Il Decreto Salvini e i diritti a somma zero, intervista a Davide Petrillo

Il Decreto Salvini è realtà, dopo aver analizzato la normativa italiana in materia di gestione dei migranti e il modello SPRAR andiamo ad ascoltare il parere di un esperto in materia. Davide Petrillo è dottorando in Diritto Europeo all’Università di Strasburgo, in Teoria e Storia del Diritto presso l’Università di Firenze e membro de l’Altro diritto, Centro di documentazione su carcere, devianza e marginalità.

Richieste di asilo, protezione sussidiaria e protezione umanitaria: un quadro di norme costituzionali e internazionali molto complesso. Da dove iniziare?

Inizierei chiarendo una cosa: l’articolo 10 della nostra Costituzione sancisce che lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Parliamo di un concetto diverso e ben distinto dalla condizione del rifugiato sancita dagli accordi di Ginevra. Il rifugiato secondo la Convenzione del 1951 e il diritto internazionale ed europeo è da intendersi come una persona che si trovi nella situazione di un fondato timore di una persecuzione personale in ragione del sesso, della religione, delle sue opinioni politiche, eccetera. Altra cosa è poi la protezione sussidiaria, che è anche di derivazione internazionale, poi introdotta nel diritto europeo e che si attiva quando c’è un rischio di incolumità legata a conflitti.

La giurisprudenza Italiana, oltre che il legislatore, a partire dal 1998 con il Testo Unico sull’immigrazione, aveva iniziato a creare una forma di protezione legata a tutta una serie di questioni non tipizzate dalle leggi internazionali. Molto importante, una recente sentenza della Cassazione aveva iniziato anche a dare indicazioni più precise su come utilizzare questo strumento ibrido, ma fondamentale proprio perché permetteva di dare tutela a tutta una serie di situazioni che non rientravano nei criteri dell’asilo secondo Ginevra e della protezione sussidiaria. Tutto ciò proprio per dare attuazione all’articolo 10 della Costituzione.
Con l’abolizione di questo strumento si crea evidentemente un vuoto di tutela, che si scontra con il dettato costituzionale.

Il profilo dell’incostituzionalità sembra pesare su questo decreto, quali altri fronti sono problematici?

Per esempio la revoca della protezione internazionale dopo una condanna di primo grado per certi reati (violenza sessuale etc.). Chiunque commetta un reato deve subire un processo e scontare le pene che ne derivano, senz’altro. Ma questa cosa non ha niente a che vedere con il fatto che quella stessa persona abbia o meno il diritto ad una forma di protezione internazionale a fronte di requisiti esistenti e accertati da un giudice. Un conto è non concedere l’asilo poiché non sussistono i requisiti, un altro è negare l’asilo anche se sussistono i requisiti qualora ci fosse una condanna per un fatto di reato. Logicamente e dal punto di vista del diritto le due cose non hanno punti di contatto.

Poi c’è la questione aberrante della revoca della cittadinanza italiana agli stranieri che l’abbiano ottenuta dopo la maggiore età qualora siano condannati in via definitiva per reati connessi al terrorismo. Inclusi gli stranieri adottati da maggiorenni con adozione ordinaria. È per la verità un vecchio dibattito, François Hollande fece la stessa cosa dopo gli attentati del 13 novembre 2015.

Su questo punto, se da un lato il divieto di rendere qualcuno apolide è tassativo in diritto internazionale (e quindi questa nuova legge potrà essere utilizzata solo per chi abbia eventualmente una doppia cittadinanza), dall’altro si introduce un’eccezione evidentissima al principio di uguaglianza sancito dal nostro art. 3. Un cittadino italiano “purosangue”, qualora condannato per terrorismo non sarebbe toccato da questa legge, mentre uno straniero “divenuto cittadino” potrebbe vedersi revocata la cittadinanza. È evidente che si tratta di una previsione che creerebbe due cittadinanze distinte.

Perché alla fine è il concetto stesso di cittadinanza a farne le spese, se suddivisa al suo interno…

Quest’idea che esistano cittadini di serie a, di serie b ed anche gente che non ha nessun diritto è agghiacciante ed è l’ennesimo atto di un disegno che ci condurrà alla frammentazione della soggettività giuridica e all’esclusione sociale, per cui sulla base di uno status ci sono diritti diversi. C’è il cittadino, c’è lo straniero residente di lungo periodo, quello con un permesso per breve periodo e poi c’è il richiedente asilo, che non solo non può andare fuori dal paese di primo arrivo a causa di Dublino e si trova dunque bloccato in Italia, ma a questo si vuole aggiungere anche la revoca dello status dopo la sentenza di primo grado, perché il primo grado in un sistema che ne ha tre? Personalmente oltre a ritenere ingiuste le novità del decreto sicurezza penso che abbiano poca consistenza, e lo si vedrà nelle aule di giustizia, compresa la Corte Costituzionale.

