L’Altra America: Perù

Perù
@Glauber Ribeiro - Flickr - Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)

Con l’articolo di oggi iniziamo un lungo viaggio alla scoperta di un’America che, spesso e volentieri, rimane ai margini dell’informazione nazionale e internazionale, per far spazio alle più redditizie e (occidentalmente) centrali notizie sugli Stati Uniti e i suoi partner. Per questo abbiamo deciso di intitolare il progetto “L’altra America”, per raccontare quella faccia del continente che a noi appare “altro”, ma che in realtà è più vicina a noi di quanto sembri.

Inizieremo il nostro percorso a partire dal Perù, nazione dell’America meridionale che confina a sud con il Cile, a sud-est con la Bolivia, a nord con Ecuador e Colombia e a est con il Brasile, oltre ad avere, a ovest, uno sbocco sull’Oceano Pacifico, oggetto di storiche contese che andremo ad analizzare in seguito. Il Paese è attraversato da nord a sud dalla Cordigliera delle Ande che si divide in catene parallele (Cordillera Occidental, Central e Oriental) con vette altissime (come ad esempio Huascarán, 6768 m). La capitale, Lima, conta dieci milioni di abitanti, circa un terzo dell’intera popolazione peruviana.

Per parlare dell’altra America e della sua storia politica e sociale, non si può prescindere dall’analisi della fine dell’impero spagnolo. Questo preambolo varrà (quasi) per ogni nazione che andremo ad analizzare.

A innescare la miccia che portò alla dissoluzione dei territori sotto l’egida della Corona di Spagna fu Napoleone Bonaparte, impegnato a creare scompiglio in un’Europa già vessata, tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, dalla caduta dei vecchi regni. La penisola iberica venne invasa per la prima volta nel 1807, e a farne le spese furono i regnanti portoghesi che, però, riuscirono a scappare nella capitale della propria colonia oltreoceano: Rio De Janeiro. L’anno dopo toccò alla Spagna. A Madrid Napoleone imprigionò il re, Carlo IV, e il figlio, Ferdinando VII, per mettere sul trono il proprio fratello Giuseppe. Nel regno divampò la protesta contro i francesi, fino alla formazione di una Junta che a Cadice rivendicò il potere in nome del re prigioniero e, nel 1812, si dotò di una Costituzione (la Costituzione di Cadice, appunto). La Junta si trasformò presto nel Consejo de Regencia de España y Indias e reclamò l’obbedienza delle colonie, molte delle quali, conosciuta la sorte dell’impero spagnolo, si organizzarono anch’esse in juntas e proclamarono la propria indipendenza, dotandosi di costituzioni liberali. Sconfitti i francesi e tornato sul trono spagnolo nel 1814, Ferdinando VII abolì la Costituzione di Cadice, che poneva limiti ai suoi poteri, e cercò di riprendersi ciò che, secondo lui, gli spettava.

Indipendenza

Il Vicereame del Perù fu tra gli ultimi a liberarsi dal giogo spagnolo. Ciò non significa che non ci furono tentativi di ribellione precedenti. Solo nel diciottesimo secolo furono circa quattordici le rivolte represse nel sangue dalla Spagna, compresa quella dell’ormai leggendario José Gabriel Condorcanqui, detto Túpac Amaru II, che si pose alla testa di 90.000 indios, ma fu sconfitto e condannato a morte nel 1781. Prima di lui ci aveva provato Juan Santos Atahualpa nel 1745, riuscendo a tenere lontani gli spagnoli per oltre un decennio, fino al 1761.

Con la Corona spagnola in crisi i tentativi di insurrezione si moltiplicarono e, in rapida successione, si verificarono la prima e la seconda rivolta di Tacna (rispettivamente 1811 e 1813), la ribellione di Huanuco nel 1812 e quella nella regione di Cuzco del 1814. Nel frattempo, a pochi chilometri dal Vicereame peruviano, Simón Bolívar era riuscito a penetrare in Nueva Grenada e aveva combattuto e sconfitto i realisti spagnoli in più di un’occasione, fino all’indipendenza della Grande Colombia, territorio che comprendeva gli attuali stati di Colombia, Venezuela, Ecuador e Panama.

