La Dichiarazione universale dei diritti umani

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Il 10 dicembre scorso si è celebrato il 70° anniversario della Dichiarazione Universale dei diritti umani, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, come risultato della piena consapevolezza e coscienza etico-sociale delle atrocità compiute durante il conflitto mondiale.

La Dichiarazione segue a un’altra tappa di vitale importanza del panorama sociogiuridico internazionale, ossia quella della Carta delle Nazioni Unite – anche detta Statuto delle Nazioni Unite. La Carta fu firmata il 26 giugno 1945 a San Francisco, al termine della Conferenza delle Nazioni Unite sull’organizzazione internazionale, ed entrò in vigore il 24 ottobre 1945.

 

La Carta delle Nazioni Unite

La Carta delle Nazioni Unite prende vita nell’immediato termine della Seconda Guerra Mondiale e richiama con forza la repulsione, ma anche la consapevolezza, delle atrocità a cui si era assistito durante il conflitto. Pertanto decide di individuare come obiettivi fondamentali dell’azione della politica delle Nazioni Unite quelli di “riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo[…], a creare le condizioni in cui la giustizia ed il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati e dalle altri fonti del diritto internazionale possano essere mantenuti, a promuovere il progresso sociale ed un più elevato tenore di vita in una più ampia libertà, e per tali fini a praticare la tolleranza ed a vivere in pace l’uno con l’altro in rapporti di buon vicinato […].

Fin da subito, l’ONU ha avuto chiaro che la risoluzione pacifica delle controversie sarebbe stata il fondamento della comunità internazionale, al tempo profondamente segnata dalla guerra e da politiche di odio e terrore.

 

La Dichiarazione Universale dei diritti umani

Proprio per questo motivo, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1946 incaricò il Consiglio Economico e Sociale – organismo creato dallo Statuto – di creare delle commissioni che si occupassero della promozione dei diritti dell’uomo. Venne così istituita la Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, la cui Presidente fu Eleanor Roosevelt, che portò alla redazione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

Ecco che per la prima volta, nel panorama internazionale, si presentava un documento capace di racchiudere in sé i diritti fondamentali dell’uomo, abbracciato in tutti gli aspetti della sua vita individuale e collettiva come soggetto legittimato a ricevere tutela nazionale e sovranazionale.

La Dichiarazione – definita come la Magna Charta dell’umanità” da Eleanor Roosvelt – rappresenta il punto più alto della realizzazione dei principi del diritto umanitario internazionale, sebbene conti solo Preambolo e 30 articoli in totale che però attraversano trasversalmente tutti gli aspetti della vita dell’individuo.

Per quanto necessaria, tuttavia, essa non ha un contenuto originale o innovativo, racchiudendo principi già noti alle esperienze costituzionali degli Stati – in particolare, vi sono richiami alla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789 ed alla Dichiarazione di Indipendenza americana. Ma questo non diminuisc il suo valore: la Dichiarazione si afferma infatti come pilastro d’azione e di interpretazione del diritto umanitario internazionale, e ancora oggi risulta essere il documento fondamentale per il riconoscimento dei diritti umani.

Facendo un rapido excursus sul contenuto della Dichiarazione, consideriamo il Preambolo, nel quale viene racchiusa la triste consapevolezza degli scempi della guerra e la coraggiosa volontà di evitare una loro ripetizione futura. Qui si esplicita che la Dichiarazione è da considerarsi come “ideale comune da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le Nazioni, al fine che ogni individuo ed ogni organo della società, avendo costantemente presente questa Dichiarazione, si sforzi di promuovere, con l’insegnamento e l’educazione, il rispetto di questi diritti e di queste libertà e di garantirne, mediante misure progressive di carattere nazionale e internazionale, l’universale ed effettivo riconoscimento e rispetto tanto fra i popoli degli stessi Stati membri, quanto fra quelli dei territori sottoposti alla loro giurisdizione”.

Ciò che colpisce è che l’istruzione e la cultura vengono individuate come strumenti eccellenti per prevenire, e nel caso combattere, le manifestazioni di odio . Ci si potrebbe chiedere perchè, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, in un panorama umanitario ed economico desolato, l’attenzione dei rappresentati degli Stati si sia concentrata proprio su questo aspetto. La risposta, intuitiva ma mai banale, risiede nella consapevolezza del potere dell’ignoranza e della paura del diverso. I tempi – ora come allora – erano segnati dall’odio e dall’inquietudine fomentati da preconcetti e pregiudizi, e pertanto si è manifestata la necessità di improntare l’attività giuridica, e non solo, sovranazionale alla conoscenza. Perciò l’art. 26 è stato dedicato al tema dell’istruzione e dell’educazione e dispone, al secondo comma, che: “L’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l’amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l’opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace”.

