Martinica, Aimé Césaire e la Negritudine. Parte 1

Remix con supporto AI © jehpuh CC BY-SA 4.0

Nel vasto arco di isole bagnate dal mar dei Caraibi ci sono un paio di arcipelaghi in cui un italiano può recarsi solo portando la propria carta d’identità. Tra repubbliche e nazioni sotto l’egida del Commonwealth, si trovano due Dipartimenti d’Oltremare francesi: la Guadalupa e la Martinica. Dalla storia, ovviamente, molto simile, i due Dipartimenti sono stati riconosciuti come territorio della Repubblica Francese solo all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, grazie alla cosiddetta legge di dipartimentalizzazione (‘loi de départementalisation’) che trasformò le vecchie colonie dell’Impero francese in Dipartimenti e Comunità d’Oltremare, racchiusi nel termine generico di Territori d’Oltremare. Tra questi, a causa di determinate specificità sviluppatesi nella seconda metà del novecento, la Martinica può essere presa da esempio per cercare di capire il rapporto tenuto dalla Francia nei confronti di questi territori.

L’obiettivo è quello di analizzare la storia contemporanea della Martinica, e la sua risposta alla civilizzazione europea, attraverso la biografia di Aimé Césaire, suo protagonista indiscusso, colui che è stato, e continua a essere, il punto di riferimento politico e culturale dell’isola. Sindaco della capitale Fort-de-France e deputato presso l’Assemblea nazionale, Césaire è stato scrittore di fama internazionale e promotore di un movimento di ribellione contro il processo di assimilazione culturale e di aggiogamento economico perpetrato dagli europei, oltre che inventore di un termine che esprimesse l’importanza di un concetto tanto complesso come quello dell’auto-esaltazione della propria appartenenza alla razza nera, la Negritudine.

Aimé Césaire

Personaggio tanto conosciuto nel mondo della letteratura quanto in quello della politica, Aimé Césaire (1913 – 2008) ha rappresentato le volontà dei martinicani per circa 50 anni. Grazie ad André Breton, fondatore del movimento del Surrealismo, conobbe la fama internazionale per il suo lavoro di scrittore, anche se nella sua isola viene maggiormente celebrato per il suo impegno politico e sociale, sempre a favore degli ultimi, sempre in ascolto dei loro bisogni.

Sin da giovane, terminato il liceo in Martinica, si trasferisce a Parigi per terminare gli studi con il suo amico Léon-Gontran Damas, grazie a una borsa di studio erogata dallo Stato francese. Qui entra in contatto con una realtà cosmopolita in continuo fermento. Conosce, attraverso il salotto di Paulette e Jane Nardal, i più grandi artisti del mondo nero, ispirati dalla Harlem Renaissance che, negli anni 20, aveva risvegliato le coscienze degli afroamericani negli Stati Uniti.

Tra questi, spiccano il senegalese Léopold Sédar Senghor e lo scrittore e poeta giamaicano Claude McKay. Con Senghor e il suo amico Damas decide quindi di fondare una rivista, sulla falsariga di “Revue du Monde Noir” delle sorelle Nardal, con il nome di “L’Etudiant Noir”. Sin da questi primi passi, si comincia a delineare una nuova coscienza politica e un obiettivo, ovvero l’opposizione alla politica di assimilazione delle forze imperialiste e la proclamazione dei valori della civilizzazione del mondo nero.

Il “Cahier”

Insieme scoprono progressivamente la loro identità comune attraverso la critica della situazione coloniale vissuta dai loro rispettivi paesi d’origine. Prendono, quindi, coscienza della negazione della loro storia e della loro alienazione culturale e politica. Sono questi i presupposti che portarono, nel 1939, alla formulazione del concetto di Negritudine, esplicato nel capolavoro artistico e politico di Aimé Césaire: Cahier d’un retour au pays natal (“Diario di un ritorno al paese natale”).

Nel “Diario” il poeta affronta il ritorno a Martinica con uno spirito rinnovato, disincantato, cosciente della sua condizione e di quella del suo popolo. Inizia la sua opera analizzando i mezzi e le conseguenze della civilizzazione, per poi ricercare nel ritorno alle origini, al suo paese natìo, la fonte primaria che gli permetta di raggiungere una presa di coscienza finale, la realizzazione della sua appartenenza alla razza nera.

