Brexit is in the Eire: la sfida di Theresa May

Press conference by Jean-Claude JUNCKER, EC President and by Theresa MAY, British Prime Minister following their meeting: opening remarks by Theresa MAY, British Prime Minister. European Union 2019 https://multimedia.europarl.europa.eu/en/press-conference-by-jean-claude-juncker-ec-president-and-by-theresa-may-british-prime-minister-follo_20190312_EP-086194A_DLL_087_p#ssh

Il Consiglio Europeo del 17-18 ottobre, che nei piani originali dei leader europei sarebbe stato l’occasione per concludere le trattative con il Regno Unito e presentare un accordo sul “divorzio”, si è concluso invece con l’ennesima impasse. L’ostacolo principale, stavolta, è la turbolenta situazione politica di Londra, che ha costretto Dominic Raab (segretario per la Brexit) a recarsi di persona a Bruxelles per chiedere più tempo ai diplomatici UE.

Theresa May, assediata su tutti i fronti, si è presentata personalmente alla Camera dei Comuni lunedì scorso, per rassicurare i parlamentari sull’andamento dei negoziati e affrontare le defezioni tra i Tories. Stando alle sue parole, l’accordo per l’uscita dall’UE sarebbe concluso “al 95%”: tra i punti in sospeso, la spinosa questione irlandese e il problema del backstop. May ha invitato i colleghi di partito ad agire nell’interesse nazionale; ha inoltre rimarcato che qualsiasi accordo, anche il più vantaggioso per il Paese, richiederà dei compromessi.

L’opposizione

Per il governo May, la strada verso il 29 marzo 2019 è tutta in salita: la battaglia su due fronti, a Bruxelles e a Westminster, pone il primo ministro in una posizione assai precaria.

Con la scomparsa dell’UKIP e l’indebolimento dei liberali, i Laburisti di Jeremy Corbyn rimangono la voce principale dell’opposizione. Anch’essi, tuttavia, sono alle prese con una discussione interna sulla Brexit, emersa con forza durante la conferenza del partito. Il Labour chiede un accordo che protegga i lavoratori e l’ambiente, e che garantisca al Paese gli stessi vantaggi di cui gode attualmente in quanto membro del Mercato unico, ma senza la libertà di movimento (condizioni inaccettabili per Bruxelles).

Per far passare l’accordo in Parlamento, May avrà probabilmente bisogno dei voti di almeno una parte dei laburisti. Con un Corbyn già entrato in campagna elettorale, è improbabile che il Labour nel suo complesso s’impegni a sostenere il governo. Non sono tuttavia escluse defezioni di parlamentari pro-Brexit, che potrebbero compensare le ribellioni tra i Tories.

Lo Scottish National Party di Nicola Sturgeon, primo ministro scozzese, si è schierato a favore di un secondo voto sulla Brexit, e l’accesso al Mercato unico e parità di condizioni con qualsiasi beneficio concesso all’Irlanda del Nord. Nel 2016, il 62% degli scozzesi votò per rimanere nell’UE – la percentuale più alta tra le quattro nazioni del Regno Unito. La forza del movimento indipendentista scozzese da un lato spaventa Downing Street; allo stesso tempo, alle elezioni del 2015, l’SNP ha perso 21 seggi, passando da 59 a 35 parlamentari a Westminster. La parziale sconfitta ha intaccato il peso politico del partito, che può giocare la carta di un secondo referendum sull’indipendenza qualora le sue richieste fossero ignorate.

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Distribuzione del voto al referendum sulla permanenza nell’UE (2016), dati per circoscrizione. Fonte: Wikimedia Commons

Gli alleati

Il DUP, il partito degli unionisti dell’Irlanda del Nord, minaccia di votare contro il bilancio 2019 qualora le sue richieste sul backstop non fossero accolte. Il DUP controlla 10 voti chiave nei Comuni, e il suo appoggio ha consentito a May di restare in carica dopo le elezioni del 2017; qualora questo venisse a mancare, il primo ministro sarebbe costretta a cercare voti all’opposizione.

La minaccia più grave alla sopravvivenza del governo arriva però proprio dai Tories. Secondo alcuni osservatori, il prolungarsi del dibattito sull’UE potrebbe essere una catastrofe per il partito conservatore. Non hanno tutti i torti: sia i laburisti che i conservatori erano usciti malconci dalla campagna referendaria nel 2016, incapaci di assumere una posizione univoca e unitaria, e preda di insanabili divisioni interne.

