Cameroun: la guerra delle immagini

Cameroun
Eric Freyssinge, Wikimedia Commons, CC-BY-SA 4.0

di Flavio Rossano

“ONU, guardate! Che cosa state aspettando?!”, grida un uomo mentre filma il proprio villaggio in fiamme e tiene in mano dei proiettili, probabilmente sparati dalle forze di sicurezza, in uno dei tanti video caricati su Facebook e raccolti, in un approfondito reportage, dalla BBC African Eye.

La situazione in Cameroun, divenuta tesissima dal settembre 2017, rischia di degenerare presto in una vera e propria guerra civile. Le violenze vedono contrapporsi i separatisti appartenenti alla minoranza anglofona e il governo centrale, francofono. Amnesty International denuncia atrocità da ambo le parti, mettendo l’accento però sul pugno di ferro del governo: “Le persone nelle regioni anglofone del Camerun sono in preda a una spirale mortale di violenza. Sotto accusa ci sono le forze di sicurezza, in particolare le BIR – Brigade d’intervention rapide – sospettate di aver ucciso, arrestato e torturato persone indiscriminatamente durante operazioni militari che hanno anche sfollato migliaia di civili”. Anche i separatisti hanno attaccato, oltre alle forze di sicurezza, obiettivi civili, in particolare le scuole, simbolo della “francofonizzazione” portata avanti dal governo.

 

Questa volta, però, non sono stati coraggiosi reporter a filmare cosa sta accadendo, bensì camerunensi con i loro smartphone, poiché il governo ha proibito a qualunque giornalista l’ingresso nelle regioni anglofone al confine con la Nigeria, da mesi a ferro e fuoco.

Una novità tecnologica con cui gli stati dell’Africa sub Sahariana, molti dei quali abituati a esercitare istintivamente un controllo assoluto sulla politica interna e sull’informazione (basti pensare che il presidente del Cameroun è in carica dal 1982), dovranno sempre di più fare i conti. Le cosiddette Primavere Arabe ci avevano dato un antipasto di questo scontro: stati autocratici contro le “democratiche” tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC).

Senza alimentare il “mito tecnologico” né la sua forza “democratizzatrice”, bisognerà prendere atto di come il salto tecnologico in avanti in corso in questo continente, ridefinisca l’esercizio del potere, l’opinione pubblica e l’assetto istituzionale, in Cameroun come nel resto dell’Africa.

Youndé, per contrastare le azioni degli indipendentisti e per nascondere le violenze commesse dalle proprie forze di sicurezza, ha provocato un blackout di 93 giorni dei servizi internet in tutto il Camerun anglofono. Inoltre, la gendarmeria ha vietato ai propri ufficiali di utilizzare senza autorizzazione telefoni cellulari o social network come WhatsApp, Facebook e Twitter. In tutti i modi si cerca di non fare circolare immagini e notizie su quello che sta accadendo. Le stesse ONG continuano a vedersi negato l’accesso alle aree di conflitto. Queste manovre e precauzioni prese dal governo, volte a nascondere le efferatezze perpetrate contro i ribelli e i loro territori, non sono bastate: sono moltissimi i video amatoriali, raccolti appunto dalla BBC African Eye, che immortalano interi villaggi bruciati dalle forze governative (comprovati dalle immagini satellitari).

 

Le autorità centrali accusano a loro volta i ribelli di violenze efferate, riprese anch’esse e pubblicate dalla BBC. Un portavoce del governo ha dichiarato vagamente che, da parte loro, verranno avviate indagini interne e critica le immagini diffuse dai media inglesi, sostenendo la tesi per la quale i soldati immortalati a commettere violenze sui civili, altro non erano che dei ribelli travestiti da truppe governative.

Che l’uso della violenza sia bipartisan non c’è discussione. Tuttavia nelle regioni anglofone sono stati bruciati alcuni villaggi, segno di come la brutale repressione governativa abbia gravemente varcato la soglia del normale ordine pubblico. Sono stati i numerosi video a provare le distruzioni.

