Sulla strada per Kyiv: la legge marziale

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Lunedì 26 novembre 2018 l’Ucraina ha istituito la legge marziale per voto della Verkhovna Rada. Dei 371 membri del Parlamento, 276 hanno espresso il loro consenso all’istituzione dello stato di emergenza, per 30 giorni, in 11 regioni. Tra queste, 8 sono soggette al rischio di “aggressione russa”. La decisione è stata presa a seguito di un’assemblea straordinaria, convocata in reazione all’attacco navale russo contro navi ucraine presso lo stretto di Kerch, tra la ex Repubblica Autonoma di Crimea (Rac) e la Federazione Russa. Motivazioni strategiche, sia a livello internazionale che domestico, possono essere individuate alla base di questa aggressione o provocazione. La ragione principale, però, riguarda l’annessione russa della Crimea nel Marzo 2014.

Tralasciando l’interezza degli intricati e ruvidi rapporti tra Russia e Ucraina, affrontati nel primo articolo di questa rubrica, partiremo da questa annessione per cercare di spiegare come si sia arrivati alla situazione odierna.

L’annessione della Crimea

Le prime istanze autonomiste della Crimea risalgono al 1992, un anno dopo lo scioglimento dell’URSS. Parte dell’Ucraina dal 1954, la Crimea cercherà di dichiararsi indipendente fino al 1998. Nella Costituzione promulgata quell’anno viene garantito lo status speciale di Repubblica Autonoma, comunque fortemente condizionato dalla Costituzione ucraina. Quest’ultima dichiara la Rac parte integrante dello Stato ucraino e la nomina del suo primo ministro sottoposta ad approvazione del presidente.

A seguito della Rivoluzione del 2014, gruppi armati di separatisti filorussi occupano il Parlamento a Simerfopoli, capitale della Repubblica. Viene insediato un nuovo primo ministro, Sergei Aksenov, che chiede ufficialmente supporto alla Russia per mantenere la pace. Le forze armate ucraine vengono quindi fatte uscire dalla Crimea, sostituite da altre che Putin dichiara non essere russe. In quei giorni viene indetto il referendum per l’annessione alla Russia. Il Parlamento ucraino, l’Unione Europea e le Nazioni Unite dichiarano illegale il referendum, in particolare a causa del divieto di accesso agli osservatori internazionali. Il 13 marzo 2014, a tre giorni dal voto, le forze armate russe prendono parte a un’imponente esercitazione lungo i confini ucraini. Il 17 marzo, la Crimea è ufficialmente parte della Federazione Russa. Unione Europea e Stati Uniti approvano quindi le sanzioni commerciali e il G8 sospende la Russia diventando G7.

Il dominio dei mari

Il controllo della penisola garantisce la proiezione di Mosca sul Mediterraneo e il dominio strategico del Mar d’Azov e del Mar Nero, grazie alla flotta di stanza a Sebastopoli. Per avvicinare maggiormente il nuovo territorio alla Madre Patria, nel 2015 sono incominciati i lavori di costruzione del Ponte di Crimea, completato a maggio 2018. Nell’ultimo anno, le autorità ucraine hanno accusato la Russia di aver imposto un blocco de facto nello stretto di Kerch, unica via di transito per il Mar d’Azov, e di aver causato il rallentamento di centinaia di navi mercantili che tentavano di raggiungere i porti ucraini.

Ciò ha provocato un aumento delle tensioni diplomatiche tra i due Paesi, con un conseguente incremento della presenza militare nell’area dello stretto e la richiesta di truppe NATO al fine di mantenere la stabilità della zona. Lo scorso 18 ottobre, il ministro degli esteri russo Lavrov ha risposto a questa richiesta con un totale diniego. Infine, domenica 25 novembre, navi della marina russa hanno attaccato e sequestrato tre natanti militari ucraini che tentavano di entrare nel Mar d’Azov. Il diritto al libero passaggio di navi mercantili e militari, in quelle acque, è però sancito a entrambi i Paesi da un accordo siglato nel 2003 e mai abrogato o modificato. Questo attacco costituisce quindi una violazione degli accordi bilaterali tra le due nazioni e un atto di aggressione nei confronti dell’Ucraina.

Il “Piano Poroshenko”

Osservando questo avvenimento da un’ottica interna, però, si delineano nuove possibili interpretazioni. L’attuale presidente ucraino Petro Poroshenko, sta affrontando una difficile campagna elettorale. I sondaggi lo collocano molto indietro rispetto alla sua principale avversaria Yulia Timosenko e il timore di perdere le presidenziali potrebbe aver influito nella preparazione e nella gestione di questa crisi. Il programma elettorale di Poroshenko si basa su tre parole “Lingua, Fede ed Esercito”.

La questione linguistica è stata già implementata con l’introduzione dell’insegnamento dell’ucraino come prima lingua, l’obbligo di conoscenza della lingua nazionale per accedere a cariche pubbliche e il suo utilizzo nell’insegnamento universitario. Sul lato religioso, è dell’11 ottobre la proclamazione dell’autocefalia della Chiesa ortodossa ucraina, che sancisce la totale indipendenza da quella russa. Arrivando quindi al piano militare, l’attività delle navi ucraine lungo lo stretto di Kerch può essere interpretato come provocatorio, al fine di scatenare una reazione che consenta a Poroshenko di raggruppare l’opinione pubblica attorno alla sua figura e di mostrarsi come uomo forte al comando. Per questo l’introduzione della legge marziale può sembrare una manovra più politica che prettamente legata alla sicurezza nazionale.

Il testo inizialmente presentato alla Rada, infatti, è molto diverso da quello poi approvato dopo le 6 ore di assemblea. Nella riunione d’emergenza del consiglio dei ministri, avvenuta domenica, la durata del provvedimento era di 60 giorni in tutto il paese, con limitazioni delle libertà personali (come diritto di manifestazione o assemblea), limitazioni nell’uso dei mezzi di comunicazione e, soprattutto, la sospensione delle elezioni a data da destinarsi. Il risultato della discussione parlamentare ha completamente ribaltato questo scenario autoritario, dimostrando la forza e l’indipendenza del ramo legislativo ucraino e la sua efficacia nel rapporto di checks and balances con l’esecutivo.

L’approvazione di questa risoluzione sembra comunque una vittoria per Poroshenko. Quando le navi e i prigionieri catturati verranno rilasciati, potrà proclamare la fine dello stato di emergenza ammantato dell’aura del grande statista e comandante militare. Solo allora potrà essere chiaro se la sua strategia sia riuscita a mettere sotto scacco Yulia Tymosenko. Per ora, il presidente è in bilico tra la pazienza dei suoi elettori, ormai stanchi di questo clima di tensione intermittente, e la loro anima patriottica, che potrebbe premiarlo. Inoltre, sta giocando una partita pericolosa con gli investitori internazionali, sicuramente poco entusiasti del pericolo a cui potrebbero essere esposti i loro capitali in caso di guerra, ma di cui ha disperatamente bisogno per proseguire con le riforme.

 

Fonti e approfondimenti:

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