Oltre a Bolívar, l’altra figura che infuocava gli animi dei latinos era il Generale argentino José de San Martín, già liberatore del Cile e del Vicereame del Rio de la Plata. Fu proprio lui a giungere per primo in Perù, dov’era asserragliato l’ultimo fortalizio dell’esercito spagnolo e dove le elite creole erano in generale meno propense che altrove a sposare la causa indipendentista. Qui San Martín assestò duri colpi agli spagnoli e, il 28 luglio 1821, a Lima fu proclamata l’indipendenza, senza però che ci fosse un controllo totale del Vicereame.

A quel punto anche Simón Bolívar mosse verso il Perù. I due libertadores si incontrarono a Guayaquil nel luglio 1822 per riunire gli eserciti e muovere l’attacco finale, nonostante avessero divergenze in merito al futuro del continente. Bolivar era infatti promotore (e fautore) di una confederazione di repubbliche indipendenti, mentre San Martìn propendeva per una soluzione monarchica costituzionale sotto la Corona di un principe europeo. Dopo l’incontro di Guayaquil, San Martìn uscì di scena e Bolivar assunse la guida delle operazioni conducendo l’ultimo assalto agli spagnoli sulla sierra peruviana.

L’atto conclusivo della lunga guerra per l’indipendenza fu la battaglia di Ayacucho del 1824,  l’ultima combattuta dagli spagnoli in America Meridionale.  Il 22 gennaio 1826, con la resa dell’ultima guarnigione della Corona a Callao, il Perù ottenne la sua piena indipendenza.

 

Evoluzione della forma di Stato e del quadro politico

Come la quasi totalità delle ex colonie, anche il Perù visse un periodo d’instabilità dopo l’indipendenza. La Repubblica messa in piedi da Simón Bolívar finì subito per perdere pezzi sia a nord, con la nascita della Bolivia, che a sud, con l’espansione cilena. Tra il 1826 e il 1836 Agustìn Gamarra fu l’unico degli otto caudillos che si successero a completare il mandato. Il conflitto interno vedeva confrontarsi liberali e conservatori, non tanto sulla base ideologica (che aveva comunque meno importanza del territorio di provenienza o del gruppo familiare d’appartenenza), quanto sulla forma di Stato e sulla distribuzione dei poteri.

I liberali sostenevano il federalismo e il parlamentarismo, mentre i conservatori volevano governi forti e centralismo. L’altro aspetto cruciale fu il ruolo della Chiesa: i primi la volevano estromettere, mentre i secondi si ergevano a  protettori del sistema. Nel 1845 salì al potere Ramòn Castilla che ristabilì l’ordine e promulgò, nel 1860, la prima Costituzione democratica. Il 1871 vide la nascita del Partido Civil, fondato da Manuel Pardo y Lavalle il quale sarà anche il primo Presidente tra i civilisti  nel periodo tra il 1872 e il 1876. Il Partido Civil, di stampo conservatore e nazionalista, sarà protagonista fino al 1930, anno in cui il suo ultimo rappresentante divenuto Presidente, Augusto Leguía, verrà deposto da un colpo di Stato militare organizzato da Luis Sánchez Cerro. La presidenza di Leguía si divise in due momenti, dal 1908 al 1912 e dal 1919 al 1930; quest’ultimo è conosciuto come l’Oncenio, “l’undicennio”. I quindici anni totali fanno di lui il Presidente tuttora più longevo della storia del Perù.

