Burkina Faso: nella morsa di Al-Qaeda

Jihadismo in Burkina Faso
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di Stefano Avalle

Il 19 gennaio 2019 è stata diffusa la notizia che il primo ministro Paul Kaba Thieba e l’intero gabinetto si sono ufficialmente dimessi, in seguito all’aumento dell’instabilità interna. Una decisione arrivata dopo gli attacchi di matrice jihadista, dalla crisi umanitaria e dai più recenti rapimenti e uccisioni di stranieri – come il caso dell’italiano Luca Tacchetto e la canadese Edith Blais, scomparsi dalla metà di dicembre, e la morte del geologo canadese Kirk Woodman.

Indagheremo quindi sul collegamento tra la confusione politica attuale e i gruppi legati ad Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI), attivatisi subito dopo l’era di Blaise Compaoré. 

Quattro mandati di Compaoré e la delicata transizione militare 

Per più di ventisette anni, dal 1987 all’ottobre 2014, il Burkina Faso ha vissuto sotto la presidenza di Blaise Compaoré. Dopo aver ricoperto la carica di Ministro della Difesa, Compaoré ha provato a rimanere come capo di stato per il maggior tempo possibile, istituendo nel 1991 una commissione speciale per modificare l’art. 37 della costituzione. 

L’emendamento in questione riguardava il numero e la durata dei mandati presidenziali, aumentati a due per sette anni ciascuno. Un gioco, il suo, di continue modifiche costituzionali apportate allo stesso articolo ogniqualvolta il mandato stava per giungere al termine e che gli ha permesso di essere rieletto consecutivamente nel 1998, nel 2000 e nel 2010. La reazione popolare all’ennesimo tentativo di modifica non ha tardato ad arrivare: nell’ottobre 2014, decine di migliaia di persone, appoggiate dall’esercito, si sono riunite nella capitale per chiedere le dimissioni immediate del presidente.  

Il 31 ottobre il clan Compaoré è ufficialmente caduto, dopo giorni di violente proteste. In attesa di nuove elezioni, il comandante aggiunto della guardia presidenziale Yacouba Isaac Zida ha acquisito il potere ad interim. I militari hanno però firmato una “carta della transizione”, grazie alla quale si garantiva una transizione democratica dalla durata massima di dodici mesi, con la supervisione della comunità internazionale (Europa, Stati Uniti e Taiwan), l’Unione Africana e la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (CEDEAO), pronte a intervenire con sanzioni economiche in caso di deriva dittatoriale.

In seguito a un breve golpe da parte del generale Diendéré, ex-braccio destro di Compaoré a capo della guardia presidenziale (coinvolto anche lui nell’uccisione di Sankara), circa 3 milioni di burkinabé (il 60% degli aventi diritto di voto) si sono recati alle urne nel novembre 2015. Roch Marc Christian Kaboré, capo del neo-partito Movimento popolare del progresso (MPP) ed ex-membro della commissione speciale per la modifica della costituzione nel 1991, è stato eletto nuovo presidente del Burkina Faso con una maggioranza del 53,49%.

L’Islam e la disuguaglianza sociale nella regione del Sahel 

Il Burkina Faso è composto al 60% da musulmani e al 40% da cristiani e animisti, ma ha sempre rappresentato un modello di convivenza pacifica tra le diverse professioni religiose. Nei quasi trent’anni di potere di Compaoré, il Paese non ha mai subito minacce alla propria sicurezza interna. Dal 2015 però, il Burkina Faso è entrato a far parte del gruppo di Paesi del Sahel che hanno subito attacchi terroristici di natura jihadista. Soltanto in seguito all’attacco avvenuto nel dicembre 2016 a Nassoumbou, nella provincia nord di Soum, le autorità hanno compreso il legame tra dinamiche locali e la crisi del vicino Mali, cominciata nel 2012 a causa di un colpo di stato.

Il personaggio-chiave dietro gli attacchi è Malam Ibrahim Dicko, fondatore degli Ansar-ul-Islam (“Partigiani dell’Islam”), affiliati al gruppo maliano Ansar al-Dine (“Partigiani della Fede”). Conosciuto per la sue attività di predicatore in tutta la provincia di Soum, in particolar modo utilizzando una radio locale, Malam è riuscito ad attirare sempre più giovani sfidando la struttura gerarchica locale tra i Fulani, storicamente la classe più ricca, e i Rimaibé, da sempre considerati gli schiavi dei primi. Per tale motivo, l’Islam ha costituito un mezzo per cancellare la linea divisoria tra i due gruppi o, perlopiù, per emergere come “difensore dei più poveri e bisognosi”.

Altro punto centrale della retorica di Malam è stata la forte critica al governo burkinabé, accusato di essere incapace di fornire servizi adeguati e di sfruttare il potenziale economico della regione del Sahel. Le infrastrutture poco sviluppate, specialmente le strade, il numero limitato di centri sanitari e di scuole, la scarsità di acqua e di elettricità e lo sfruttamento straniero delle miniere d’oro a svantaggio dell’economia locale sono tutti fattori che hanno spinto gli abitanti della zona di avvicinarsi ai gruppi jihadisti e di perdere fiducia nel governo centrale.

Diffusione del jihad in Mali e Burkina Faso

Ciò che accomunail nord del Burkina Faso e del centro del Mali è il modo in cui il jihad è stato divulgato nei due Paesi: attraverso la predicazione nei villaggi e la critica dell’ordine sociale, delle élites locali e del governo centrale.

