Balcani in pillole: Romania

Dal 1990, la Romania è una democrazia di stampo occidentale e una repubblica semi-presidenziale, nonostante la sua storia culturale, religiosa e politica sia contraddistinta da lunghi periodi di violenza e di sottomissione a regimi di diversa natura. Inoltre, l’eredità del regime autoritario di Ceausescu impedisce al Paese di superare sfide come la lotta alla corruzione e il consolidamento dell’economia.


Popolazione
: 21,529,967 abitanti
Superficie: 238,391 kmq
Densità di popolazione: 85.1 ab./km
Capitale: Bucarest
Forma di governo: Repubblica semi-presidenziale
Gruppi nazionali: romeni 83.4%, ungheresi 6.1%, rom 3.1%, ucraini 0.3%, tedeschi 0.2%, altri 0.7%, non specificato 6.1%
Religioni diffuse: ortodossi orientali (incluse tutte le sotto denominazioni) 81.9%, protestanti (inclusi i riformati e i pentacostali) 6.4%, cattolici 4.3%, altri (inclusi musulmani) 0.9%, atei 0.2%, non specificato 6.3%
Lingua ufficiale: romeno 85.4%
Altre lingue: ungherese 6.3%, rom 1.2%, altrE 1%, non specificato 6.1%
Posizione rispetto all’UE: Paese membro dal 2007

Storia politica

Le origini dell’identità nazionale romena sono da individuarsi nella colonizzazione romana e nella successiva introduzione del culto cristiano nei territori destinati a divenire lo Stato di oggi. La presenza romana formò una tradizione specifica, ispirata alla cultura e alla lingua latina. Da allora, l’area fu insanguinata da una lunga lotta religiosa, in cui si contrapposero i regnanti romeni cristiani e l’impero ottomano musulmano. Per tale motivo, per centinaia di anni la Romania fu una delle frontiere opposte dall’Europa cristiana all’avanzata ottomana e islamica.

Nonostante la strenua resistenza dei regnanti locali, la Romania visse sotto la dominazione ottomana dalla fine del XVI secolo agli anni ’70 dell’Ottocento. Nonostante l’imposizione del culto islamico, le tradizioni culturali e religiose, latine e cristiane, continuarono a perpetuarsi e ciò fu possibile anche grazie alla relativa libertà organizzativa che gli ottomani concedevano alle popolazioni sottomesse che si trovassero lontane dal centro dell’Impero. L’indipendenza e la sovranità furono riconquistate nel 1877, affermando chiaramente il legame tra la Chiesa cristiana romena e la tradizione ortodossa, assumendo come riferimento Mosca e non più Roma, un nuovo orientamento culturale che non si limiterà solo alla religione, ma anche alla sfera linguistica, sociale, geografica e politica.

Il Novecento ha rappresentato per la Romania un periodo di forte instabilità per i confini dello Stato, contesi e modificati più volte dagli Stati confinanti. Alcune regioni, come la Transilvania, la Dobrugia, la Bucovina e la Bessarabia, sono state più volte invase o forzatamente cedute a nazioni come la Russia, la Bulgaria e l’Ungheria. L’avvento della Prima Guerra Mondiale fu sfruttato dalla Romania per occupare oppure ottenere diplomaticamente le aree abitate in diversi periodi da popolazioni di etnia romena e conseguentemente rivendicate da Bucarest. Inizialmente dichiaratasi neutrale, nel 1916 la Romania si schierò contro l’Impero austro-ungarico. Il successo dell’Intesa consentì a Bucarest di aumentare il proprio territorio e di dare in questo modo vita alla “Grande Romania”, comprendendo la porzione orientale dell’attuale Moldavia, la Bessarabia, la Bucovina, oltre che il Regno di Romania.

