Ricorda: La nascita del Partito Democratico 1828

Tutti abbiamo in mente un’immagine del Partito Democratico Americano come il baluardo del progressimo in America. Se qualcuno venisse a chiederci quale personaggio associamo più facilmente al partito, probabilmente indicheremmo Obama, i Clinton o Bernie Sanders. Tutti personaggi con una certa idea di progresso, con diverse gradazioni e direzioni, ma comunque legati a valori di uguaglianza, rispetto dei diritti, delle diversità e delle libertà. Ci sorprenderebbe però sapere che il Partito Democratico non è sempre stato così, ma anzi alle sue origini aveva delle caratteristiche totalmente opposte essendo il partito dei proprietari terrieri bianchi suprematisti del Sud. Nell’anno in cui si festeggia il 190esimo anniversario dalla nascita, vi portiamo a spasso nella storia del Partito Democratico per mostrarvi i  vari stadi di sviluppo che lo hanno portato a diventare ciò che tutti noi conosciamo oggi.

La nascita

Il Partito Democratico Americano nacque l’8 gennaio 1828 come comitato elettorale per un popolare generale americano del Sud, Andrew Jackson. Jackson era un outsider amato dalla gente del Sud per le sue vittorie militari. Il partito da sfidare era quello Repubblicano, proveniente dalle ceneri del Partito federalista di Hamilton, che già chiedeva l’abolizione della schiavitù. Potrebbe essere riduttivo legare la nascita del Partito Democratico solo alla figura di Andrew Jackson, questa fu solo un’occasione formale. Infatti il partito era sempre esistito nelle organizzazioni politiche che riunivano i notabili degli Stati del Sud, come i padri fondatori Jefferson e Madison. Questi avevano sempre chiesto la difesa della schiavitù, essendo essa il motore dell’economia del Sud, insieme a uno stato federale debole.

Il candidato Andrew Jackson, con il suo nuovo partito alle spalle, riuscì a conquistare la presidenza con una maggioranza schiacciante. Proprio da questa vittoria incredibile contro John Quincy Adams, con quasi il 78%,  il gruppo si munì dell’appellativo “Democratico”, con la volontà di sottolineare che era la voce attraverso la quale la nazione parlava. A questa campagna si deve anche il simbolo del Partito Democratico: l’asino. Furono i Repubblicani infatti a definire Jackson un “Jackass (asino)”, una critica che lui prese e utilizzò contro di loro montando un’efficace propaganda populista, popolo versus elite.

I Democratici, appena arrivati al potere prima con Jackson e poi con Van Buren, adottarono come propria linea ideologica il “Manifest Destiny”: il termine rappresenta l’idea che gli Americani, esclusivamente bianchi di origine anglosassone, abbiano scritto nel proprio destino il dominio su tutta l’America, da Nord a Sud. Questo creò  negli Stati Uniti una forte spinta espansionista verso Ovest. Fu il Presidente Polk a impegnarsi maggiormente in questa campagna, annettendo Texas, Oregon e buona parte di quello che oggi è il South West degli Stati Uniti.

 

La guerra di Secessione

Dalla metà dell’800 il Partito Democratico si eresse a grande avversario dei Repubblicani del Nort Est sul tema dell’abolizione della schiavitù. Abramo Lincoln, candidato Repubblicano e leader del movimento abolizionista, riuscì a dividere i Democratici del Sud da quelli del Nord su questo tema. Nelle elezioni del 1859 si presentarono due candidati differenti contro Lincoln; la divisione all’interno dei democratici consegnò la Casa Bianca a quest’ultimo. La frattura fu dovuta in larga parte alle differenti istanze economiche del Sud e del Nord: mentre il primo aveva bisogno di schiavi, il secondo aveva bisogno di operai liberi. Alla vittoria di Lincoln, gli Stati del Sud celebrarono la secessione dal Nord e così scoppiò la guerra civile che per quattro anni insaguinò il paese. 

