Non tutti lasciano l’Africa: muoversi in Africa occidentale

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Da sempre, i popoli dell’Africa occidentale si spostano per poter sopravvivere. Già prima del periodo coloniale, gruppi di persone erano soliti muoversi stagionalmente, o per periodi di tempo più lunghi, per far fronte alle particolari condizioni climatiche della regione.

Già in tempi remoti, le popolazioni avevano capito che la loro sopravvivenza dipendeva dalle interazioni che avevano con i loro vicini, e crearono corridoi che permettevano interscambi commerciali, sociali  (come matrimoni tra membri di diversi gruppi) e le alleanze militari.

Per comprendere le origini e le ragioni dei flussi migratori dell’Africa occidentale, l’articolo cercherà di analizzare i push e pull factors dal periodo pre-coloniale fino agli anni delle indipendenze. A questo seguirà l’analisi dei progressi fatti da ECOWAS (Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale) in tema di libertà di movimento a partire dalla sua creazione nel 1975, continuando il nostro percorso di analisi delle migrazioni intra-africane.

 

Muoversi per sopravvivere

In epoca pre-coloniale, la necessità di sopravvivere del bestiame e di trovare terre coltivabili erano senza dubbio le ragioni principali dei movimenti migratori stagionali di breve raggio, che vedevano persone muoversi dalle zone aride del centro Nord alle zone coltivabili del Sud e delle coste. Non esistevano confini e, quindi, niente e nessuno impediva alle popolazioni – molte delle quali nomadi – di muoversi indisturbatamente.

 

Il periodo coloniale

Con la conquista dei territori da parte degli europei – inglesi e francesi in particolare – vennero posti dei limiti alla libertà di movimento di persone, beni e servizi, come confini controllati e tasse di importazione ed esportazione.

Nonostante ciò, per numerosi anni la necessità di trovare forza-lavoro spinse gli amministratori europei a creare dei meccanismi di reclutamento di lavoratori (spesso forzati) da Mali, Togo, Upper Volta da impiegare nelle piantagioni e nelle miniere in Costa d’Oro (oggi Ghana) e Costa d’Avorio.

Contemporaneamente – dato che anche per gli europei controllare tutti i confini si rivelò impossibile – le migrazioni spontanee continuarono. Queste vennero facilitate dallo sviluppo di infrastrutture di vario tipo, dalle ferrovie alle strade, che rendevano i viaggi più brevi e meno pericolosi.

Le nuove infrastrutture e la nascita di grandi centri urbani, che offrivano opportunità di lavoro più redditizie, creò un nuovo flusso migratorio dalle aree rurali verso le città. Il risultato fu la crescita esponenziale della popolazioni di centri come Accra, Abuja Lagos, Lomé e Dakar.

 

Le migrazioni dopo le indipendenze

Tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60, quasi tutti i Paesi dell’Africa avevano ottenuto l’indipendenza. La fine del dominio coloniale europeo interruppe gli spostamenti forzati dei lavoratori, ma i movimenti spontanei che si erano sviluppati rimasero costanti.

Anzi, la necessità dei nuovi governi di inserire i propri Paesi nel panorama economico internazionale li spinse a espandere  i cosiddetti cash crops, coltivazioni  fortemente richieste dal mercato internazionale e prodotte principalmente per essere esportate.

Di conseguenza, si registrarono flussi di migranti da Burkina Faso, Niger, Chad, Mali, Guinea, Capo Verde e Togo diretti in Ghana e Costa d’Avorio per coltivare cacao (in Costa d’Avorio anche per il caffè), e in Senegal e Gambia per le arachidi e il cotone.

Il Ghana e la Costa d’Avorio vantavano degli indici di sviluppo economico molto alti e offrivano quindi opportunità di lavoro molto vantaggiose e – a partire dagli anni ’70, quando i prezzi del petrolio aumentarono considerevolmente – anche la Nigeria divenne un polo di attrazione per i migranti della regione.

Anche in questo caso, è facile notare che i flussi provengono da Paesi privi di sbocco al mare e si dirigono verso i vicini affacciati sulla costa, che offre condizioni climatiche migliori e rende il commercio con l’Occidente –  sempre bisognoso di materie prime – più comodo e, quindi, meno costoso.

 

Le motivazioni religiose

Accanto ai motivi legati alla sicurezza alimentare, la diffusione della religione islamica ha creato un ulteriore flusso migratorio: le famiglie musulmane cercavano di mandare i loro figli a studiare in zone a maggioranza islamica, in particolare nei Paesi del Nord Africa affacciati sul Mediterraneo.

Ancora oggi esiste questa pratica, e i Paesi di destinazione sono spesso quelli del Golfo, o Senegal e Mali, dove questi giovani vengono sfruttati dai loro “maestri” per chiedere l’elemosina.

 

ECOWAS e la libertà di movimento

Nel 1975, a Lagos, 16 Stati firmarono il trattato che diede vita alla Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS).

All’art. 27, il trattato sanciva la volontà dei firmatari di creare, nel lungo periodo, una “comunità di cittadini”. I Paesi di ECOWAS erano, quindi, fin dall’inizio consapevoli dell’importanza delle migrazioni in Africa occidentale, ma vedremo che non pochi saranno i problemi per il raggiungimento dell’obiettivo fissato dall’art. 27.

