Omosessualità in Medioriente: intervista a Nicolamaria Coppola

Omosessualità Medio Oriente
@אריקה שפיגל - Wikimedia Commons - Licenza: CC BY 2.5

Oggi, con l’aiuto di Nicolamaria Coppola, cerchiamo di analizzare il rapporto tra omosessualità e mondo arabo islamico in Medio Oriente. Nicolamaria Coppola è segretario particolare della viceministra agli Affari Esteri Del Re e dottorando in Applied Social Sciences all’Università di Roma La Sapienza, dove sta lavorando a un progetto di ricerca legato proprio al tema dell’omosessualità in Medio Oriente. Ha lavorato in Iraq, Giordania e Libano e ha scritto un volume sul tema intitolato “Omosessualità in Medio Oriente: identità gay tra religione, cultura e politica” (Aracne editrice).

Partiamo dalla questione di genere e da termini come “orientamento sessuale”. Nel tuo libro affermi che, nel mondo arabo islamico, il focus viene posto sull’atto sessuale, e che invece non si può parlare di identità sessuale. Perché non è possibile?

Non è possibile parlare di orientamento sessuale perché nell’Islam si parla di “unicità dell’esistente”. Di conseguenza, la persona è intesa come un tutt’uno con il mondo circostante e l’universo creato da Dio. Questo ragionamento porta con sé l’interpretazione che esista solo il concetto di identità, e non quello di orientamento sessuale, che, va ricordato, è un concetto nuovo anche nel mondo occidentale. Ricordiamoci, infatti, che l’organizzazione mondiale della Sanità ha affermato che l’omosessualità rientra nel concetto di attrazione sentimentale erotica solo negli anni ’90. Il concetto dell’unicità dell’esistente, dell’essere stato creato da Dio in quanto uomo o in quanto donna, non prevede nient’altro che vada aldilà di questo schema semplice. Questo fattore influisce molto sul modo in cui l’omosessualità viene bollata e sanzionata. Difatti, non è il comportamento omosessuale a essere punito, ma quello sodomita, cioè quello dell’atto sessuale. Non si può sanzionare un orientamento sessuale se questo concetto non esiste. Questo approccio deriva dalle scritture sacre: nel Corano, come nella Bibbia, la condanna va verso la sodomia come comportamento e atto, non come identità sessuale.

Arrivando alle sacre scritture e all’esegesi del Corano, la condanna della sodomia arriva proprio dalla storia di Lot. Esistono diverse interpretazioni di questo passaggio: alcune di esse rigettano la condanna dell’omosessualita, permettendo di fatto a Paesi come la Giordania di non criminalizzare l’amore verso lo stesso sesso. Ci puoi spiegare meglio queste visioni? 

Partiamo dall’assunto oggettivo che il Corano ha 14 sure e 6236 versetti, e solo in 33 versetti troviamo dei riferimenti alla questione dell’omosessualità. In questi, come tu dici, è contenuta la storia di Lot. Per ricapitolarla: Lot, nipote di Abramo e uno dei profeti secondo il Corano, viveva a Sodoma. Quando Dio decise di distruggere la città per empietà, mandò due angeli ad avvertirlo. La popolazione, però, individuò i due stranieri e cercò di aggredirli. Quando Lot offrì le sue figlie in cambio, questa le rifiutò: nel momento della violenza, Dio accecò la folla e Lot riuscì a scappare con la propria famiglia. Tuttavia, durante la fuga, anche la moglie del profeta venne punita per lo stesso crimine e tramutata in statua.

La lettura sessuale che molti esegeti nel passato hanno dato di alcuni termini e di alcuni versetti, dal mio punto di vista non regge. La stessa storia di Lot è molto controversa. La vicenda parla di questo abominio di cui non si erano mai macchiati prima gli abitanti di Sodoma, e che gli stessi vorrebbero compiere verso gli angeli. Tuttavia, assieme agli abitanti di Sodoma, anche la moglie di Lot venne punita per il medesimo crimine. La sua figura più di tutti metterebbe in luce la debolezza della condanna alla sodomia: infatti, essendo lei una donna non avrebbe potuto macchiarsi del crimine di sodomia verso gli angeli. Io sposo l’interpretazione della scuola malikhita, la quale vede in questi versetti la condanna alla disobbedienza a Dio e alla violenza verso l’ospite più che all’omosessualità.

Mentre la religione cattolica e quella ebraica si riconducono a delle leggi canoniche, considerate tali perché esiste una struttura interna, la religione musulmana ne è priva: è proprio qui che emerge il grande problema che vi è tra omosessualità, Medio Oriente e Islam. Con la mancanza di una struttura e di una gerarchia interna alla religione musulmana, si finisce per dare molta più importanza alle varie interpretazioni della stessa. Queste, poi, differiscono anche all’interno delle stesse scuole coraniche con rapporti di territorialità: ad esempio, l’interpretazione malikhita presente nel Mashrek è diversa da quella malikhita della Giordania.

Da questo ragionamento possiamo arrivare a due assunti fondamentali. Primo, parlare di condanna islamica dell’omosessualità è una cosa folle, anche se spesso viene data come certa e ovvia. Secondo, proprio a causa della natura non gerarchica della religione musulmana, non possiamo ragionare a compartimenti stagni riguardo al futuro. Non vi è alcun rapporto di necessarietà tra la realtà dei fatti oggi e come sarà la posizione islamica sulla questione in futuro.

Nel tuo libro spesso dici che l’approccio mediorientale all’omosessualità è simile a tutte le altre cose proibite, quindi legato al “mondo dell’apparenza”: finché l’omosessualità non risulta nella sfera pubblica, non è un problema.

