Ricorda 1998: la seconda guerra del Congo

Sono passati vent’anni dalla più sanguinosa guerra che ha colpito il continente africano, e che sembra non poter trovare una risoluzione: la seconda guerra del Congo, detta anche “guerra mondiale africana”. Ripercorriamo in breve i tratti salienti, le cause e le conseguenze di questo atroce conflitto che ha martoriato il Congo.

La storia del conflitto

Il conflitto del Congo viene storicamente diviso in due fasi: la prima guerra, combattuta tra il 1996 e il 1997, e la seconda guerra che si sviluppò tra il 1998 e il 2003. Dopo il terribile genocidio che scosse il Ruanda nel 1994, milioni di persone di etnia Hutu fuggirono verso lo Zaire del dittatore Mobutu. Tra i migranti Hutu che arrivarono in Zaire si nascosero però parecchi guerriglieri che erano pronti a vendicarsi del genocidio perpretrato dai Tutsi, etnia che era stabilmente stanziata nelle zone est del Congo. Gli scontri che avevano caratterizzato il Ruanda nel 1994 si erano dunque spostati in Congo all’inzio del 1996 e avevano dato inizio alla prima guerra del Congo. I Banyamulenge (i Tutsi congolesi) si organizzarono nell’Alleanza Democratica per la Liberazione dello Zaire, con a capo Laurent Kabila, visto che gli Hutu sostenenvano pienamente il governo di Mobutu. Kabila e i suoi riuscirono nel 1996 a rovesciare la dittatura di Mobutu, al governo dal 1965.

 

Dopo Mobutu, Kabila assunse la presidenza dello Zaire e ripristinò il nome precedente del Paese, Repubblica Democratica del Congo. Inizialmente Kabila fu in grado di attirare aiuti esteri, di fornire un po’ di ordine e di sollievo all’economia decimata del Paese e anche di avviare la stesura di una nuova costituzione. L’apparenza esteriore del processo verso la democrazia era in conflitto con la realtà della situazione: Kabila deteneva la maggior parte del potere e non tollerava opposizioni o critiche. I partiti politici e le manifestazioni pubbliche furono banditi quasi immediatamente dopo l’acquisizione del governo da parte di Kabila e la sua amministrazione venne accusata di abuso dei diritti umani.

 

Al momento della presa del potere, era evidente che molti dei suoi sostenitori, detentori di alte cariche politiche e militari, non parlavano né il francese né il lingala, una delle quattro lingue nazionali. La legittimità di Kabila fu messa sotto accusa dagli oppositori interni: era infatti considerato un fantoccio nelle mani dell’Uganda e del Ruanda. In risposta a queste critiche alla fine del luglio del 1998, Kabila ordinò l’allontanamento di tutti i consiglieri ruandesi e ugandesi da Kinshasa. Questo atto fu considerato un attacco dai suoi ex alleati, che immediatamente si rivolsero contro di lui. Dopo pochi giorni, i Banyamulunge, con l’aiuto di una parte dell’esercito che aveva sostenuto Mobutu, insorsero, appoggiati dal Rwanda, nel Nord Kivu.

Mentre i gruppi armati ribelli avevano iniziato ad agire, l’ala politica di questa nuova rivolta doveva ancora costituirsi. Accadde dieci giorni dopo, il 12 agosto, quando si formò il Rassemblement Congolaise pour la Democratie (RCD). Nel giro di due settimane, l’RCD stabilì le sue truppe nel Congo occidentale e controllava la centrale idroelettrica di Inga e il porto di Matadi. Solo una settimana più tardi conquistava la città di Kisangani e minacciava Kinshasa. Nel mese di settembre fu fondato un altro gruppo ribelle: il Mouvement de Libération du Congo (MLC) sotto la guida di Jean-Pierre Bemba, sostenuto dall’Uganda.

I due Paesi confinanti avevano il controllo di gruppi ribelli che minacciavano  il governo di Kabila, ma non riuscirono a mantenere l’alleanza nonostante sostenessero la stessa causa. Le ragioni della scissione tra Uganda e Rwanda, e di conseguenza dei movimenti da loro sostenuti, sono ancora fonte di discussione, ma la spiegazione più logica sembra essere la mancanza di un accordo sul leader più idoneo e sulla loro quota di saccheggi nella Repubblica del Congo.

 

La guerra mondiale africana: posizioni degli attori regionali

Il governo di Kabila era seriamente in pericolo, mentre le sue truppe, o almeno quelle che non avevano disertato o si erano rivoltate contro di lui alleandosi con i militanti hutu, stavano combattendo in tutto il Paese. Kabila chiese quindi l’aiuto di altri Paesi africani, assicurandosi il sostegno e l’invio di truppe da parte di Angola, Zimbabwe, Namibia, Ciad, Libia e Sudan. È l’inizio di una guerra confusionaria, multiforme e frammentata in schieramenti di ribelli tendenti a cambiare bandiera facilmente, seguendo esclusivamente il proprio interesse. Non c’è stato ampio dispiegamento di truppe, non ci sono stati fronti ben definiti, il conflitto si è sviluppato più come guerriglia continua, movimenti e scontri di breve periodo per la conquista di punti strategici, giacimenti minerari, pozzi petroliferi, aeroporti.

