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Ricorda 1968: Primavera di Praga

Nel 2018 ricorre il centenario della fondazione della Cecoslovacchia, lo stato che dal 1993 si è suddiviso in Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca. Le Repubbliche hanno percorso assieme la strada verso l’indipendenza e la democrazia. Unite in una Repubblica Federativa dal 1918, hanno combattuto prima gli storici dominatori (i cechi gli austriaci e gli slovacchi gli ungheresi), ribellandosi poi al regime comunista.

Le due Repubbliche hanno attraversato insieme la Seconda Guerra mondiale, ascoltato e mediato le ribellioni interne, fino ad arrivare a una pacifica e consensuale scissione in due Repubbliche distinte. Tutti questi avvenimenti però trovano una causa in un evento storico accaduto cinquant’anni fa in Repubblica Ceca e che negli anni ha ispirato la letteratura e la musica internazionali: la Primavera di Praga del 1968.

Il termine Primavera di Praga, (in ceco Pražské jaro) fu utilizzato dai media occidentali quando l’evento acquistò rilevanza internazionale, e solo in un secondo tempo si diffuse anche in Cecoslovacchia. Il nome indica il periodo storico di liberalizzazione politica avvenuto in Cecoslovacchia durante la Guerra Fredda, periodo in cui questa era sottoposta al controllo dell’Unione Sovietica. Il fatto storico indicato ha avuto inizio il 5 gennaio 1968, quando salì al potere il riformista slovacco Alexander Dubček, ed è proseguito fino al 20 agosto dello stesso anno, quando un corpo di spedizione dell’Unione Sovietica e degli alleati del Patto di Varsavia (ad eccezione della Romania) invase il Paese.

A differenza di quanto era avvenuto in altri paesi dell’Europa centrale, la presa di potere dei comunisti in Cecoslovacchia nel 1948 era stata accompagnata da una partecipazione popolare, contrariamente a quanto avvenuto ad esempio in Ungheria in quegli anni.

Tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta, la Cecoslovacchia subì un processo di destalinizzazione. Venne allora proclamato il completamento del socialismo, adottata una nuova costituzione e il Paese prese il nome di Repubblica Socialista Cecoslovacca.

La Cecoslovacchia era un paese avanzato economicamente e culturalmente, la classe operaia veniva da una tradizione comunista e socialdemocratica: le condizioni ideali per l’avvio di un processo di rinnovamento democratico delle società socialiste. Il ritmo del cambiamento, tuttavia, era lento rispetto ad altri stati del blocco orientale. La riabilitazione delle vittime di epoca stalinista non portò a risultati concreti fino al 1967. Nello stesso tempo si facevano sentire le strette regole volute dal regime, come l’applicazione nei primi anni Sessanta del modello economico sovietico che portò la Cecoslovacchia a una recessione economica.

Fin dalla metà degli anni Sessanta in tutta la Repubblica Federativa si erano avvertiti segni di crescente malcontento verso il regime: il Primo Segretario del Partito Comunista Slovacco, leader dei riformisti, Alexander Dubček, aveva trovato voce a favore del cambiamento non solo nella maggioranza della popolazione, ma anche in alcuni elementi all’interno dello stesso Partito Comunista Cecoslovacco.

Le riforme proposte da Dubček vennero chiamate “socialismo dal volto umano”: esso prevedeva il riconoscimento delle libertà politiche, culturali e sindacali, la separazione fra partito e governo, la parità fra le diverse componenti etniche del paese. La classe operaia fu coinvolta nel processo di democratizzazione attraverso la creazione di nuovi strumenti di democrazia di base. Dubček inoltre fu il primo a sostenere la decisione per la divisione della Cecoslovacchia in due nazioni distinte: la Repubblica Ceca e la Repubblica Slovacca. Questo è stato uno dei pochi cambiamenti che è sopravvissuto alla fine della Primavera di Praga.

