Il personaggio dell’anno Medio Oriente: Mohammad bin Salman

Mohammad bin Salman
@Ash Carter - wikimedia commons - Licenza: Attribution 2.0 International (CC BY 2.0)

La disputa per il titolo di Personaggio dell’anno per l’area Medio Oriente ha visto sfidarsi due personaggi che ormai da anni sono protagonisti della scena politica regionale e internazionale. Tra colpi accusati e vittorie incassate, il 2018 è stato un anno denso sia per Bibi Netanyahu che per Mohammad bin Salman.
I nostri lettori hanno assegnato il primo posto al giovane saudita: principe ereditario di una delle economie più influenti del pianeta, MbS è il volto del cambiamento, delle riforme e della repressione efferata.

Nel 2009, appena ventiquattrenne, venne nominato consigliere speciale del padre, al tempo governatore di Riyad, e nel 2015, anno in cui quest’ultimo divenne Re dell’Arabia Saudita, MbS iniziò la sua vera ascesa al potere. Investito di numerose cariche istituzionali, la sua figura ha assunto il controllo della politica interna ed estera, delle forze armate e di intelligence, in un accentramento di poteri senza eguali nella storia della monarchia all’indomani della morte del proprio capostipite, bin Saud, nel 1953. La monarchia saudita è infatti un affare di famiglia: il sovrano condivide il proprio potere con i diversi prìncipi, ognuno dei quali ricopre cariche importanti nella sfera politico-economica del Paese. Ma oggi l’equilibrio della casa reale non sembra più essere lo stesso.

MbS mina lo status quo di Casa Saud, promuove la modernizzazione del Regno e sfida diversi tabù religioso-culturali. Appena trentenne, primo della seconda generazione di eredi ad accedere potenzialmente al trono, il principe ereditario sembra aver individuato la ricetta del cambiamento per un regno che sopravvive grazie alle rendite derivanti dall’export di petrolio, e in cui più della metà della popolazione è costituita da under 30. Tuttavia, la scalata al potere è un percorso impervio, e durante il 2018 non sono mancati eventi che hanno minato reputazione, affidabilità e credibilità di bin Salman.

La grande opposizione a MbS arriva dalla famiglia reale stessa, composta da migliaia di membri e divisa in fazioni interne. Diversi prìncipi senior appartenenti alle frange più conservatrici hanno contestato saldamente l’agenda del principe, il quale però ha reagito con il pugno di ferro. Ma nonostante arresti, detenzioni e minacce, il peso di chi si contrappone alle linee di bin Salman gioca ancora un certo ruolo negli equilibri di palazzo. A dimostrazione di ciò, negli scorsi mesi è stata presa la decisione di posticipare a data da destinarsi la quotazione in borsa della Saudi ARAMCO, compagnia petrolifera nazionale la cui parziale privatizzazione (5% del suo valore) era mirata a sostenere i progetti economici delineati in Vision 2030, costringendo Riyad a una trasparenza senza precedenti.

Parte delle riforme promosse dal principe hanno poi coinvolto anche una sorta di “apertura” verso giovani e donne. Nel corso del 2018 sono stati aperti cinema, teatri e stadi, mentre a giugno è stato cancellato il divieto di guida per le donne. Se queste riforme «liberali» hanno fatto del principe una figura acclamata dalla maggior parte degli osservatori occidentali nonché da molti dei sauditi che sostengono il cambiamento in una società ancora fortemente legata a dogmi religiosi e culturali, le voci appartenenti a un altro fronte di opposizione sono uscite dal silenzio al quale finora erano state relegate.

A discapito delle apparenze, la lotta alla segregazione di genere è ancora lontana dall’essere vinta. Questo è uno dei punti contestati da molti attivisti sauditi residenti nel Regno o espatriati, assieme alle denunce per la mancata libertà di parola, di stampa e di espressione. L’estate 2018 ha visto l’Arabia Saudita confrontarsi con le accuse di compiere arresti arbitrari ai danni di attivisti, giornalisti, e di chiunque si esprima in disaccordo con il futuro monarca, dando luogo anche a una crisi diplomatica con il Canada.

