Come la società egiziana è cambiata sotto al-Sisi

Sisi
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Guardando la storia recente dell’Egitto, si nota una certa familiarità del Paese con i regimi militari. Fin dai tempi di Nasser, l’esercito ha rappresentato la spina dorsale della società egiziana e l’emblema del potere. D’altronde, come in molti Paesi arabi, in Egitto non si può governare senza l’appoggio delle forze armate, da cui spesso provengono i capi di Stato. E’ il caso, ad esempio, di Abd al-Fattah al-Sisi, attuale Presidente subentrato nel 2014 a Morsi dopo che il suo regime era stato rovesciato.

Il contesto storico della salita al potere di al-Sisi coincide con i disordini della cosiddetta “Primavera araba”. A partire dal 2011, la popolazione egiziana manifestò ripetute volte chiedendo un ricambio politico al Presidente Mubarak (in carica per 30 anni). Com’era facile aspettarsi, il regime mise in atto una decisa repressione, ma ad appena 18 giorni dall’inizio delle proteste, Mubarak si dimise. Il potere venne assegnato temporaneamente alle forze armate, con lo scopo di portare il Paese a elezioni nel 2012. Elezioni che vedranno vincere Morsi, candidato per i“Fratelli Musulmani” fino a a quando, nel 2013, al-Sisi lo deporrà in seguito alla svolta totalitaria del Governo (Morsi si era auto-attribuito poteri illimitati).

Da allora è al-Sisi l’uomo forte d’Egitto e in quanto tale ha plasmato la società egiziana, anche se diversamente da quanto richiesto agli inizi della “Rivoluzione egiziana del 2011”.

Nell’Egitto di al-Sisi, tra oppositori politici in fuga e il nuovo ruolo dell’esercito

A muovere al-Sisi non era solo un vasto malcontento popolare da sfruttare, ma  anche il ruolo dell’esercito messo in dubbio. Morsi, primo Presidente d’Egitto a non provenire dalle forze armate, aveva applicato fin dal 2013 una serie di politiche volte a indebolire l’esercito come entità. Il rischio di perdere la posizione favorevole che tradizionalmente spetta all’esercito spinse al-Sisi a intervenire. Una volta deposto l’avversario è facile immaginare il trattamento che fu riservato ai sostenitori dei “Fratelli Musulmani”. Le proteste degli elettori di Morsi furono represse nel sangue (più di 800 morti solo nell’agosto del 2013), il movimento sciolto e i suoi vertici arrestati insieme a decine di giornalisti considerati troppo vicini all’opposizione (molti dei quali inviati per Al-Jazeera).

Conseguentemente a un indebolimento dell’opposizione politica, un maggiore spazio nel potere pubblico venne riservato alle forze armate. Non solo molti ufficiali dell’esercito risiedono, da quel momento, in Parlamento o sono diventati consiglieri di al-Sisi, ma godono anche di una legge in grado di garantirgli l’immunità retroattiva. Provvedimento da leggere in chiave passata, in quanto protegge i responsabili delle violenze post colpo di stato, quanto futura, visto che permetterebbe la totale impunità per eventuali repressioni a venire.

Il controllo sulla popolazione risulta asfissiante. Un clima di terrore e insicurezza affligge il Paese. I servizi segreti del regime hanno infiltrati ovunque e controllano qualsiasi accenno di protesta. Gli stessi sindacati sono stati penalizzati da leggi e riforme che impediscono gran parte degli scioperi e negano la possibilità di organizzare manifestazioni. La vita pubblica non è più la stessa, colpa anche dell’ormai lunga crisi economica. Nel periodo post colpo di stato molti negozi hanno chiuso, alcuni beni di prima necessità mancano e alimenti come la carne scarseggiano.

Il giogo al collo del giornalismo e dei social network

Esattamente come con Mubarak, anche con al-Sisi esprimere la propria opinione è pressoché impossibile. Ne sanno qualcosa giornalisti e opinionisti egiziani costretti a subire duri controlli da parte della censura di Stato. Coloro non ancora costretti ad abbandonare il Paese sono impossibilitati a fare dichiarazioni in contrasto con le politiche del Governo. Il rischio di “infrangere la legge” arriva a comportare la reclusione.