Tali riforme, però, furono viste dalla dirigenza sovietica come una grave minaccia all’autorità dell’URSS sui paesi del blocco orientale. Le trasformazioni proposte, in particolare il decentramento delle autorità amministrative, vennero messe in discussione dai sovietici. Nel periodo della Guerra Fredda, un indebolimento di potere in quest’area geografica poteva rappresentare una minaccia alla sicurezza dell’intera Unione Sovietica. L’allarme era dato dalla collocazione strategica della Cecoslovacchia, esattamente al centro dello schieramento difensivo del Patto di Varsavia.

La linea intransigente intrapresa da Breznev, a capo del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS) ha portato al fallimento di tutti i negoziati. Tra il 20 e il 21 agosto del 1968 i carri armati sovietici entrarono nella capitale cecoslovacca e misero fine alla Primavera di Praga. Le forze sovietiche inviarono migliaia di soldati e carri armati del Patto di Varsavia ad occupare il paese. Si verificò una grande ondata di emigrazione, soprattutto verso i paesi dell’Europa occidentale.

Le proteste non violente furono all’ordine del giorno, tra cui la protesta-suicidio dello studente Jan Palach che si diede pubblicamente fuoco in piazza San Venceslao, al centro di Praga, ai piedi della scalinata del Museo Nazionale. Morì dopo tre giorni di agonia e al suo funerale presero parte più di seicentomila persone provenienti da tutto il Paese. La Cecoslovacchia rimase occupata fino al 1990.

La stagnazione brezneviana, allora agli inizi, continuerà per un ventennio, tra crisi economica e repressione militare: l’invasione dell’Afghanistan nel dicembre del 1979 e poi la repressione di Solidarnosc in Polonia nel 1981, portando alla fine alla caduta del muro di Berlino. La Cecoslovacchia dovrà aspettare vent’anni per riassaporare la libertà con la “rivoluzione di velluto” del novembre 1989.

Questo evento, come tanti altri che sono accaduti nell’Europa centro-orientale, e’ rimasto incompreso nel corso degli anni. L’errore in cui spesso si imbatte l’Occidente  è guardare Praga con le stesse categorie concettuali con cui si guarda al ‘68 a Parigi, Londra e Berlino. L’abissale differenza dei movimenti contemporanei alla Primavera di Praga era questa: i ragazzi di Praga cercavano democrazia, quelli di Parigi e Torino volevano superarla ritenendola colpevole di avere promosso la società dei consumi, le disuguaglianze sociali e gli interventi militari.

Cinquant’anni fa le proteste vennero bollate come “controrivoluzione” e l’invasione militare sovietica trovò l’appoggio dei partiti comunisti internazionali, lasciando sola Praga. Da allora la contestazione sessantottina si e’ sentita idealmente più vicina e partecipe alle vicende latino-americane che a quelle europee.

Oggi, a cinquant’anni dagli eventi sessantottini, si possono ripercorrere le strade di Praga e leggerne la storia attraverso i numerosissimi monumenti, tra i quali anche uno dedicato al sacrificio di Jan Palach.  Come testimonianza del ricordo vivido del tentativo di rivoluzione, quest’anno sono state organizzare numoresissime mostre e installazioni che ricordano l’accaduto, che ha avuto un’eco internazionale. Qui alcune curiosità sulla Primavera di Praga:

 

Fonti e approfondimenti

http://archivio.camera.it/resources/pu01/allegati/Primavera%20di%20Praga%20vol.%201.0003.pdf

https://archivio.camera.it/resources/pu01/allegati/Primavera%20di%20Praga%20vol.3.0005.pdf

http://drugoivzgliad.com/kelin-praga-1968

https://ria.ru/history_spravki/20101122/299452886.html

https://www.dw.com/en/unforgettable-prague-spring-recalled-50-years-later/a-42009802

https://www.adelphi.it/libro/9788845906046

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