Nel frattempo, nel 1924, nasceva uno dei protagonisti della storia del Perù, che rimarrà tale fino ai giorni nostri. Si tratta dell’APRA (Alianza Popular Revolucionaria Americana), il movimento facente parte dell’internazionale socialista fondato dall’intellettuale e politico peruviano Victor Haya de la Torre. Il movimento, poi diventato Partido Aprista Peruano (PAP), venne reso fuori legge quando Manuel Odría, nel 1948, prese il potere con la forza. La giunta militare che instaurò durò fino al 1950, anno in cui scelse di tornare ad elezioni, salvo rendere l’unico avversario politico di Odría fuorilegge. Come unico candidato, Odría giurò sulla Costituzione e governò reprimendo duramente i dissidenti, in particolar modo comunisti e apristi.  Haya de la Torre nel 1954 si rifugiò nell’ambasciata Colombiana di Lima e da lì intraprese una battaglia legale per il suo salvacondotto che lo portò a rimanere rinchiuso lì per oltre 5 anni. Nel 1956, sorprendentemente, Odría scelse di andare a elezioni senza candidarsi.

Il PAP, ancora illegale, fu l’ago della bilancia delle elezioni, portando i suoi militanti a votare per Manuel Prado, esponente del Movimento Democratico Peruviano. Nel ’62, tornati alle elezioni, il PAP potè candidare Haya de la Torre che, tuttavia, non arrivò ad ottenere la maggioranza. Fu così che avvenne l’inaspettato: Haya de la Torre si accordò con Odría, tornato a candidarsi, per far sì che esso divenisse presidente con un vice che fosse aprista. Prima che ciò accadesse, un golpe militare sostenne l’invalidità delle elezioni e ne convocò di nuove per l’anno successivo. Questa volta ci fu un vincitore, il terzo incomodo tra i due: Belaunde. Dal 1968 seguirono 12 anni di dittatura, prima con J.V. Alvarado (1968-75) e poi con F.M. Bermúdez (1975-80).

Con la Costituzione del 1979, il Perù diede avvio a un complesso processo di democratizzazione. La povertà e le forti disuguaglianze sociali, però, non cessarono dando il fianco alla nascita di movimenti come Sendero Luminoso, di ispirazione maoista, e il Movimiento revolucionario Túpac Amaru (MRTA). Gli anni novanta, invece, sono legati all’ascesa e alla caduta del presidente Alberto Fujimori, eletto per la prima volta nel 1990 con il partito Cambio 90. Nel 1992, col sostegno dell’esercito, Fujimori sciolse il Parlamento e instaurò un governo autoritario che prese di mira i movimenti guerriglieri: nel 1992 vennero catturati i capi di Sendero Luminoso e del MRTA, ma ciò non bastò a fermare il conflitto. Nel ’95 Fujimori viene eletto nuovamente e il supporto popolare lo porterà a incrementare i propri poteri, fino all’emanazione di misure contro la criminalità per estendere le leggi antiterrorismo a una numerosa serie di altri reati. Le elezioni presidenziali del 2000, svoltesi in un clima di forte mobilitazione, videro una contestata vittoria di Fujimori che portò a proteste e accuse di brogli tali da farlo rinunciare alla carica.

Le elezioni presidenziali del 2001 furono vinte da A. Toledo, del movimento Perú Posible: primo capo di Stato di origine indigena, lanciò un vasto piano di lotta contro la povertà, ma riuscì solo in parte a mantenere le sue promesse.

Il 2011, invece, ha visto scontrarsi il candidato della sinistra O. Humala e la leader conservatrice K. Fujimori. La figlia dell’ex dittatore è stata sconfitta al ballottaggio, ma si è ripresentata alle consultazioni successive, quelle del 2016. Tuttavia, arrivata nuovamente al ballottaggio, la Fujimori ha dovuto soccombere contro l’ex ministro Kuczynski risultato vincitore, anche se con un margine ridottissimo (50,12% contro 49,88%). Accusato di corruzione nello scandalo Odebrecht nemmeno un anno dopo essere salito alla guida del Paese, il Presidente ha comprato i voti di alcuni parlamentari di K. Fujimori per salvarsi dall’impeachment, in cambio dell’indulto con cui ha concesso la libertà prima del tempo al condannato per violazione dei diritti umani Alberto Fujimori. Nel marzo 2018, dopo la pubblicazione del video in cui si testimoniava ciò, Kuczynski si è dimesso dalla carica per evitare una nuova mozione per la messa in stato di accusa. A lui è subentrato Martín Vizcarra.