I 30 articoli di cui è composta la Dichiarazione offrono, nella loro brevità, una copertura totale del patrimonio di diritti dell’individuo: sono infatti riportati diritti che ineriscono direttamente al singolo, come ad esempio il diritto all’uguaglianza giuridica e sociale, il diritto alla vita ed alla dignità umana (artt. 1-12); così come si trovano diritti che riguardano l’aspetto sociale dell’individuo, quale il diritto all’istruzione, il diritto di associazione ed il diritto di partecipazione attiva politica (artt. 26, 19-21); infine, vi sono diritti riconosciuti al singolo in quanto parte dell’ordinamento internazionale, laddove viene sancito il diritto di lasciare il proprio paese in caso di persecuzione o di propria volontà (artt. 13-15).

L’art. 30, in chiusura della Dichiarazione, riferisce esplicitamente che “nulla nella presente Dichiarazione può essere interpretato nel senso di implicare un diritto di un qualsiasi Stato, gruppo o persona di esercitare un’attività o di compiere un atto mirante alla distruzione di alcuno dei diritti e delle libertà in essa enunciati”.

Interessante notare che, in questo caso, il monito è generale: non esiste nessun soggetto di diritto che possa “distruggere” – con una chiara valenza materialista del termine- i diritti universali dell’uomo, il quale nasce con questo isieme di diritti, di cui non può essere privato.

La Dichiarazione ha avuto una forza penetrante nell’ordinamento internazionale, eppure formalmente manca di vincolatività. Essa è infatti, per sua natura, un documento che non assume efficacia cogente nei confronti dei sottoscrittori, ma vale come documento “nuvola” che deve ispirare l’attività di tutti coloro che hanno accettato la sua vigenza.

In realtà, anche questo aspetto è stato discusso: nel corso degli anni, gli Stati hanno invocato spesso la forza cogente della Dichiarazione a supporto di vere e proprie controversie interstatali, tanto che ormai si è propensi a riconoscere la sua valenza di norma consuetudinaria.

 

International Bill of Human Rights

A seguito della sua creazione, si sentì l’urgenza e la necessità di procedere ulteriormente con lo sviluppo della tutela e del riconoscimento delle disposizioni contenute nella Dichiarazione. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite incaricò allora la Commissione dei Diritti Umani di predisporre una bozza di trattati che – in virtù della veste giuridica ricoperta – potessero servire come supporto vincolante alla Dichiarazione.

Da questa operazione vennero prodotti, dopo sei anni di lavori, due patti: il Patto internazionale sui diritti civili e politici ed il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali – firmati nel 1966 ed entrati in vigore nel 1976 con un Protocollo addizionale ciascuno. Come si può intuitivamente comprendere dalla loro denominazione, essi contengono una lista più ampia dei diritti in nuce elencati dalla Dichiarazione; l’insieme di questi quattro documenti prese il nome di International Bill of Human Rights.

Questa decisione parte da una considerazione pacifica: il catalogo dei diritti riconosciuti all’essere umano è per definizione in continua evoluzione, e deve seguire i progressi e gli sviluppi socio-culturali dell’umanità. Inoltre, grazie alla creazione di questo corpus che riunisce atti così importanti, si vuole impedire che, attraverso le leggi dello Stato, i diritti umani possano subire delle compressioni ingiustificate.

La capacità ispiratrice della Dichiarazione, per fortuna, non si è arrestata alla creazione del corpus dell’International Bill of Human Rights, ma ha dato vita ad una felice – e necessaria – prolificazione di trattati, carte ed accordi internazionali. Questi, traendo ispirazione dal contenuto della Dichiarazione, ospitano una trattazione più ampia dell’insieme dei diritti riconosciuti all’uomo, con la capacità di ricoprire trasversalmente tutti gli ambiti della vita dell’individuo.

Svettano, in tal senso, la Convenzione sui diritti dell’infanzia del 1989, così come la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne del 1979 – che pagano un debito intellettuale nei confronti della Dichiarazione stessa.  La Dichiarazione ha gettato inoltre le basi per la Convenzione contro la tortura del 1984 – dato lo specifico richiamo al divieto di tortura di cui all’art. 5 (“Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, inumani o degradanti.”) – e per la Convenzione sullo status dei rifugiati del 1951.

Mettendo insieme tutti i pezzi di questo puzzle giuridico, emerge non solo il ruolo di guida della Dichiarazione per i documenti successivi, ma anche il suo ruolo di garante generale del suo contenuto giuridico. Inoltre, la Dichiarazione evidenzia un atteggiamento razionale nell’affrontare la questione “diritti umani”. Essa parte dalla consapevolezza che la limitazione dei diritti è coessenziale al loro godimento, così come il rispetto dell’autorità e dello Stato è connaturato alla vita sociale umana, in un dinamismo conflittuale ma vitale.

 

 

Fonti e Approfondimenti

Assemblea generale delle Nazioni Unite, Dichiarazione Universale dei diritti umani, 10/12/1948

http://www.un.org/en/sections/universal-declaration/history-document/index.html

http://unipd-centrodirittiumani.it/it/dossier/La-Dichiarazione-Universale-dei-diritti-umani-commentata-dal-Prof-Antonio-Papisca/3

Leave a comment

Your email address will not be published.


*