Nel 1982, un protocollo supplementare definì in cinque articoli cosa si intendeva per “comunità di cittadini”, e da chi essa era composta.

Il primo passo per la traduzione dell’idea di “comunità di cittadini” in qualcosa di pratico fu la firma del Protocollo sul libero movimento delle persone, il diritto di residenza e stabilimento, nel 1979 a Dakar. Esso prevedeva un processo di 15 anni, suddiviso in tre fasi:

  • entro il 1980, tutti i Paesi avrebbero dovuto permettere l’ingresso senza visto e la permanenza per un massimo di 90 giorni ai cittadini provenienti da altri Stati membri di ECOWAS;
  •  entro il 1986, gli Stati membri avrebbero dovuto regolare il diritto di residenza per i cittadini degli altri Paesi di ECOWAS che volessero cercare o intraprendere attività lavorative;
  • un ulteriore passo sarebbe dovuto essere l’implementazione di politiche che facilitassero l’apertura di attività commerciali ai residenti provenienti da altri Stati membri.

Di questi punti, tutti gli Stati hanno tradotto il primo in legge nel proprio ordinamento nazionale, il secondo è stato parzialmente implementato, mentre l’implementazione del terzo sembra, ad oggi, ancora lontana.

Il Trattato di formazione firmato a Lagos nel 1975 subì alcune modifiche nel 1993. In particolare, due articoli sono di nostro interesse per comprendere come i Paesi di ECOWAS hanno gradualmente tentato di aprire i loro confini:

  • l’art. 3 chiede agli stati di rimuovere gli “ostacoli alla libera circolazione di persone, beni, servizi e capitali, e al diritto di residenza e stabilimento”;
  • l’art. 59 ribadisce che “i cittadini della comunità avranno i diritto di entrare, risiedere e stabilirsi” negli altri Stati membri.

 

Obiettivo finale: uniformità

Tra i Paesi di ECOWAS, in tema di migrazioni, non esiste ancora un sistema comune di raccolta dati, né c’è uniformità a livello di politiche.

La maggior parte dei Paesi raccoglie i dati attraverso i censimenti, che però non vengono effettuati regolarmente. In più, sono pochissimi gli Stati che, oltre a calcolare gli immigrati presenti sul territorio, tengono conto anche degli emigrati – soltanto Ghana e Guinea Bissau lo hanno fatto nell’ultimo censimento.

Per cercare di mitigare tale problema, con una decisione del dicembre 1990 si è stabilito di spingere gli Stati ad adottare moduli per l’immigrazione armonici, cioè che richiedano al migrante le stesse informazioni e la stessa documentazione.

Tale decisione ha portato, una decina di anni dopo, all’istituzione del Dialogo sulle Migrazioni in Africa Occidentale (MIDWA) che, dal 2000, si riunisce periodicamente per affrontare le tematiche regionali relative alle migrazioni (l’ultimo incontro si è tenuto nel luglio 2018).

La Commissione Europea è una delle organizzazioni osservatrici, insieme a OIM e Commissione dell’Unione Africana. Queste, in particolare l’OIM, hanno contribuito enormemente a tenere vivo e attivo il MIDWA, organizzando workshop e incontri.

Infine, nel 2008, ECOWAS ha adottato un Approccio Comune sulle Migrazioni.  Pur non essendo vincolante, esso incoraggia gli Stati a collegare i concetti di migrazione e sviluppo, affermando che quest’ultimo è incentivato sia dall’immigrazione che dall’emigrazione regolari (attraverso le rimesse).

Anche l’Approccio Comune fa cenno all’armonizzazione, in questo caso, delle politiche migratorie degli Stati membri. Allo stesso tempo, spinge gli Stati a occuparsi della lotta al traffico di esseri umani e della protezione di rifugiati e richiedenti asilo.

 

Conclusioni

Il processo di integrazione delle risposte al fenomeno migratorio in Africa occidentale è ancora in adempimento. Gli Stati fanno fatica, spesso a causa di situazioni socio-economiche complicate, a implementare le iniziative già previste nel Protocollo sul libero movimento delle persone, il diritto di residenza e stabilimento del 1979.

L’Unione Europea, attraverso il Supporto al Libero Movimento e alle Migrazioni in Africa Occidentale, implementato insieme a IOM, ILO e Centro Internazionale per lo Sviluppo delle Politiche Migratorie (ICMPD), sta cercando di supportare il processo di integrazione sul piano delle migrazioni. 

In Africa occidentale, le persone si muovono da sempre, a prescindere dai confini nazionali. Creare e implementare un approccio unitario alla gestione di tali movimenti contribuirebbe ad agevolare lo studio del fenomeno e a gestirlo in modo costruttivo, così che contribuisca allo sviluppo.

 

 

 

Fonti e approfondimenti

United Nation Economic Commission for Africa, ECOWAS – Free Movement of Persons

ECOWAS, Protocol A/P.1/5/79 relating to free movement of persons, residence and establishment, 1979

Aderanti Adepoju, Alistair Boulton and Mariah Levin, “Promoting integration through mobility: Free movement under ECOWAS”, UNHCR

Joseph A. Caro, “Migration in West Africa: Patterns, Issues and Challenges”, Centre for Migration Studies, University of Ghana, 2008

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