Tra i Tories, i sostenitori di una hard Brexit sono i critici più accaniti del governo: ritengono che il Paese avrebbe solo da guadagnare da una Brexit senza accordi né periodi di transizione, che sarebbe l’occasione per riprendere il controllo su politica commerciale e immigrazione. È a loro che May strizza l’occhio quando dichiara che “piuttosto che un accordo svantaggioso, è meglio non avere un accordo” (no deal is better than a bad deal). Personaggi quali Jacob Rees-Mogg, presidente del think tank European Research Group, o Boris Johnson e David Davis, ex segretari dell’esecutivo, lanciano quotidianamente duri attacchi a Theresa May, invitandola a dimettersi e incitando il resto del partito a rivoltarsi contro di lei.

C’è anche una nutrita fazione di sostenitori del Remain. Alcuni tra questi chiedono un secondo referendum sulla permanenza nell’Unione; altri, più pragmatici, pur ritenendo che qualsiasi accordo con l’UE sarà comunque più svantaggioso dello status quo, non discutono il voto del 2016. Per questi ultimi, l’obiettivo dei negoziati dovrebbe essere una soft Brexit quanto più vicina alla situazione attuale, sul modello Norvegia, che manterrebbe il Paese nel Mercato unico e nell’unione doganale.

La gara per la successione

Theresa May deve infine affrontare il dissenso all’interno dello stesso governo che, in teoria, dovrebbe aiutarla a compattare la maggioranza. Finora, seppur con qualche difficoltà – come le lunghe trattative sul Chequers’ Plan a luglio, o il drammatico incontro alla vigilia del Consiglio Europeo per verificare il supporto dei suoi ministri – May ha mantenuto il controllo, ma la situazione è volatile. Il rischio è che posizioni personali e ambizioni politiche si sovrappongano alla tradizionale lealtà al partito e al primo ministro.

Dominic Raab è tra gli hard Brexiteers; pur rimanendo fedele a May, ha dichiarato che, “a forza di scendere a compromessi, si rischia di compromettersi”: un messaggio non troppo velato al primo ministro e alla sua linea pragmatica, da alcuni criticata come sintomo di debolezza.

Michael Gove, il segretario per le politiche ambientali, è un moderato tendenzialmente schierato dalla parte di May; i suoi sostenitori, tuttavia, vorrebbero che assumesse una posizione di primo piano nel dibattito sulla Brexit, che lo porterebbe a essere un candidato di punta per la successione in un futuro non troppo lontano.

Il governo fatica a trovare un accordo sul backstop. Alcuni ministri (tra cui il segretario agli affari esteri Jeremy Hunt) si oppongono a un backstop illimitato, come clausola di garanzia per evitare la creazione di frontiere tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda. Altri, invece, hanno appoggiato il primo ministro e la sua apertura a un compromesso su questo punto, che consentirebbe di chiudere un capitolo cruciale nelle trattative. L’esito della questione irlandese avrà un impatto determinante sull’economia dell’isola, del Regno Unito e degli altri membri dell’UE.

Aleggia il mistero sul cosiddetto “pizza club”, un gruppo di ministri e politici pro-Brexit che starebbe progettando di creare una crisi di governo dimettendosi in massa. Tra i partecipanti ci sarebbero Andrea Leadsom, speaker della Camera dei Comuni, e alcuni segretari del governo. Si vocifera inoltre che i Tories ribelli si stiano muovendo per chiedere un voto di fiducia sull’esecutivo, anche se non ci sono conferme ufficiali. L’intervento di May alla Camera dei Comuni potrebbe aver calmato le acque, almeno per il momento. A novembre, però, inizierà la discussione sul bilancio 2019, che porterà alla luce i costi della Brexit e del periodo di transizione: un’altra arma nelle mani dei falchi della hard Brexit.


Fonti e approfondimenti

Evening Standard, “No10 planted decoy letters demanding MP confidence vote, Tories claim”, 23/10/2018

Politico, “UK’s Hunt urges Tories to unite behind PM in Brexit talks”, 19/10/2018

Politico, “Et tu, Boris? 12 Brits who will shape Brexit”, 17/10/2018

The Guardian, “Stormy cabinet meeting increases pressure on May over backstop”, 23/10/2018

The Guardian, “May says MPs must ‘hold their nerve’ to approve final Brexit deal”, 22/10/2018

BBC, “Brexit: Five things that happened at the EU Brussels summit”, 19/10/2018

Consiglio Europeo del 17/10/2018, documenti e conclusioni

Reuters, “Threshold not yet reached to trigger challenge to UK PM May, says BBC political editor”, 23/10/2018

Reuters, “UK says Northern Ireland can not be in separate customs territory post-Brexit”, 23/10/2018

The Guardian, “Conservatives must hold nerve despite Brexit jitters, says Raab”, 21/10/2018

NewStatesman, “Will Brexit spell the end of the Conservative party?”, 26/10/2017

 

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