Una volta finita la guerra di Secessione, i Democratici non cambiarono molto la propria posizione. Continuarono a difendere i diritti dei grandi proprietari terrieri che volevano mantenere il controllo sugli ex schiavi e per questo proposero limitazioni al governo federale Repubblicano del Nord. Il partito si fece difensore dei bianchi suprematisti e per decenni protesse e nascose gli affiliati del Ku Klux Klan, spesso negando le violenze che questi compivano contro la popolazione afroamericana.

L’inizio del 900 e il New Deal

Questa linea politica continuò a lungo, ma con il modificarsi del sistema economico arrivarono molti cambiamenti nella società americana e anche i partiti si affermarono su nuove direttrici. Con la sempre maggiore industrializzazione i principi di ferro dei democratici cominciarono a venire meno. Se nel Sud il partito continuò a essere la compagine politica di riferimento dei grandi proprietari terrieri, nel Nord iniziò ad avvicinarsi sempre di più alle masse operaie, opponendosi al partito Repubblicano che invece rappresentava maggiormente gli imprenditori

Questa spaccatura geografica diventerà sempre più importante con il passare del tempo e lentamente le parole chiave del Partito Democratico, in particolare al Nord, saranno sempre più legate al progressismo e a una maggiore uguaglianza sociale. Il Presidente Wilson fu il primo dei grandi nomi a incarnare questi principi in tutto e per tutto, nonostante dovette scendere a patti con i Democratici del Sud a favore della separazione razziale. 

 

Negli anni della grande Depressione del 1929, il Partito Democratico fece un ulteriore passo verso le posizioni ideologiche che occupa ai giorni nostri. Con la crisi economica che imperversava, una nuova figura si stagliò sul partito e sulla politica americana: Franklin Delano Roosevelt. L’unico uomo eletto per tre volte alla Presidenza degli Stati Uniti portò nel partito le idee keynesiane sostenendo il ruolo dello Stato in economia. Il New Deal portò gli Stati Uniti fuori dalla crisi e cambiò radicalmente il Partito Democratico.

Il Partito dopo Roosevelt e l’ascesa dei Kennedy

Negli anni successivi alla guerra molte questioni finirono sul tavolo del Partito Democratico, ma sicuramente quelle dei diritti civili e della lotta alla povertà divennero i principali temi di discussione interna. I Democratici del Sud si schierarono largamente a favore della segregazione, mentre i Democratici del Nord assolutamente contro. Le convention democratiche divennero sempre più combattute e sempre più candidati presidenti democratici iniziarono a scegliere vicepresidenti della fazione opposta, Nord o Sud. In questo clima, con il crescere a dismisura dell’importanza economica del Nord e dell’Ovest, i Democratici di queste zone guadagnarono grande importanza. I Kennedy furono una di quelle famiglie che iniziarono a dettare legge all’interno del Partito, sancendo lentamente la supremazia degli antisegregazionisti.

Con la trasformazione interna del partito, i principali influenzatori della linea politica  passarono ad essere i leader sindacali delle fabbriche e i capi partito locali. Questi ultimi erano personaggi in vista nelle grandi città americane ed erano in grado di controllare molti voti e di influenzare coloro che volevano correre per la Presidenza. Per quasi cinquant’anni il Partito Democratico, in città come Detroit e Chicago, grandi agglomerati urbani del Nord, era dovuto scendere a patti con i boss cittadini. Questi ultimi erano personaggi dubbi, spesso malavitosi, che controllavano larghe fette di elettorato. Negli anni 50 e 60 con l’arrivo dei primi massicci finanziamenti governativi per le elezioni, il partito riuscì a liberarsi di loro, ma il posto di questi fu preso dai forti politici locali.