Il controllo eseguito sulla stampa e sulla televisione vale anche per internet e i social network. A luglio, infatti, è passata una legge che prevede la possibilità di mettere sotto supervisione qualsiasi blog o profilo social con più di 5000 followers. Quando i contenuti di tali profili/blog vengono giudicati non idonei o pericolosi per la Nazione, sono oscurati e i possessori arrestati, così come i “seguaci”.

Il trattamento riservato all’opinione pubblica dimostra le difficoltà nell’esprimere idee o semplicemente partecipare attivamente alla vita politica all’interno della società egiziana. Società che al momento soffre e in cui non sono garantiti neanche i più basilari diritti civili.

La crisi del settore pubblico e il peggioramento delle condizioni di vita

Tra colpi di stato e crisi economica la società egiziana è piegata. L’instabilità economica e l’inflazione, mai così alta dal 1986 (33%), hanno gravemente colpito il settore pubblico a cui al-Sisi ha peraltro tagliato i fondi. La politica interna del Presidente egiziano ha visto, da un lato, l’incremento della spesa militare e degli stipendi dei membri dell’esercito a fronte di una politica estera aggressiva, dall’altro una netta diminuzione dei fondi destinati a ospedali e istruzione pubblica. Un rapporto delle Nazioni Unite (all’interno dell’annuale “U.N Human Development Index”) denuncia un netto peggioramento della qualità della vita degli egiziani. La chiusura di numerose scuole (soprattutto nel sud del Paese) ha incrementato gli abbandoni scolastici e il conseguente aumento della futura percentuale di analfabeti. In una situazione del genere l’unica possibilità di istruzione è offerta da scuole coraniche, incapaci però di garantire un percorso scolastico completo e soprattutto poco inclusivo nei confronti delle studentesse (spesso neanche ammesse a scuola).

La situazione non migliora neanche in ambito sanitario. Negli ultimi anni il processo di privatizzazione degli ospedali pubblici è accelerato mentre continuano a venir fondate importanti cliniche destinate ai militari. Sempre l’U.N riporta un aumento di epidemie di malattie contagiose e un’impennata di morti per parto, infezioni e altre situazioni facilmente prevedibili e curabili.

Dal colpo di stato di al-Sisi, l’Egitto ha purtroppo iniziato a indebolirsi ulteriormente dal punto di vista socio-economico. Secondo i dati riportati dall'”U.N Development Index” e dal “World Health Organization”, la stima di egiziani che vivono sotto la soglia di povertà ha ormai raggiunto il 32% (28% pre-2013) con i giovani a soffrire maggiormente. Le nuove generazioni, infatti, affrontano grosse  difficoltà nel conseguimento di un percorso di studio elevato e nel trovare lavoro, con la disoccupazione giovanile al 40%.

La lotta all’islamismo e il riavvicinamento alla Chiesa Copta

Tra le politiche di Sisi, figurano anche la lotta all’islamismo e il tentativo di creare una società egiziana più coesa. Mentre la prima ha inaugurato numerose azioni militari contro l’Isis in Sinai e in Libia, la seconda ha permesso un riavvicinamento alla Chiesa Copta. Cercando l’appoggio di una religione che rappresenta circa il 10% della popolazione, Sisi ha collaborato attivamente con la comunità copta e con il patriarca Tawadros II. Questi nuovi rapporti tra Stato e Chiesa Copta (che ricordano quelli tra Nasser e Cirillo VI) sono nati con l’inaugurazione della cattedrale a Il Cairo. Monumento ancora da completare (che nei piani del Presidente diventerà la più grande chiesa cristiana del Medio Oriente) ma che già rappresenta l’idea di una società coesa nonostante le differenze.

 

FONTI E APPROFONDIMENTI:

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