescasse una reazione a catena che avrebbe fatto detonare i vari separatismi a scapito degli stati indipendenti allora in fase di consolidamento. Poche sono state le eccezioni – si ricordano Eritrea e Sud Sudan – e a determinarle sono state delle dinamiche estremamente particolari.

L’approccio al Somaliland che hanno molti attori ricalca questa concezione “classica” alla geopolitica africana. Riconoscerne l’indipendenza darebbe impeto agli altri separatismi della regione e in generale del continente, una questione temuta da molti soprattutto nel contesto della Somalia e del Corno d’Africa. Molti analisti sono convinti che questo effetto “vaso di Pandora” sia un timore parzialmente immotivato, ma i capi di stato africani preferiscono accettare l’attuale status quo piuttosto che rischiare una spirale di conflitti.


Tutti temono una balcanizzazione della Somalia lungo le fratture tra le regioni e tra i clan, con il rischio di secessione anche delle province di Puntland e Jubaland.
Questa disgregazione del paese metterebbe a rischio anche potenze regionali come Kenya ed Etiopia, che temono la destabilizzazione delle loro aree di confine abitate da popolazione somala. Per non creare un precedente pericoloso la comunità internazionale sta sostanzialmente aspettando l’assenso di Mogadiscio in modo da poter presentare questa indipendenza come una separazione negoziata simile a quella eritrea o sudanese. Nel caso somalo questa dinamica è però ben lontana dalla realtà.

Le ragioni per ritardare l’indipendenza possono essere ricondotte anche alle aspettative dell’Unione Africana e altri attori internazionali riguardo il governo di Mogadiscio. La costruzione e il rafforzamento di uno stato nazionale unitario somalo è infatti ritenuta da molti la soluzione al caos interno del paese, anche se la storia ha sempre smentito questa ipotesi.

A ritardare il riconoscimento del Somaliland sono anche paradossalmente i suoi buoni risultati nello sviluppo politico ed economico. Il rischio di innescare un conflitto tra favorevoli e contrari all’indipendenza frena tutti gli attori interessati nella stabilità dell’area: il pericolo sarebbe quello di minare una realtà tutto sommato di successo, un prezzo molto alto per il riconoscimento.

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Sviluppo politico ed economico

Secondo alcuni analisti, nonostante la mancanza di un riconoscmento internazionale, infatti, il Somaliland avrebbe le migliori performance democratiche dell’intero Corno d’Africa, relativamente molto superiori ai regimi autoritari della regione o al caos della Somalia meridionale. Questo sarebbe stato possibile grazie al fatto che lo stato ha costruito i suoi organi amministrativi seguendo i concetti propri della consuetudine somala di “consenso” e “consultazione”. L’aver incorporato dal basso delle norme consuetudinarie nelle istituzioni statali ha permesso un migliore e più facile controllo del territorio e ha vincolato il governo con una maggiore accountability.

Questo ha permesso al Somaliland di essere un territorio relativamente stabile in un’area decisamente instabile, con degli standard democratici più solidi di quelli dei vicini. Nei suoi 27 anni di vita il paese ha visto elezioni periodiche senza problemi evidenti, le opposizioni non sono state perseguitate e la pluralità politica non degenera nel conflitto violento. Il “contratto sociale” tra stato e cittadini è molto più forte quando questi ultimi riescono a riconoscersi nell’autorità pubblica.

Anche dal punto di vista economico il Somaliland sta ottenendo risultati soddisfacenti. Il settore principale dell’economia è l’allevamento, potenziato decisamente dalla facilità che ha il paese nell’esportare. Le rotte commerciali globali passano infatti dal Somaliland, e il suo porto di Berbera è talmente strategico da essere stato al centro di molte contese della Guerra Fredda. Questo sta aiutando il settore privato del paese a tessere rapporti proficui con altri paesi di Africa e Medio Oriente, oltre che con Cina e paesi Occidentali.

Anche le rimesse degli abitanti che lavorano al’estero sono importanti per l’economia del Paese. L’agricoltura e il settore minerario sono ritenuti promettenti, in particolare per la presunta presenza di gas e petrolio nella regione. Potenziare questi settori passa però dalla cooperazione con gli altri paesi, che sono ancora ostacolati in buona parte dalla strana “inesistenza” del paese.

Quello del Somaliland sembra quindi un sistema in grado di crescere e rafforzarsi se supportato propriamente. Restano però delle debolezze istituzionali che, se il processo di intergrazione internazionale o di stabilizzazione economica rallentassero, rischierebbero di esplodere. Minare le possibilità di sviluppo della regione potrebbe essere controproducente per la comunità internazionale, che rischia di sacrificare un contesto virtuoso pur di perseguire delle politiche decisamente “vecchia scuola” in una regione in cui l’intervento straniero finora è stato poco risolutivo.

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Fonti e Approfondmenti:

Kaplan, S. (2008) The remarkable story of Somaliland. Journal of Democracy, Volume 19, Issue 3.

https://www.economist.com/the-economist-explains/2015/11/01/why-somaliland-is-not-a-recognised-state

https://worldpolicy.org/2017/02/21/somaliland-a-stable-and-independent-state-but-no-recognition/

https://www.fragilestates.org/2012/01/10/somalias-complex-clan-dynamics/

http://www.affarinternazionali.it/2017/11/somaliland-prova-demcrazia-siccita/

http://www.limesonline.com/rubrica/somaliland-un-modello-da-seguire

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