Site icon Lo Spiegone

Cosa è successo al G20 di Buenos Aires

G20

G20 Argentina, Wikimedia Commons, CC-BY 2.0

Tra il 30 novembre e il 1 dicembre Buenos Aires ha ospitato il tredicesimo Summit del Gruppo dei 20, il primo a svolgersi in America Latina. Esattamente dieci anni fa si è riunito il primo Summit che ha visto partecipare i capi di Stato e di governo e non più, come dal 2000 al 2008, i ministri delle finanze e i direttori o governatori delle banche centrali. Il vertice del 2008 a Washington era stato caratterizzato dalla grave crisi finanziaria e dalla recessione mondiale, a distanza di dieci anni i leader vogliono fare un bilancio e guardare a un futuro sostenibile e più equo.

Il Presidente argentino Mauricio Macri, poco dopo aver assunto la presidenza annuale del Summit nel novembre 2017, aveva dichiarato che l’agenda del vertice sarebbe stata centrata su sviluppo, equità e sostenibilità.

Costruire consenso per uno sviluppo sostenibile ed equo

Le priorities di quest’anno sono state il futuro del lavoro, le “infrastrutture” dello sviluppo sostenibile e la sicurezza alimentare, il tutto in una cornice di critica costruttiva alla globalizzazione, o meglio, della distribuzione sbilanciata dei suoi benefici in termini di crescita e sviluppo.

Nello specifico, il tema del lavoro è stato connesso allo sviluppo tecnologico e al conseguente emergere di nuove forme di lavoro che hanno modificato, e continuano a modificare, i processi di produzione in tutto il mondo. La sfida presentata è quella di evitare che tali cambiamenti portino alla disintegrazione sociale o a gravi contraccolpi in termini occupazionali e di welfare, cercando insieme soluzioni coordinate che riducano il gap tecnologico tra le diverse aree del globo e impediscano fenomeni di sfruttamento.

Il tema dello sviluppo è stato strettamente connesso con quello delle infrastrutture. Si è mostrata un’esplicita volontà di investire capitale privato per ridurre il deficit infrastrutturale tra le varie aree del pianeta, direttamente proporzionale al deficit in termini di sviluppo generale. Tali investimenti devono concretizzarsi in opere pubbliche volte a garantire sistemi di trasporto efficienti, strutture sanitarie, trasporto dell’energia e connessione digitale.

Infine, il terzo focus è stato su un “futuro alimentare sostenibile”, considerato uno dei punti chiave per la stabilità e la pace mondiale. Il tema della sicurezza alimentare è delicato: il 60% dei terreni agricoli e l’80% della produzione agricola mondiale sono concentrati nei territori dei Paesi partecipanti al G20, ciò comporta che i leader abbiano un ruolo particolarmente attivo nella ricerca e implementazione di soluzioni in merito. Ogni anno circa 10 milioni di ettari di terre coltivabili vengono danneggiate e l’erosione del suolo disponibile per la produzione agricola è destinata a danneggiare l’ecosistema, oltre a rappresentare la prima minaccia alla sicurezza alimentare mondiale futura. Pertanto l’impegno dei leader mondiali dovrebbe essere quello di coordinare una gestione sostenibile del suolo, tramite la collaborazione pubblico-privata tra istituzioni, industrie, agenzie internazionali, associazioni di produttori e lavoratori agricoli e la società civile.

La presidenza argentina ha voluto portare avanti una linea di continuità rispetto alle precedenti edizioni del Summit. In particolare si è scelto di proseguire con i focus su emancipazione femminile, lotta alla corruzione, rafforzamento della governance finanziaria e sviluppo di un sistema fiscale sostenibile ed equo, cooperazione in ambito commerciale e di investimenti, sensibilizzazione e concretizzazione nei confronti del cambiamento climatico.

Tensioni interne e contro-vertice

Non sono mancate le proteste contro l’evento internazionale, accolto con poco entusiasmo dalla popolazione.

Il Paese ha ospitato il Summit nel pieno di una forte crisi economica che ha reso necessarie ingenti sovvenzioni del FMI e, solo nell’ultimo anno in via di conclusione, un deprezzamento del 50% del peso argentino rispetto al dollaro, un’inflazione record e un sensibile aumento di povertà e disoccupazione. 

Sotto la guida del Premio Nobel per la pace (1980) Adolfo Pérez Esquivel si è organizzata la piattaforma Confluencia fuera G20 FMI. Il coordinamento ha organizzato una “settimana di azione globale” in aperta opposizione al Summit internazionale, che ha visto molte associazioni e cittadini riunirsi in dibattiti, cortei, eventi culturali, musicali e di protesta vera e propria.

Macri ha dichiarato lo scorso venerdì giorno feriale, invitando tutti i residenti della capitale ad allontanarsi per il week-end. Tutti i voli per Buenos Aires sono stati deviati, i treni e le metro completamente cancellate non solo nell’area centrale, ma in gran parte dell’area limitrofa (Gran Buenos Aires), paralizzando circa 12 milioni di cittadini.

