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Caravana Migrantes
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Il 20 ottobre, seduto sulle sedie di un bar o di fronte al proprio televisore di casa, il pubblico internazionale ha assistito a un evento unico nel suo genere. Circa 4500 persone, di cui una buona parte donne e bambini, è riuscita a sfondare delle deboli protezioni poste al confine tra il Messico e il Guatemala, nella città di confine di Ciudad Hidalgo, nello Stato del Chiapas. Si viene presto a sapere che queste persone, provenienti in gran parte dall’Honduras, hanno attraversato a piedi il Guatemala e sono diretti negli Stati Uniti. Dopo quasi un mese da questa notizia, il 15 novembre, ecco che la rinominata Caravana de Migrantes è giunta a Tijuana, di fronte alle porte degli Stati Uniti.

Pueblo Sin Fronteras

Di cosa si sta parlando esattamente? Purtroppo sul web la confusione è molta. La carovana di cui si sente parlare in questi giorni, infatti, viene spesso confusa con altre iniziative portate avanti da varie associazioni che si occupano di diritti dei migranti. Tra queste, la prima, e più importante, è sicuramente Pueblo Sin Fronteras, la stessa che ora si sta occupando dell’organizzazione, della raccolta fondi e della pubblicizzazione della carovana, senza però aver mai pubblicamente annunciato di averla indetta. Pueblo Sin Fronteras è un progetto della ‘Familia Latina Unida’, un’organizzazione fondata nel 2001 da Elvira Arellano. Familia Latina Unida si occupa di aiuti legali ai migranti residenti negli Stati Uniti e ha la sua base a Chicago. Nella stessa città venne fondata, nel 1987, Sin Fronteras, da cui l’Arellano trovò spunto per la formazione della sua organizzazione. Finito il suo lavoro all’interno della stessa, la fondatrice ottenne, quindi, rifugio presso la Adalberto United Methodist Church. Da qui, attraverso un omonimo “ministerio”, l’attivista cerca di donare un aiuto alla neonata comunità di messicani irregolari che cerca un futuro migliore per le proprie famiglie.

Riavvolgendo il nastro, Pueblo Sin Fronteras’ è una piattaforma di attivisti che si occupa di diritti dei migranti. Il loro scopo è fornire aiuti economici e giudiziari affinché i migranti del Centro America possano affrontare un viaggio in piena sicurezza verso gli USA. Il loro sogno, come si legge sul sito, è di “costruire ponti solidali tra le persone e di rifiutare i muri sui confini, imposti dall’avidità”.

Da quasi una decina di anni organizzano la Via Crucis Migrante, una carovana che parte in concomitanza con l’inizio della Settimana Santa. L’iniziativa coinvolge in maniera particolare i familiari dei migranti che cercano tracce dei loro cari scomparsi in Messico e ha come secondo obiettivo quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sui pericoli a cui un migrante incorre durante il suo viaggio. Anche un’altra associazione, il Movimiento Migrante Mesoamericano, organizza carovane simili, coinvolgendo, in maniera particolare, le madri dei migranti desaparecidos.

Il successo della Via Crucis Migrante del 2018, che ha portato in Messico più di mille persone, molte delle quali si sono spinte fino a Tijuana per chiedere asilo negli USA, deve aver convinto molte persone ad affrontare questo viaggio in gruppo.

Ed ecco che è nato l’ éxodo centroamericano’.

 

L’éxodo centroamericano

Dalla motivazione politica alla necessità pratica, quest’ultima carovana è partita con l’esatto intento di arrivare alle porte degli Stati Uniti. Oltre che per motivi economici, i migranti stessi denunciano gli Stati Uniti di averli costretti a partire, dopo aver appoggiato quello che viene riconosciuto come un colpo di stato. Il presidente Zelaya, eletto democraticamente dal popolo, è stato infatti dimesso e arrestato dall’esercito nel 2009 dopo aver convocato un referendum per allungare il mandato presidenziale. Da allora la situazione non ha fatto altro che precipitare e l’Honduras, insieme al Guatemala e a El Salvador, sta vivendo un periodo di forte instabilità, minacciato dal potere delle bande armate di trafficanti.

Attraverso i social, senza un’iniziale organizzazione apparente, circa un migliaio di persone si sono incontrate il 12 ottobre – la data non è casuale, visto che quel giorno del 1492 gli europei approdarono in America – presso la stazione degli autobus di San Pedro Sula, nel nord dell’Honduras. Convinti che se fossero stati in tanti avrebbero potuto affrontare con più sicurezza il viaggio, il 13 ottobre si sono messi in marcia. Marciando hanno attraversato tutto il Guatemala, arrivando a contare circa 4.500 unità quando, il 20 ottobre, hanno bussato alle porte del Messico.

Le immagini dell’arrivo della carovana in Messico sono rimbalzate su tutti i mass media. C’è chi, a quel punto, ha preferito fermarsi per attendere le procedure legali e chi, noncurante del pericolo, ha attraversato il fiume Suchiate, che fa da confine, per entrare illegalmente.