Questa maggiore esposizione mediatica, potrà evitare le feroci repressioni condotte da governi autoritari, troppo spesso perpetrate impunemente sul continente?

In quest’area del mondo, dove da pochi anni non è raro che un nucleo familiare abbia uno smartphone prima ancora di avere accesso all’acqua potabile, questa novità potrebbe modificare i rapporti di forza dello scacchiere politico della maggior parte di questi paesi, rafforzando l’opinione pubblica e limitando lo strapotere di presidenti-monarchi. Anche se forse le nuove tecnologie non porranno fine alle violenze, potranno indirettamente contribuire ad un maggior rispetto dei diritti umani e sociali, sensibilizzando la comunità internazionale e limitando così lo strapotere di alcuni cinici e spietati presidenti africani. Occorre aggiungere però, come sostiene Michel Sauvai, che: “La soluzione ai problemi dell’umanità non è un problema di tecnologia. È un problema di politica. Internet non risolverà cosa deve essere risolto attraverso una rivoluzione politica”.

 

I mezzi tecnologici, gli smartphone in particolare, non potranno certo “evitare un altro Rwanda”, ma forse potranno sensibilizzare la comunità internazionale su ciò che sta accadendo in Cameroun, dove negli ultimi dodici mesi, secondo i dati dell’ONU, si sono registrati centinaia di morti e 160.000 sfollati, fuggiti dalle martoriate regioni anglofone.

Dallo scontro a un accordo

Dopo aver spiegato le radici profonde del conflitto, è necessario analizzarne gli sviluppi. La recente violenta reazione da parte di Youndé, è stata scatenata dalle rivendicazioni indipendentiste delle regioni occidentali, le quali risultano tra le più arretrate e povere del paese. La minoranza anglofona si è sentita da sempre dimenticata e marginalizzata dalle autorità centrali, esclusa dal potere e discriminata. Per questi motivi la maggior parte di questa comunità richiede a gran voce la creazione di un sistema federale che permetterebbe una migliore distribuzione delle risorse. Si è arrivati allo scontro armato quando a queste istanze si sono aggiunte vere e proprie proposte secessioniste, inaccettabili per un governo centrale africano, come la storia del continente ci ricorda, dal Biafra al Corno d’Africa.

 

C’è l’urgenza, dunque, di una mediazione internazionale e, in questo senso, sia il Regno Unito sia la Francia stanno discretamente premendo per il dialogo. Tuttavia un segnale forte dovrà arrivare dall’Unione Africana. Questa istituzione continentale dovrà, d’ora in avanti, rafforzare il suo ruolo di mediatrice (gli organismi preposti in tal senso, contenuti nel progetto APSA – Architettura Africana di Pace e Sicurezza – son ancora gravemente insufficienti), con l’appoggio successivo delle Nazioni Unite e di eventuali altri attori internazionali.

Tutto ciò, nella speranza di non dover ripetere in futuro la frase: “evitiamo un altro Cameroun”.

Fonti e approfondimenti

https://lospiegone.com/2017/10/27/storia-e-attualita-dello-scontro-tra-francofoni-e-anglofoni-in-cameroon/?hilite=%27Cameroon%27

https://www.amnesty.org/en/latest/news/2018/06/cameroon-anglophone-regions-gripped-by-deadly-violence/

https://www.bbc.com/news/world-africa-44561929

https://www.bbc.com/news/av/world-africa-44459488/cameroon-crisis-explained

Dobra, The Democratic Impact of ICT in Africa.https://d-nb.info/1024414825/34

http://www.rfi.fr/afrique/20180606-cameroun-anglophone-audiences-bamenda-commission-bilinguisme

http://www.africanews.com/2018/05/21/cameroon-s-national-day-marred-by-violence-in-english-regions/

http://www.lastampa.it/2018/02/26/vaticaninsider/il-camerun-sullorlo-di-un-conflitto-civile-hEKDG5rhSYxsWjvlOyLfXK/pagina.html

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