Sempre nel corso dell’estate, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno lanciato un attacco contro Hodeida, città portuale dello Yemen di importanza strategica e in mano alle forze Houthi. A nulla sono valsi gli appelli della comunità internazionale: nella speranza di strappare alle forze ribelli il controllo di uno dei principali scali del Paese, attraverso il quale entra il 70% degli aiuti umanitari destinati allo Yemen, le forze della coalizione sunnita hanno portato avanti un’offensiva durata mesi, i cui scontri si sarebbero poi intensificati nel mese di novembre. Fu proprio MbS a trascinare il Regno nella guerra yemenita nel lontano marzo 2015, quando, ricoprendo il ruolo di Ministro della Difesa, decise di intervenire massicciamente nel conflitto interno che si andava consumando a sud dei propri confini, “trasformandolo” in una guerra per procura contro l’arcinemico Iran. Un conflitto che, trascinato ad oltranza anche a causa degli interventi esterni, ha portato a una delle crisi umanitarie più gravi degli ultimi decenni.

Se da un anno a questa parte il mondo aveva iniziato guardingo a dipingere MbS come un leader autoritario e aggressivo, è stato solo nel novembre 2018 che la retorica attorno alla sua figura è cambiata drasticamente. L’uccisione del giornalista di fama internazionale in autoesilio negli States Jamal Khashoggi ha richiamato l’attenzione del mondo intero sul regno saudita, portando sotto la luce dei riflettori il lato oscuro del principe.

Tuttavia, nonostante le indiscrezioni su un possibile cambio di guardia nella leadership del Paese, di ripercussioni a livello internazionale sia sotto il profilo politico che economico, oggi MbS è ancora dove si trovava tre mesi fa. L’apparente immunità di cui sta godendo il principe ereditario si deve in parte al peso che l’Arabia Saudita detiene negli equilibri mediorientali e internazionali e ai legami economici che intrattiene con le varie potenze mondiali, e in parte al comprovato clima di paura nel quale sono costretti i suoi oppositori.

Nel frattempo, perfettamente in linea con le posizioni diplomatiche saudite prima del più recente interventismo, Riyad ha continuato a proporsi come forza mediatrice nel panorama regionale e garante della stabilità economica di paesi amici. La mediazione emiratino-saudita è stata infatti cruciale per arrivare alla firma dello storico accordo di pace tra Etiopia ed Eritrea nel settembre 2018 a Gedda: la riconciliazione ha difatti aperto le porte a futuri rapporti economici tra le potenze del Golfo e i paesi del Corno d’Africa. Dall’altro lato, durante il 2018 l’Arabia Saudita ha concesso prestiti a tassi agevolati a diversi paesi tra cui Pakistan, per un valore di 6 miliardi di dollari, Giordania, stanziando parte dei 2.5 miliardi di dollari messi a disposizione assieme a Kuwait ed Emirati Arabi, Tunisia per un valore di 500 milioni di dollari (dove peraltro la visita di MbS nel paese aveva scatenato proteste da parte della popolazione).

Il 2018 è stato un anno in discesa per MbS. Ne hanno risentito la sua popolarità e la sua reputazione: il lato oscuro della sua persona ne ha fatto un alleato «tossico» per i paesi occidentali. Eppure, allo stato delle cose, il principe mantiene salda la sua posizione. Non si inserisce di certo nel team dei buoni, ma la sua personalità è indubbiamente una delle più incisive e determinanti nel quadro politico mondiale.

Fonti e approfondimenti

https://www.al-monitor.com/pulse/originals/2018/12/saudi-arabia-crown-prince-mbs-awful-year-yemen-khashoggi.html?utm_campaign=20181220&utm_source=sailthru&utm_medium=email&utm_term=Daily%20Newsletter

 

Fai clic per accedere a saudi_arabia_ispi_report_2018.pdf

Leave a comment

Your email address will not be published.


*