Insieme alla previsione della revoca della protezione c’è poi una limitazione del patrocinio gratuito in caso di inammissibilità della domanda in appello, una combo che potrebbe portare a quali effetti?

In breve, non renderà attivabili i pochi diritti che rimangono sulla carta. La legge dice che tutti hanno diritto a un avvocato per attivare questi dinanzi a un giudice, per accedere alla giustizia. Come faccio a fare ricorso davanti a una richiesta di protezione umanitaria negata se non ho i soldi e non ho più un patrocinio gratuito? Si va contro l’articolo 6 della convenzione CEDU. Parlando di effetti possiamo dire che il tasso di accoglimento in appello dei permessi di soggiorno per motivi umanitari e di permessi sussidiari è molto variabile in Italia ma arriva a punte del 70% rispetto al totale. Su cento persone che fanno appello dopo un diniego da parte della commissione territoriale, un numero importante di queste hanno buone probabilità di ricevere la protezione in appello. Limitare il patrocinio gratuito nei casi di inammissibilità della domanda in secondo grado è una misura che va nella direzione di comprimere il diritto all’accesso alla giustizia. Nella pratica, fortunatamente, ci saranno le tante associazioni che attualmente operano in diversi settori che svolgeranno questo compito.

Il decreto colpisce anche un simbolo “politico” come il modello SPRAR, quali saranno gli effetti?

E’ un attacco politico ad un sistema alternativo di gestione dei richiedenti asilo. In Francia nonostante migliaia di associazioni e cooperative siano attive un migrante su due dorme per strada. In Italia eravamo riusciti a garantire un pasto e un letto virtualmente ad ogni richiedente per il tempo necessario all’esame della sua domanda. Il punto è semplice, l’alternativa allo SPRAR sono i campi. Ma attaccare il modello SPRAR è facile perché, escluso qualche modello virtuoso come Riace, non ha comportato una effettiva integrazione, in mancanza di politiche pubbliche a sostegno dei territori. Fatta questa premessa c’è da dire che individuare poche grandi città come sedi di enormi strutture d’accoglienza con grandi numeri di persone porterà solo a un aumento di criminalità e ghettizzazione. Per non parlare dell’azzeramento dei diritti delle persone, in queste strutture che a volte sono veri e propri “campi”. E’ d’altronde l’unica cosa che Salvini può fare quasi gratis, perché non è credibile la prospettiva di rimpatriare grandi numeri di persone, sia per questioni economiche che per motivi giuridici. “Campizzare” migliaia di persone senza risorse, senza prospettive, senza diritti vuol dire aumentare la microcriminalità e generare caos nei territori circostanti. Oltre che azzerare i diritti di un’ampia fascia di popolazione “residente”.

Cosa non ha funzionato nel modello SPRAR?

La mancanza di un piano pubblico sull’integrazione, che vuol dire mancanza di finanziamenti adeguati ma anche di prospettive politiche e di regole e controlli. Da un lato il governo non ha capito che investire nell’integrazione è investire nella sicurezza. Ma non parliamo solo di errori delle classi politiche nazionali ma anche a volte del pressappochismo delle amministrazioni e della scarsa formazione del personale. Sono le conseguenze della cosiddetta “emergenza”.

Andiamo verso una società di diritti a somma zero?

Salvini sa benissimo che più integrazione equivale a più sicurezza, per questo va in una direzione opposta. Lui ha costruito tutta la sua propaganda sull’accusa delle minoranze, che vengono raccontate e fatte immaginare come coloro che vengono a farci mangiare un pezzo sempre più piccolo di una torta. Questa teoria dei diritti a somma zero, per cui c’è un paniere di diritti la cui somma è sempre pari a zero, implica che più siamo meno ne godiamo. Ma non è così, vale per una torta ma non può valere nell’economia e tantomeno nel diritto.
Il populismo, si uno ci pensa, poggia proprio su questo. Costruire e proiettare una nuova immagine di “popolo”, che è ethnos e non demos. Creare un nuovo concetto di popolo, in opposizione all’elite, si, ma anche allo straniero. Questa idea di creare nuovi recinti, di mettere gli uni contro gli altri è antistorica. La democrazia, infatti, nel corso dei secoli è stata sempre più inclusiva, ma nel passaggio al nuovo millennio è iniziata una fase escludente della democrazia, che si poggia sulla erronea convinzione che solo escludendo si possa crescere, invece è l’esatto opposto.

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