Sebbene simili nei mezzi di divulgazione, il radicalismo ha attecchito diversamente nei due Paesi: in Burkina Faso, i più deboli rimaibé hanno impugnato le armi in difesa dell’Islam più facilmente rispetto ai pastori nomadi tuareg del Mali, i quali credono in una lotta nazionalista piuttosto che religiosa. Per tale motivo, la maggior parte dei tuareg ha preferito rimanere compatta nel Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad (MNLA), invece che supportare Ansar Dine e la sua alleanza con Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI).

Sarebbe quindi errato interpretare la situazione nel nord del Burkina Faso come un riflesso della crisi maliana, nonostante questa abbia aumentato il traffico di armi tra le due regioni e concesso agli uomini di Ansar-ul-Islam di operare indisturbati. La causa delle violenze è quindi strettamente legata alle tensioni sociali peggiorate durante gli anni della transizione post-Compoaré. Sebbene per cause diverse, è lo stesso scopo ad aver spinto i gruppi fondamentalisti locali a collaborare con altri organizzazioni per rafforzarsi, una fra tante Al-Qaeda nel Maghreb Islamico.

Secondo l’organizzazione no-profit Counter Extremist Project, a oggi i gruppi che operano tra i due Paesi sono: Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM), Al-Murabitun (“Le Sentinelle”), Ansar al-Dine, Ansar-ul-Islam, Stato Islamico nel Grande Sahara (ISGS), Movimento per l’Unità e il Jihad in Africa Occidentale (MUJAO) e Boko Haram.

Perché il Burkina Faso è diventato così pericoloso dopo  Compaoré?

Durante la lunga presidenza di Compaoré, i terroristi hanno ricevuto riparo e copertura all’interno del Paese. Tutti i negoziati di liberazione degli ostaggi catturati dai jihadisti passavano per il clan del presidente. Un business ideato e realizzato con l’unico scopo di arricchimento personale, dei suoi fedelissimi e naturalmente dei terroristi. 

Una volta caduto Compaoré, la transizione e le elezioni del presidente Kaboré hanno portato una ventata di speranza e democrazia per i burkinabé. Il cambio di presidenza però ha interrotto il giro d’affari creato dai terroristi. Inoltre, una volta eletto, il nuovo governo ha da subito ostacolato la costruzione di nuove moschee, provocando l’aumento di raid contro la popolazione civile e le autorità tra il 2016 e il 2017.

Il governo Thieba ha dovuto irrobustire la presenza militare nella provincia di Soum con il supporto delle truppe maliane e francesi. Allo stesso tempo, però, l’invio di rinforzi nella provincia nord ha comportato una riduzione nel numero di soldati disponibili ad intervenire a protezione delle altre regioni. Lo dimostrano gli attacchi nella regione est di Gouma e nella capitale stessa. Da ricordare, infatti, gli attentati a Ouagadougou del gennaio 2016, quando alcuni uomini di Al-Qaeda hanno fatto irruzione prima nello Splendid Hotel e poi nel Cappuccino Café, due posti frequentati da turisti internazionali, uccidendo trenta persone e quello del 2 marzo 2018, contro l’ambasciata francese e il quartier generale dell’esercito burkinabé.

Le dimissioni del primo ministro Thieba, arrivate a gennaio scorso in seguito all’ennesima carneficina di civili (40 a nord del Paese nello stesso mese secondo UN Newse ai recenti rapimenti, rappresentano, quindi, il fallimento nell’assicurare una sicurezza nazionale minima e nel dare una risposta concreta alla crisi umanitaria in corso: con riferimento ai dati raccolti dalla Commissione europea, al di là delle vittime causate dagli attentati, si stima che più di 670.000 persone rischiano l’insicurezza alimentare. La paura nella vita di tutti i giorni dei civili ha portato più di 7.000 burkinabé a emigrare in Mali e più di 24.000 maliani ad arrivare nel nord del Burkina Faso.

Prima che il rilancio economico previsto si blocchi, il prossimo governo dovrà chiedere supporto militare, sia aereo che d’intelligence, ai Paesi partner dell’Unione Africana e alla comunità internazionale per prevenire futuri attacchi e riconquistare la fiducia di tutti i burkinabé. 

Fonti e Approfondimenti:

BBC, “Burkina Faso: Prime Minister and cabinet resign from office”, 19 gennaio 2019 https://www.bbc.com/news/world-africa-46930537

International Crisis Group . “The Social Roots of Jihadist Violence in Burkina Faso’s North”, Africa Report n.254, 12 ottobre 2017

JeuneAfrique, , “Burkina Faso : l’histoire mouvementée de l’article 37″, 27 gennaio 2014

Le Monde Afrique, Cyril Bensimon, “Au Burkina Faso, la rue défile contre Blaise Compaoré”,  29 ottobre 2014

Washington Post, “Burkina Faso elections mark a turning point in a country in political turmoil”, 6 dicembre 2015 https://www.washingtonpost.com/news/monkey-cage/wp/2015/12/06/burkina-faso-elections-mark-a-turning-point-in-a-country-in-political-turmoil/

Counter Extremism Project, Burkina Faso: extremism and Counter-Extremism https://www.counterextremism.com/countries/burkina-faso

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