La scelta del candidato Presidente si trasformò in una vera e propria trattativa, in cui i posti di potere venivano ceduti in cambio di supporto. In questo modo si dovettero scegliere numerose alleanze. JFK dovette scegliere il democratico del Texas Lyndon Johnson per riuscire a sconfiggere Nixon nella sua campagna presidenziale. Il Sud era necessario per arrivare alla Casa Bianca e bisognava scendere a patti. Allo stesso modo anche i Democratici del Sud incominciarono a capire che queste due anime, segregazionista e non, non potevano convivere nello stesso corpo politico. Di conseguenza molti di loro decisero di passare nel partito Repubblicano (Richard Nixon fu uno dei primi a fare il salto negli anni 50). Altri politici invece accettarono di incarnare totalmente i valori del nuovo partito, proprio per questo Lyndon Jhonson stesso firmerà il Civil Rights del 1964 e il Vote Act del 1965, al fine di dare i diritti civili e di voto ai cittadini afroamericani in tutto lo stato federale.

La genesi del  Partito Democratico attuale e le sfide future

Questo distacco dagli elettori bianchi del Sud, in larga parte segregazionisti e fortemente religiosi, condannò per molto tempo il Partito Democratico a una serie di eclatanti sconfitte. Per quasi venti anni fu relegato alla minoranza sia in Camera e Senato sia nel voto presidenziale. L’unico che riuscì ad arrivare nello studio Ovale fu Jimmy Carter, portando avanti la sua battaglia per i diritti umani nel mondo e per una maggiore equità. Durò una sola legislatura, abbattuto dagli eventi internazionali e dalla crescita del neo conservatorismo di Reagan.

Fu proprio Reagan a condizionare in qualche modo il successivo sviluppo dei Dem. Il neoliberismo divenne una legge mondiale. Parole come “deregulation” e “liberalization” divennero chiavi politiche decisive nell’agone americano e anche il partito che fu di Roosevelt le accettò, infine. Questo portò a un cambio decisivo all’interno della leadership democratica. Alla caduta del muro di Berlino si affacciò sulla scena politica Bill Clinton sotto l’egida di economisti come Milton Friedmann e altri della scuola di Chicago. Liberismo e globalizzazione portarono sempre di più il partito ad avvicinarsi agli imprenditori progressisti, delle coste Est e Ovest, più che agli operai. Continuarono a fare proprie battaglie per i diritti civili, come i matrimoni omosessuali, ma lasciarono sempre di più da parte la battaglia per quelli sociali, anche riguardo alle minoranze.

Se le due presidenze Clinton furono un periodo di gioie e dolori, i tempi della Guerra al Terrore e del Post 11 Settembre furono terribili per il Partito Democratico che si ritrovò schiacciato dalle posizioni dei Repubblicani in nome della nazione, concedendo due vittorie decisive a George W Bush.

L’era Obama cambiò tutto con la speranza di riportare il partito più vicino ai suoi elettori. Un presidente afroamericano rappresentava un grande cambiamento, anche se dopo otto anni non sembra sia riuscito a cambiare totalmente la linea del partito. L’amministrazione Obama ha sempre scelto di mantenersi in una via di mezzo tra la componente liberista e una nuova componente adesso in grande ascesa: quella che si definisce socialista, guidata da Bernie Sanders ed Elizabeth Warren.

Il Partito Democratico ha sperimentato grandi cambiamenti, modificando totalmente la sua natura e idea politica, seguendo i sommovimenti sociali che gli Stati Uniti hanno visto e provato sulla propria pelle. La sua storia ci insegna che il partito si è modificato davanti ai grandi cambiamenti americani, la domanda che ci si deve porre adesso è: in che modo cambierà la natura dei Dem nell’America uscita malconcia dalla crisi economica, dove le minoranze razziali aspirano a diventare maggioranze e dove la classe operaia bianca ha consegnato la vittoria a Trump?

Fonti e Approfondimenti:

Leggi qui cosa pensa Francesco Costa, vicedirettore del Post, della situazione politica americana

https://www.history.com/topics/democratic-party

https://www.americanheritage.com/content/political-machine-i-rise-and-fall-age-bosses

 

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