Nel periodo tra le due guerre, la Romania maturò contatti culturali con l’Europa occidentale, con conseguenti effetti sulla propria struttura amministrativa e istituzionale. Il re Ferdinando I iniziò un’opera di modernizzazione dello Stato nei primi anni ’20, interrotta però dalla sua morte e in seguito dal precipitare degli eventi bellici che trascineranno la Romania nella Seconda Guerra Mondiale. Il Patto Ribbentrop-Molotov del 1939 stipulato tra la Germania nazista e l’URSS comportò l’invasione della Bessarabia da parte dell’Armata rossa nel 1940, per abbandonare poi il resto del paese a una dittatura filo-tedesca guidata dal maresciallo Antonescu.

Antonescu si schierò immediatamente al fianco dell’Asse e prese parte all’offensiva di Hitler contro Mosca. Durante il conflitto, la Romania risultava un Paese smembrato tra URSS, Bulgaria e Ungheria. Nel 1944, un colpo di stato ordito contro il dittatore Antonescu riportò la Romania a essere un Regno sotto re Michele, il quale si schierò immediatamente con gli Alleati combattendo contro i tedeschi occupanti. Nel 1947, alla Conferenza di Parigi, Bucarest tornò in possesso della Transilvania, ma dovette rinunciare ai territori romeni caduti sotto il controllo dell’URSS nel 1940, che vennero assegnati alla Repubblica socialista sovietica ucraina e a quella moldava.

Il Paese usciva quindi formalmente vincitore dal conflitto mondiale, ma territorialmente ridimensionata, inoltre la pressione esercitata dall’esercito sovietico minacciava di alterare gli equilibri interni a favore del Partito comunista romeno, rappresentante delle minoranze etniche nazionali e al tempo esiguo in termini numerici e di consenso all’interno della società, nonostante fosse appoggiata economicamente e militarmente da Mosca. In questa situazione re Michele fu costretto ad abdicare e a lasciare il controllo al Partito comunista, che proclamò la Repubblica popolare di Romania nel 1948. Il dopoguerra fu contraddistinto dall’emergere della figura e della personalità di Nicolae Ceausescu, il quale divenne Segretario del partito nel 1965, Presidente della Repubblica nel 1967 e mantenne la guida dello Stato fino al 1989.

Ceausescu fondò la propria linea di governo dispotica sull’isolamento del Paese dalle influenze politiche ed economiche provenienti dall’estero, ad eccezione di quelle sovietiche, nonché sulla repressione ferrea del dissenso. La polizia politica (chiamata Securitate) svolse un ruolo determinante nel regima comunista romeno, permettendone la permanenza al potere. In materia economico-finanziaria il partito operò scelte di carattere autarchico, le quali ebbero un effetto particolarmente negativo sulla popolazione, costringendola in larga parte a condizioni di povertà. Arretratezza e repressione saranno i caratteri distintivi del regime di Ceausescu e la loro eredità rimane tuttora limitatamente intatta, avendo lasciato un Paese e un’economia da ricostruire.

Un altro elemento del governo comunista romeno fu la relativa indipendenza in materia di politica estera nazionale, in quanto Ceausescu e Gheorghe-Dej prima di lui tentarono di affrancarsi parzialmente dal controllo politico e diplomatico sovietico. Questo tentativo sfociò nell’avvicinamento alla Cina maoista, desiderosa di istituire una propria sfera di influenza internazionale alternativa a quella sovietica. Il presidente romeno non collaborò attivamente nell’ambito del Comecon, contrastando le decisioni prese a Mosca negli anni ’60 riguardo all’opportunità per Bucarest di favorire lo sviluppo agricolo rispetto a quella industriale. La posizione indipendente assunta dai dirigenti romeni non apportò significativi benefici al Paese e anzi isolò maggiormente Bucarest in Europa.

La dittatura di Ceausescu si concluse nel dicembre del 1989 con un’insurrezione popolare dettata dalla disperazione e dall’odio generato dalle strategie intraprese da Ceausescu, il quale venne fucilato ponendo fine all’esperienza comunista in Romania. È interessante notare che fu l’unico caso nel blocco comunista europeo in cui il crollo del regime avvenne in maniera violenta. Il marchio impresso da Ceausescu allo Stato ebbe conseguenze profonde sul tessuto sociale, politico ed economico del Paese.