Quindi, l’attenzione per l’esodo è cresciuta a dismisura. Il primo che ha dato eco a questa notizia, sin dal suo passaggio in Guatemala, è stato nientemeno che Donald Trump. Il presidente, attraverso una serie di tweet, ha utilizzato questa iniziativa come strumento di campagna elettorale per le Midterm Elections. All’inizio, ha minacciato il Guatemala di revocare gli aiuti concessi, nel caso in cui il governo non fosse intervenuto per fermare la carovana che passava per il suo territorio. Quindi, ha ordinato l’impiego di forze armate al confine per protezione contro “l’invasione”. Ha finito con il minacciare la revoca del NAFTA, da poco rinnovato. Purtroppo per lui, però, questa serie di minacce non gli ha garantito il successo sperato alle urne, dato che le elezioni di metà mandato non lo hanno visto trionfare.

Il caso di Bartolo Fuentes

Dal canto loro né Guatemala e né tantomeno il Messico sembra abbiano voluto ascoltarlo. Il più piccolo tra i due Stati centroamericani, ricevute le prime minacce, ha affidato alla polizia il compito di arrestare giusto il più celebre tra i partecipanti alla carovana, il giornalista ed ex-deputato honduregno del Partido Libertad y Refundación, Bartolo Fuentes. Fuentes, rispedito in Honduras, è stato costretto a subire una spietata campagna denigratoria da parte del governo che lo accusa di aver organizzato la carovana con il preciso intento di destabilizzare il Paese. Lo stesso, in effetti, aveva pubblicizzato sin da subito questa iniziativa attraverso i suoi canali social.

Il ruolo del Messico e dei messicani

Da parte sua il Messico ha risposto con bastone e carota. Il benvenuto non è stato di certo dei migliori. Eppure, malgrado l’iniziale resistenza, la polizia di frontiera ha cominciato quasi subito a concedere i permessi di transito a tutti coloro i quali si trovassero con i documenti in regola. Dall’approdo a Ciudad Hidalgo, la carovana ha affrontato il passaggio per il Chiapas, uno degli Stati più poveri del Messico, senza ricevere nessun aiuto dal governo.

La carovana, il cui viaggio è ben schematizzato da una mappa interattiva del Center for Immigration Studies, ha viaggiato per tutto il Messico andandosi a confrontare con diverse risposte della popolazione locale. In Chiapas varie parrocchie hanno risposto all’appello dei migranti e si sono mostrate ben disposte ad accoglierli e a organizzare le raccolte fondi. La stessa Città del Messico si è organizzata, sin dalla precedente Viacrucis, stabilendo dei luoghi in cui i migranti potessero rifocillarsi e dormire. Lo stesso governo è intervenuto, anche se in maniera diversa. Da una parte attraverso l’operato de Los Grupos Beta, “il braccio umanitario dell’Istituto Nazionale di Migrazione” messicano, dall’altra con la distribuzione di opuscoli informativi.

http://www.cis.org

Tra le personalità che più hanno spiccato per la loro opera solidale non si può certo tralasciare Padre Alejandro Solalindees. Attivista e sacerdote della Chiesa Cattolica, è stato candidato al premio Nobel per la pace per la sua lotta al narcotraffico. Ha da sempre lavorato anche per aiutare i migranti e ora gestisce l’albergo Hermanos en el Camino, dove offre assistenza umanitaria e una guida per il viaggio.

Da Guadalajara a Tijuana

Nel tratto da Guadalajara a Tijuana, l’accoglienza dei messicani e gli aiuti offerti alla carovana sono stati, invece, molto diversi. Il governo dello Stato di Jalisco, di cui Guadalajara è capoluogo, aveva promesso un trasporto sicuro dalla città allo Stato di Sinaloa, passando attraverso lo Stato di Nayarit, impossibilitato a ospitare i migranti a causa dei problemi che deve affrontare all’indomani di un recente uragano. Il 13 novembre, però, si è venuto a sapere che questo trasporto non era giunto a destinazione lasciando i passeggeri a 90 chilometri dal luogo in cui avrebbero dovuto incontrarsi con il passaggio successivo, rimanendo costretti a dormire per strada, come in tante altre occasioni.

L’arrivo a Tijuana, poi, è stato accolto da molti con proteste e manifestazioni contrarie alla permanenza dei migranti. Tra le tante motivazioni, per molti ha pesato l’aumento di attenzioni e controlli rivolto al confine e alle dogane che, per una città di frontiera come Tijuana, rappresenta un problema più che altrove.

Ora, la carovana, dopo essersi divisa, frammentata e ricompattata numerose volte, è giunta davanti alla California e bussa alle porte dello Stato più ricco del mondo. Uno Stato, gli USA, governato da una classe dirigente che, in più occasioni, ha sottolineato come questa “minaccia” non può e non potrà mai destabilizzare la sicurezza interna. In attesa di sviluppi, Tijuana sta vivendo giorni caldissimi e l’allerta degli eserciti degli Stati Uniti e del Messico è alle stelle.

 

Fonti e approfondimenti:

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