Approssimativamente 22 mila agenti di polizia e sicurezza sono stati coinvolti nelle operazioni, considerando che contemporaneamente al Summit si sono svolte 33 iniziative anti-G20. Il tema della sicurezza è stato critico, non solo in via generale, ma anche considerando il fallimento degli agenti nel corso della finale della Coppa Libertadores: gli attacchi violenti dei tifosi del River Plate contro la squadra del Boca Juniors hanno fatto il giro del mondo, provocando non poco imbarazzo al Paese.

Partecipanti e conclusioni

Oltre ai membri ordinari (Unione Europea, Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito, Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, Australia, Arabia Saudita, Argentina, Corea de Sud, Indonesia, Messico, Messico e Turchia), sono stati invitati, come di consueto, la Spagna e i Paesi Bassi, oltre che la Jamaica in rappresentanza della comunità caraibica, Singapore per l’ASEAN, il Ruanda per l’Unione Africana e il Senegal per il NEPAD. Considerato il focus sul problema infrastrutturale hanno partecipato anche la Banca interamericana per lo sviluppo e la Banca di sviluppo CAF (Corporación Andina de Fomento). L’ospite annuale scelto dalla presidenza di turno è stato invece il Cile.

L’incontro più atteso era sicuramente quello tra Trump e Xi Jinping. I due leader hanno visioni opposte su alcuni dei temi principali discussi lo scorso weekend: cambiamento climatico e commercio con l’estero su tutti. Trump è noto per aver declassato il cambiamento climatico da emergenza globale a mistificazione della realtà a opera di scienziati democratici, oltre che per le critiche agli sconti eccessivi concessi alla Cina sul tema ambientale.

Allo stesso tempo, uno dei cavalli di battaglia del tycoon è il ritorno all’isolazionismo, con chiusura delle frontiere e imposizione di dazi, soprattutto a Cina e Unione Europea. Xi si trova invece alla guida di un Paese che, nonostante una crescita sostenuta e duratura, viene ancora ufficialmente considerato “in via di sviluppo” e sta portando avanti una linea dura contro le sanzioni statunitensi. La tensione sui dazi si inserisce nel più ampio confronto tra le due potenze tra TPP e nuova via della seta,  l’accordo saltato in sede Apec, le tensioni sul Mar cinese meridionale e la competizione tecnologica. Su questo fronte il G20 ha avuto un esito positivo, riuscendo a portare una tregua temporanea di 90 giorni alla disputa commerciale. Durante la cena decisiva per l’accordo entrambe le delegazioni hanno presentato vari dossier e tra i delegati USA erano presenti tanto i “falchi” quanto le “colombe”, a dimostrazione del dibattito interno e la preoccupazione dell’amministrazione Trump per la questione cinese.

Gli USA hanno accettato di non aumentare subito, come previsto, dal 10% al 25% le tariffe sui duecento miliardi di dollari di merci esportate dalla Cina; in cambio, la Cina si è impegnata a importare una grande quantità di prodotti agricoli, industriali, energetici e di altro tipo dagli Stati Uniti. Su questo ultimo punto partiranno subito dei negoziati bilaterali per stabilire i dettagli in merito a protezione intellettuale, barriere non tariffarie e cybersecurity. 

Meno produttivo, ma più positivo del previsto, il rapporto tra Trump e Putin. L’incontro previsto per venerdì era stato annullato all’ultimo momento, probabilmente per via dell’incidente nello Stretto di Kerch e le tensioni russo-ucraine o i recenti sviluppi del Russiagate, ma alla fine i due leader si sono cordialmente incontrati in maniera informale.

Tra Russia e Cina, invece, la prospettiva delle relazioni bilaterali è stata definita dallo stesso Xi “brillante”. Putin, ricevendo risposta positiva, ha invitato il leader cinese al Forum economico internazionale dell’anno prossimo, con sede a San Pietroburgo.

Critica anche la presenza del principe Saudita, Mohammed bin Salman, a causa del suo coinvolgimento nella guerra in Yemen e, a detta dell’intelligence occidentale (inclusa la CIA), delle sue responsabilità nell’omicidio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi. Nelle scorse settimane si è discusso addirittura della possibilità che la magistratura argentina invocasse, tramite un mandato internazionale, l’accusa nei suoi confronti per crimini di guerra e tortura. Trump si era comunque dichiarato disponibile a un incontro con il Principe nonostante la crescente opposizione al Congresso per il supporto militare statunitense all’Arabia Saudita.