Esatto. Ciò che conta è l’apparenza, e contando l’apparenza si entra in una situazione di grande ipocrisia. Nel mio percorso di vita in Iraq, Giordania e Libano ho appurato che vi sono canoni e norme sociali che sono sempre stati così e devono continuare a esserlo, e non possono essere in nessun modo violati. Fino a quando queste regole non vengono violate nel pubblico, nel privato è permesso fare qualsiasi cosa. Questo si può vedere bene con un dato, quello degli accessi ai siti porno o ai siti di gay dating: i due Paesi con più accessi sono l’Iran e l’Arabia Saudita, dove vi è la pena di morte per il reato di sodomia.

Nel libro tu parli di un termine che viene utilizzato per indicare il controllo sociale: “berghegh”. Le leggi, la polizia e i servizi di sicurezza giocano un ruolo centrale nel controllo sull’omosessualità, ma tu dici che il lavoro maggiore lo svolge autonomamente la società, che si autocensura attraverso questo “berghegh”. Puoi spiegarci meglio? 

La parola indica una pratica che fino agli anni ’80 era presente anche in Italia con il delitto d’onore, e che ancora oggi è una realtà in alcune zone interne di alcune regioni italiane. Vi sono delle regole che non devono essere messe in discussione per evitare che la società “sparli” e arrechi danno all’onore della famiglia. L’omosessualità non deve essere un tema di discussione, altrimenti può creare imbarazzo. Proprio per questo, la grande vittoria dell’attivismo gay dopo la Rivoluzione dei Gelsomini in Tunisia è stato riuscire a trasformare il tema in una questione nazionale, inserendolo nell’agenda politica del Paese e nel lessico della gente. Ammettere che l’omosessualità esiste è già uno sviluppo positivo.

La rottura del controllo sociale e di questa regola dell’onore passa anche attraverso i termini che vengono usati per indicare il fenomeno. “Omosessuale” e “omosessualità” in arabo sono dei termini “falsi”, creati poco tempo fa per indicare in modo accettabile questa dimensione. L’uomo della strada, però, la maggior parte delle volte usa termini osceni legati all’atto sessuale, che alimentano il circolo vizioso dell’onore e del disonore. La lotta linguistica, di conseguenza, è anche una battaglia per i diritti stessi.

Guardando la mappa della criminalizzazione dell’omosessualità in Medio Oriente, vediamo come risultano evidenti due cosiddette “isole felici”: la Giordania e lo Stato di Israele. In tutti e due i casi l’omosessualità non è illegale: questo comporta un vero cambiamento o è solo un fatto formale?

Diciamo che cambia: legalmente lo Stato non può in alcun modo incriminarti per questa cosa. Israele è un caso un po’ a parte, perché parliamo di un’altra religione e di una società occidentalizzata, e dunque la situazione cambia leggermente. Torniamo al caso giordano. A fianco della mera questione legale vi sono anche altre questioni importanti, come ad esempio la donazione del sangue – che non è permessa in alcuni Paesi se si è accusati di omosessualità – o le cure mediche nel momento del cambio di sesso. Lo Stato giordano accompagna il cittadino lungo tutto il percorso di transizione sessuale. Va quindi detto che è molto avanzato, anche solo se pensiamo che la Giordania ha decriminalizzato l’omosessualità nel ’52, mentre la Gran Bretagna lo ha fatto solo nel ’67.

Ci sono però due questioni che portano a galla la condanna sociale che è presente anche in Giordania. La prima è legata ai rapporti pre-matrimoniali, che rimangono comunque frutto di vergogna sociale; la seconda è invece legata all’idea del consenso. La legge giordana, infatti, prevede che i rapporti sessuali siano permessi tra persone consenzienti con più di 14 anni di età. La parola “consenziente” crea dei problemi, ed è proprio questa che molti giudici e avvocati usano come appiglio. In nessun Paese del Medio Oriente è ormai conveniente produrre una condanna per omosessualità, perché il tema è caldo in tutto il mondo e la questione può facilmente attrarre i riflettori internazionali. È più facile accusare una persona di stupro: questo succede molto in Iran, ma anche in Giordania.

Per fare un esempio che renda l’idea della situazione giordana, prendiamo Amman. Ad Amman vi sono locali apertamente gay o gay friendly, i cui proprietari vivono relazioni sentimentali alla luce del sole, come il proprietario del Book@Cafè. Questa è una grande conquista per la comunità gay, però allo stesso tempo ci sono delle limitazioni, non bisogna eccedere. Di conseguenza, non è possibile fare un party al Book@Café per la settimana del Rainbow ad Amman, perché romperebbe quel limite, imposto dalla società araba e non dal governo giordano, creando scandalo.

Per finire, ti volevo chiedere secondo la tua opinione: è dunque possibile essere gay e musulmano? Non solo da un punto di vista di compatibilità del pensiero individuale, ma anche del fatto di poter accettare di rimanere in una comunità che in qualche modo ti condanna apertamente e in tutte le tue forme.

Omosessualità e Islam sono perfettamente compatibili perché non vi è nessun seme di condanna particolare islamico verso qualche cosa che è percepito come anormale. Possono esserci gay islamici come vi sono gay cristiani, gay ebrei, etc. Per rispondere alla seconda parte di domanda, invece, ti dico che è possibile, ma non è comune e ancora purtroppo non è normale. Il sentimento di condanna è ancora molto forte e la comunità gay lo percepisce in modo forte. Ci si interroga molto in questo momento sul concetto di ateismo nel mondo islamico, che è molto difficile anche solo da pensare in questa regione; alcuni ragazzi, ma sono casi sporadici, incominciano ad affermare di sentirsi parte della Umma, comunità islamica, anche se non praticano l’Islam. Vedremo come evolverà il rapporto tra omosessualità, Islam e mondo arabo.

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