La tattica adottata da Rwandesi e Ugandesi è sempre la stessa: aiutare i ribelli del Congo orientale, nel tentativo di rovesciare il regime di Kinshasa. Anche le motivazioni erano sempre le stesse: cercare di mettere in sicurezza il confine col Congo in modo da eliminare il pericolo di incursioni ribelli in territorio rwandese e ugandese. Le ragioni di Zimbabwe e Namibia erano, invece, legate alla comune appartenenza a SADC (Southern African Development Community) e alla volontà di difendere uno dei suoi membri, ma soprattutto alla volontà del Presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe di rivestire un ruolo di leader regionale, offuscato da Mandela e dai due “uomini nuovi” dei Grandi Laghi, Museveni (Uganda) e Kagame (Rwanda). L’Angola era invece preoccupato che un nuovo governo a Kinshasa avrebbe permesso nuovi attacchi di ribelli angolani. Inoltre, contro i Rwandesi erano ancora attivi sul campo di battaglia le milizie Interahamwe, di etnia Hutu, responsabili di molti dei crimini commessi durante il genocidio. Al di là delle motivazioni iniziali, comunque, nel giro di poco tempo fu chiaro che tutti avevano una ragione comune: riuscire a sfruttare parte delle immense ricchezze del Congo.

La fine del conflitto?

Gli sforzi diplomatici per far terminare le ostilità presero forma negli Accordi di Lusaka del luglio 1999, firmati dai sei stati africani coinvolti e successivamente dai 3 movimenti ribelli, il MLC e il RCD. I punti principali degli Accordi erano il cessate-il-fuoco e il dispiegamento della missione MONUSCOMission de l’Organisation des Nations unies pour la stabilisation en République démocratique du Congo) dell’ONU, che avrebbe dovuto garantire lo sviluppo del processo di pace. Nonostante le firme quasi nessuno voleva effettivamente la fine della guerra, nemmeno il presidente Kabila, ancora legato a una gestione non democratica del potere. Il cessate-il-fuoco venne rispettato solo nella linea del fronte ufficiale della guerra, ma nel Congo orientale le diverse parti in gioco continuarono a confrontarsi. Intanto, nel febbraio 2000, le Nazioni Unite, con la Risoluzione 1291, autorizzarono l’invio di 5.500 uomini, tra le altre cose per monitorare il cessate-il-fuoco e facilitare le operazioni umanitarie, con mandato d’agire sotto il Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.

 

All’inizio del 2001, però, ci fu un nuovo cambio di equilibri: in gennaio il presidente Laurent Kabila venne ucciso e il suo posto venne occupato da uno dei suoi figli, Joseph, appena trentenne. Il nuovo presidente sembrò da subito più interessato del padre alla pace, e cercò di raggiungere degli accordi con tutte le parti in gioco. Nel 2002 furono infatti firmati diversi accordi di pace, uno a luglio con il Rwanda, uno a settembre con l’Uganda e uno a dicembre con i gruppi ribelli, con la promessa di creare un governo allargato.

Gli ultimi anni

Gli anni seguenti le vicende del Congo continuarono seguendo essenzialmente due binari: quello della ricostruzione dell’apparato statuale e quello degli sviluppi altalenanti del conflitto. Dal punto di vista della ricostruzione dello stato, Joseph Kabila continuò sulla strada della redazione di una nuova costituzione, che verrà promulgata nel febbraio 2006, pochi mesi prima delle prime libere elezioni del Congo. Le elezioni, che si tennero in luglio con ballottaggio a novembre, furono motivo di molte tensioni, arrivando, in alcuni casi, allo scontro armato tra le fazioni dei due contendenti, Kabila e Bemba. Alla fine, il vincitore, non a sorpresa, fu Joseph Kabila, fattore che avrebbe garantito continuità nella politica di rifondazione dello stato.

 

Sul fronte bellico, invece, le sorti del paese sono state più incerte. Se da un lato, infatti, continuarono gli scontri con i ribelli, dall’altro iniziarono a essere riconosciute le responsabilità di alcuni stati, come per esempio l’Uganda, riconosciuta colpevole dal Tribunale Penale Internazionale per violazione dei diritti e saccheggio delle risorse della Repubblica Democratica del Congo dal 1998 al 2003 e condannata alla compensazione. Tra la fine del 2005 e l’inizio del 2006, sono inoltre state presentate le prime accuse ufficiali per l’utilizzo di bambini soldato. Gli scontri, purtroppo, non si arrestarono, causando nuovi profughi e nuove tensioni con gli stati vicini, soprattutto con l’Uganda che accusava il vicino di dare asilo ai ribelli del Lord’s Resistance Army.

La situazione attuale in Congo orientale continua a deteriorarsi, causando una sempre maggiore instabilità nella regione, peggiorata anche da una nuova epidemia di ebola e dal sempre più grande numero di rifugiati. Negli ultimi anni, il governo di Kabila è stato oggetto di molte critiche, sia perchè ha rimandato più volte le elezioni ora previste per il 2019, sia per lo scarso interesse per le aree del Kivu e del Katanga, tuttora teatri di scontri tra le diverese etnie.

Fonti e Approfondimenti:

https://www.globalsecurity.org/military/world/war/congo-2.htm

Le risorse africane: il coltan che distrugge la DRC

Africal Portal: SCRAMBLE FOR THE CONGO. ANATOMY OF AN UGLY WAR file:///C:/Users/User/Desktop/Scramble%20for%20the%20Congo%20Anatomy%20of%20an%20Ugly%20War.pdf

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