Non sorprende che le conclusioni del vertice vengano presentate come una grande vittoria da Donald Trump. Dopo l’infelice epilogo dello scorso anno, gli USA si sono dimostrati poco propensi alla mediazione nel corso della due giorni e rischiavano di rimanere isolati su tutti i principali temi di discussione: ambiente, migrazioni e commercio. Il suo consigliere per la sicurezza nazionale (John Bolton) ha svolto un duro e produttivo lavoro e Trump può festeggiare l’accordo, seppur precario, per dimezzare il deficit commerciale con Pechino.

In generale, gli altri 19 Paesi hanno dovuto cedere sulla linea iniziale, ma in un contesto più che di imposizione statunitense, di neutralizzazione reciproca. Il risultato è un documento finale eccessivamente generico e, con buone probabilità, scarsamente incisivo.

Per quanto riguarda il commercio, sparisce l’ormai usuale passaggio sulla lotta al protezionismo, finora considerata necessaria alla difesa del libero mercato e ora evidentemente in contrasto con i dazi e le barriere commerciali derivanti dall’America first approach. Altro mancato inserimento è quello dell’equità, una delle parole d’ordine del Summit, in combinato disposto con le dinamiche commerciali e finanziarie globali. In cambio gli USA hanno fatto cadere uno dei veti posti inizialmente, accettando l’inserimento nel testo dell’impegno a riformare la WTO (World Trade Organization / OCM), fortemente sostenuto dagli europei.

Sull’ambiente accordo raggiunto senza gli USA: se infatti i firmatari del COP21 hanno confermato il carattere irreversibile dell’accordo di Parigi, gli Stati Uniti hanno sottolineato la loro distanza rispetto al documento: distanza confermata anche dalla mancata partecipazione alla COP24 in Polonia, il Summit che ha inizio oggi e dovrebbe portare a una mappa attuativa dell’accordo sottoscritto tre anni fa. In compenso, gli USA si impegnano a favorire “la crescita economica, l’accesso all’energia e la sicurezza, a utilizzare tutte le tecnologie e le fonti di energia disponibili, nel pieno rispetto dell’ambiente”.

Infine, sul tema migranti, ennesima conclusione generica e a favore del gigante nordamericano. Si ribadisce la preoccupazione globale per i “grandi movimenti di rifugiati” e tutte le “conseguenze umanitarie, politiche, sociali ed economiche” che necessitano azioni condivise e coordinate, ma non viene menzionato il Global Compact for Migration dell’ONU, all’odg dei leader mondiali.

A margine del G20, dopo un anno di intense trattative, è stata firmata l’intesa sul nuovo accordo commerciale tra Stati Uniti, Canada e Messico che andrà a sostituire il NAFTA. La firma arriva all’ultimo giorno in carica di Pena Nieto, scelta presa dagli altri partner per evitare di confrontarsi con il nuovo Presidente messicano, Lopez Obrador, senza aver prima concluso l’accordo. Nonostante la maggior parte del testo debba ancora essere ratificato dai tre Paesi, con la firma di questo week-end entrano in vigore una serie di misure immediate e si aprono nuove sfide.

Se gli USA, quindi, portano a casa una vittoria, il Paese ospitante può essere solo parzialmente soddisfatto. L’Argentina aveva presentato il G20 come l’occasione di rilancio del suo ruolo internazionale, speranza ben esemplificata dallo slogan “Tornare al mondo“. In realtà l’economia argentina si è dimostrata molto più fragile delle aspettative, il che ha costretto il Presidente a richiedere al FMI il più generoso prestito mai elargito nella storia dell’organizzazione.

Dai 17 incontri bilaterali che hanno avuto luogo, il Presidente ha collezionato una serie di promesse come quella di accordi commerciali con la Gran Bretagna post-Brexit, un rafforzamento delle relazioni con la Russia di Putin e l’Unione Europea oltre che il sostegno di Trump alle riforme economiche e politiche avviate nel corso del suo mandato. Promessi anche 5 miliardi di dollari di investimenti in ferrovie, energia e infrastrutture dalla Cina, che si aggiungono ai circa 3 miliardi complessivi di investimenti collezionati dalle altre bilaterali: un ottimo risultato per un Paese ancora guardato con sospetto dagli investitori internazionali. Chiaramente l’Argentina dovrà fare in modo che la situazione politico-economica rimanga più o meno stabile e le elezioni presidenziali del prossimo anno sono il principale scoglio per la consolidazione della ripresa del Paese latinoamericano.

La debolezza dei contenuti, la moderatezza del linguaggio e il livello di effettiva mediazione e compromesso risultanti dal documento finale non sono sicuramente positivi. Le dinamiche del vertice appena concluso sono l’ennesima riprova dell’insufficienza del multilateralismo nell’attuale panorama delle relazioni internazionali. Le logiche bilaterali continuano ad essere il migliore strumento in un contesto in cui la dimostrazione dei rapporti di forza ha la meglio sulla ricerca della conciliazione e le sfide globali rimangono spesso in secondo piano.

Fonti e Approfondimenti

Exit mobile version