Il 1990 fu un anno di disordini interni e di instabilità istituzionale, nel corso del quale l’assenza di opposizioni organizzate favorisce i quadri dirigenti dell’era Ceausescu, i quali presero in mano le sorti del Paese sotto il nome di una nuova formazione politica, il Fronte di salvezza nazionale, portando alla presidenza Ion Iliescu, un ex dirigente comunista. In quanto Repubblica semi-presidenziale, Iliescu fu affiancato da un Primo ministro, ruolo in cui si succedettero in diversi nel corso degli anni ’90 e da cui alcuni vennero allontanati per corruzione o incompetenza. Nel 1991, la Costituzione preparò la Romania alle prime elezioni multipartitiche, da cui uscì vincitore Iliescu e il suo Partito Social-Democratico, erede del Partito comunista dichiarato illegale.

La cronica arretratezza in cui versava la Romania portò a rimandare le tanto attese riforme liberali, in nome della stabilizzazione del Paese. Questo delicato passaggio fu gestito dagli esponenti del partito di Iliescu, fino a poco tempo prima nei vertici del Partito comunista. La vera svolta politica avvenne nel 1996, con le elezioni che sancirono la vittoria dell’opposizione, ovvero il Partito democratico insieme al Partito nazionale liberale, portando Constantinescu alla presidenza. La coalizione di destra diede inizio ad un piano di privatizzazioni e deregolamentazioni massicce, mettendo in difficoltà la popolazione pur non riuscendo a rendere la Romania un’economia competitiva. Tuttavia, questo periodo è stato di fondamentale importanza, in quanto furono fissati gli obiettivi politici, economici e strategici che saranno poi realizzati nel decennio successivo, quali l’ingresso nella NATO (avvenuto nel 2004), l’istituzione di un’economia moderna e l’entrata nell’Unione Europea (avvenuta nel 2007).

Nel 2000 Iliescu torna al potere, sottolineando la cattiva gestione della destra, anche se la direzione della nuova direzione non si discosta da quella precedente, andando a realizzare alcuni degli obiettivi fissati da Constantinescu (come l’ingresso nell’Alleanza atlantica). Nel 2003 fu adottata una nuova Costituzione, compiendo il definitivo distacco dal vecchio sistema di potere con l’elezione di Basescu alla presidenza, sostenuto dalla coalizione di destra nel 2004. L’ingresso della Romania nell’Unione Europea nel 2007 rappresenta un mutamento determinante, in quanto gli interessi geopolitici romeni si sono spostati verso occidente, modificando il contesto entro il quale Bucarest si era mossa negli ultimi cinquant’anni.

Dal 2012, la Romania ha vissuto profonde tensioni sociali dovute alle accuse di violazione della Costituzione da parte di Basescu e all’endemico livello di corruzione, sfociate in un’instabilità politica che ha spesso costretto alle dimissioni del governo e ad elezioni anticipate.

Prospetto economico

Dopo la caduta del comunismo nel 1989, la Romania ha iniziato la propria transizione con una base industriale largamente obsoleta. La crescita macroeconomica della Romania ha solo recentemente iniziato a stimolare la nascita di una classe media e ad affrontare lo stato di povertà molto diffuso nel Paese, nonostante corruzione e burocrazia continuino a permeare l’ambiente commerciale.

All’indomani della crisi finanziaria internazionale, la Romania ha firmato un pacchetto di assistenza di emergenza da 26 miliardi di dollari dal Fondo Monetario Internazionale, l’Unione Europea e altri enti finanziari internazionali, ma il PIL è rimasto contratto fino al 2011. Nel corso del biennio 2011-2013 sono stati firmati diversi accordi con il Fondo Monetario Internazionale, l’UE e la Banca Mondiale per promuovere disciplina fiscale, incoraggiare riforme strutturali e rinforzare la stabilità del settore finanziario. I progressi sulle riforme strutturali sono tutt’ora discontinui e l’economia è ancora vulnerabile a shock esterni.