La Negritudine

È questa la Negritudine, la semplice realizzazione e accettazione dell’essere un uomo nero. Non a caso, il termine deriva da “negro”, un appellativo che denota disprezzo ed enfatizza una supposta superiorità. Non è un caso perché la presa di coscienza della propria realtà non può che  passare per il rapporto con il bianco, per l’immagine che il dominatore ha trasmesso al dominato; un’immagine intrinseca di disprezzo e inferiorità.

Dalle parole dello stesso Césaire, pronunciate in occasione della Prima Conferenza Emisferica dei Popoli neri della Diaspora organizzata nel 1987 a Miami, “La Negritudine non è una pretenziosa concezione dell’universo. E’ un modo di vivere la storia nella storia: la storia di una comunità la cui esperienza si presenta, a dire il vero, estremamente singolare, definita dalle deportazioni, dal trasferimento forzato di uomini da un continente a un altro, dai ricordi di credenze lontane, dai frammenti di culture assassinate che le appartengono. […] Ma la Negritudine non è soltanto passiva. Non appartiene unicamente all’ordine del patire e del subire. Non è un modo di vedere le cose all’insegna del patetico e dell’afflizione. La Negritudine dipende da un atteggiamento attivo e offensivo dello spirito. E’ un soprassalto, un soprassalto di dignità. E’ un rifiuto, voglio dire rifiuto dell’oppressione. E’ una battaglia, cioè una battaglia contro la disuguaglianza.”

L’incontro con il Surrealismo

Oltre alla Harlem Reinassance, la Parigi degli anni ’30 viene scossa da un’avanguardia artistica che si presenta sin da subito in completa rottura con il passato: il Surrealismo di André Breton, movimento incentrato sulla anarchia dell’espressione artistica e delle libere associazioni. Da un punto di vista politico, i surrealisti credono nella rivoluzione dello spirito, affinché questo si liberi delle forze spontanee imprigionate dalla logica e dalla convinzione. Attaccano la ragione, il culto della scienza, il tecnicismo. Si schierano apertamente contro il colonialismo e la civilizzazione europea, accusata di aver represso la spontaneità innata dell’essere umano. Riguardo a questo tema, recita così un loro volantino del 1931: “il dogma dell’integrità del territorio nazionale, invocato per dare a quei massacri una giustificazione morale, è basato su un gioco di parole insufficiente a far dimenticare che non passa settimana senza che nelle colonie non si uccida”.

Per gli artisti neri, la rivoluzione surrealista, la sua lotta alla logica e al razionalismo, viene vista come un mezzo per combattere il colonialismo europeo e il modello accademico imposto ad artisti e intellettuali delle colonie. Viene quindi adottato il “modello” surrealista con un chiaro obiettivo politico e sociale, come fecero i fondatori di Légitime Défense nel 1932 – uno tra i primi e più importanti esperimenti di aggregazione culturale della Martinica, che tratta il tema del rapporto tra etnie, culture e società nell’isola – e così fece, qualche anno più tardi, Aimé Césaire.

Il problema razziale si fonde quindi con quello politico ed economico. Il bianco, portatore della cultura dominatrice, è anche il fautore del capitalismo. La lotta tra nero e bianco è anche quella tra proletario e borghese e, in ambito surrealista, tra follia e ragione. Proprio per questa congiunzione viene attaccato lo stesso nero-borghese, accusato di essersi alienato dalla cultura europea e di sostenere il capitalismo. La risposta del nero dovrebbe essere quella di respingere i contenuti dell’ideologia imperialista e riconquistare la sua originalità culturale.

Da una parte i bianchi, detentori della ragione, e dall’altra i neri, costretti a subire una civiltà che non li appartiene, abituati a reprimere la loro follia. Ecco che i tre movimenti s’incontrano e si mischiano in una sola lotta, la lotta di Césaire. Per Jean Paul Sartre, molto vicino al movimento della Negritudine, la struttura classista contro la quale si batteva il socialismo non faceva altro che ripetersi nel rapporto tra neri e bianchi, solo che in un’altra forma. Il nero era oppresso per la sua pigmentazione e per la sua cultura così come il proletario lo era per la sua estrazione sociale. Era quindi opportuno, e qui entra in gioco anche Césaire, che il nero-proletario capisse la propria condizione, prendesse coscienza della sua situazione, affinché si mettesse in gioco per spodestare il potere colonialista e, quindi, il dominio capitalista. Il risultato, comune a entrambi, consisteva nel creare un mondo senza più differenze di razze e di classi sociali.

 

 

Fonti e approfondimenti

 

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