Politica estera

Le relazioni estere sono state dominate dai conflitti di confine con i paesi vicini (Ecuador e Cile in particolar modo), la maggior parte dei quali risolti solo nel corso del XX secolo, anche se le mire di ognuno sui territori dell’altro non si sono mai attutite. Il Perù contesta i suoi limiti marittimi con il Cile; la Bolivia, invece, sconfitta nella guerra del Pacifico del 1879-1884 proprio dal Cile, rivendica l’accesso al mare da quel momento.

Il Perù è uno dei fondatori, nel 1969, della Comunidad Andina, assieme a Bolivia, Cile, Colombia ed Ecuador, ai quali si è aggiunto nel 1973 il Venezuela (il Cile ne è poi uscito). Il Paese è inoltre membro dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) e delle Nazioni Unite. Le forze armate peruviane sono composte da un esercito, una marina e una forza aerea e sono alle dipendenze del Ministero della Difesa e del Presidente, come comandante in capo. Il servizio obbligatorio di leva è stato abolito nel 1999 e sostituito dal servizio militare volontario.

Il 1998, grazie alla mediazione di Argentina, Brasile, Cile e Stati Uniti, ha visto il Perù firmare un trattato di pace con l’Ecuador che, dopo 50 anni, risolveva il contenzioso riguardante la zona della Cordigliera del Condor.

Visione economica

Il Paese è fortemente dipendente dalle esportazioni di prodotti dell’industria estrattiva, le cui attività sono causa di enormi conflitti sociali. Fujimori aveva varato, nel 1996, una durissima manovra economica e avviato la privatizzazione delle principali imprese statali. Sul piano economico, i costi sociali della politica di liberalizzazioni di Fujimori sembrarono minarne la popolarità, già incrinata dagli scandali che avevano coinvolto alti funzionari governativi. L’ultimo calo dei prezzi del 2014 ha comportato una forte contrazione della crescita. Nel 2016 e 2017 gli effetti dell’incremento della produzione mineraria sono stati frenati dalla riduzione degli investimenti pubblici e privati, causata dalla congiuntura internazionale non favorevole e da recenti scandali di corruzione.

Nonostante ciò, Lima è cresciuta ad un ritmo medio superiore al 3% disegnando un trend di miglioramento interessante (2014: +2,4%; 2015: +3,3%; 2016: +3,7%). Per questa ragione, e per la convinzione che la crescita non si arresterà, il Perù è considerato uno dei mercati emergenti dell’America Latina.
Anche gli altri indicatori macroeconomici sono positivi con un PIL pro capite in aumento ($ 13.000), un tasso di disoccupazione che rimane inferiore al 6% e una bilancia commerciale che fa segnare un sostanziale equilibrio (nel 2016 export ed import si sono attestati infatti a circa $38 miliardi).

Sistema elettorale

Il Perù è una Repubblica presidenziale il cui governo è strutturato secondo il principio della separazione dei poteri. Il potere esecutivo, con al vertice il Presidente della Repubblica, quello legislativo, affidato all’unica camera del Congresso Nazionale, e quello giudiziario. Il Presidente della Repubblica e i 130 membri del congresso vengono eletti ogni 5 anni con voto universale, segreto e diretto.

Bandiera

Secondo lo scrittore peruviano Abraham Valdelomar, fu il libertador San Martín che scelse i colori rosso e bianco durante la guerra contro la Spagna, nel 1825. In particolare, leggenda vuole che sia stato folgorato dalla visione di fenicotteri con ali rosse e petto bianco. In realtà la motivazione potrebbe essere meno romantica e riconducibile solo ai vecchi colori della bandiera del Vicereame del Perù.

Fonti e approfondimenti

Perù, l’indulto all’ex presidente Fujimori fa scoppiare la rivolta

Loris Zanatta, “Storia dell’America Latina contemporanea”, Editori Laterza, 2010

Loris Zanatta, “I sogni imperiali di Peròn”, libreriauniversitaria.it, 2016

Peter H. Smith, “Talons of the Eagle: Latin America, the United States, and the World”, Fourth Edition, 2012

 

 

Leave a comment

Your email address will not be published.


*