La crescita economica è ripresa nel periodo 2013-17, guidata da forti esportazioni industriali, eccellenti raccolti agricoli e più recentemente da politiche fiscali di espansione nel 2016-17, che hanno quasi quadruplicato il deficit fiscale annuale romeno. L’esportazione rimane uno dei principali motori della crescita economica, guidata dal commercio con l’UE, che costituisce circa il 70% del commercio romeno.

La popolazione che sta invecchiando, l’emigrazione del lavoro specializzato, una significativa evasione fiscale, un’assistenza sanitaria insufficiente e un allentamento aggressivo del pacchetto fiscale stanno compromettendo la crescita di lungo periodo e la stabilità economica della Romania e costituiscono i principali punti vulnerabili dell’economia.

Componente etnico-religiosa

Nonostante gli insediamenti romani abbiano lasciato una impronta profonda nella storia e nella cultura della Romania, capace di resistere le forti ondate migratorie successive al crollo dell’Impero, molti romeni si considerano discendenti non solo dei romani, ma anche delle popolazioni tribali originarie della Dacia.

Oltre la prevalente etnia romena, vi sono alcune minoranze come ad esempio quella ungherese, concentrata in Transylvania, al nord-est del Paese, quella rom e quella tedesca.

Negli anni Trenta la presenza tedesca costituiva circa il 4% della popolazione, ma nel corso della Seconda Guerra Mondiale decine di migliaia di romeni di etnia tedesca furono deportati nell’Unione Sovietica, mentre altri emigrarono nella Germania Ovest. L’esodo della popolazione tedesca verso la Germania riprese dopo la rivoluzione del 1989, arrivando ora a costituire una piccolissima parte della popolazione.

Allo stesso modo, la comunità ebraica romena si è significativamente ridotta durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale, passando dal 750 000 persone nel 1930 a 43 000 nel 1966, per poi ridursi ulteriormente dopo il 1989 a causa di un massivo esodo verso Israele.

Per quanto riguarda la religione, durante il periodo comunista essa era considerata una questione personale, imponendo poche restrizioni (soprattutto rispetto ad altri regimi), nonostante il regime tentasse di ridurne l’importanza. Nel 1948, quando i comunisti salirono al potere, mantennero la procedura già utilizzata in età monarchica secondo cui tutte le chiese dovessero essere registrate allo Stato, che ne manteneva il controllo finanziario e amministrativo, diventando di fatto la più alta autorità in materia religiosa. Nonostante ciò, i romeni non persero la propria fede e dopo il 1989 divennero liberi di praticare la propria religione.

La maggior parte della popolazione aderisce alla Chiesa Ortodossa Romena, guidata dal proprio Patriarca di Bucarest. La religione cristiana cattolica è la prevalente tra la minoranza ungherese e tedesca, mentre quella musulmana ed ebraica sono fortemente ristrette ad alcune zone del Paese. Il protestantesimo è praticato da alcuni romeni di etnica ungherese e tedesca e tra alcuni rom, che tradizionalmente mescolavano elementi della religione ortodossa con le proprie tradizioni, per poi aderire alla fede protestante dopo il 1989.

Bandiera

La bandiera romena è costituita da tre bande verticali: blu cobalto (dal lato del pennone), giallo cromo e rosso vermiglio. Modellata secondo la bandiera francese, i colori sono quelli dei principati di Valacchia (rosso e giallo) e Moldavia (rosso e blu), i quasi si sono uniti nel 1862 andando a formare la Romania. Lo stemma nazionale che un tempo era posto al centro della bandiera sulla banda gialla è stato successivamente rimosso.

È interessante notare la somiglianza della bandiera romena con quella del Chad, la cui banda blu è più scura, e quella di Andorra e Moldova.

Fonti e Approfondimenti

CIA Database

Privitera, Francesco (a cura di). Guida ai paesi dell’Europa centrale orientale e balcanica. Annuario politico-economico 2010. Bologna: Il Mulino (2011).

World Bank Database

Leave a comment

Your email address will not be published.


*