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La Via tra Cina e UE: come si adatta la strategia cinese dopo le azioni dell’Unione?

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Pechino mira a ottenere un maggiore accesso ai mercati esteri. Il principale obiettivo della Belt and Road Initiative (BRI) è esportare la sovraccapacità produttiva del Paese e guadagnare quote di mercato in nuovi settori. Oggi la leadership comunista cinese sembra combattere il protezionismo con un atteggiamento mercantilista

Questo articolo introduce i nuovi principali strumenti di Pechino per sbloccare i mercati esteri. In quest’ottica, la storia degli investimenti esteri diretti (IED) cinesi in Europa è entrata in un nuovo capitolo.

 

Liberalizzazione del commercio

La Cina ha compreso come il potenziamento delle infrastrutture possa rappresentare il fulcro della sua competitività. La cooperazione commerciale lungo la BRI è, da un lato, migliorata grazie alla diminuzione dei costi di trasporto e all’abbassamento delle barriere commerciali. Inoltre, la creazione di più aree di libero scambio (FTZ) e la standardizzazione dei processi di sdoganamento hanno favorito l’ascesa internazionale. Dall’altro, nuove rotte commerciali riducono costi e tempi di spedizione. Questa combinazione di connessioni hard e soft contribuiscono alla promozione dell’esportazione di beni manifatturieri e all’espansione della sua quota di mercato nei beni di fascia alta.

Dal 2017 Pechino ha avviato oltre 100 accordi di cooperazione economica e commerciale con altri Paesi coinvolti nella BRI, garantendo l’accesso a circa 50 tipi di prodotti agricoli e alimentari. I servizi di sdoganamento tra la Cina, il Kazakistan, il Kirghizistan e il Tagikistan per tali prodotti ha ridotto i tempi del 90%.  Inoltre, Pechino ha avviato 12 FTZ pilota per le imprese globali e ha sperimentato porti di libero scambio per attirare investimenti dai Paesi partecipanti all’iniziativa. Ha firmato o aggiornato accordi di libero scambio con ASEAN, Singapore, Pakistan, Georgia e altri Paesi, e ha firmato un accordo di cooperazione economica e commerciale con l’Unione economica eurasiatica. Da quando è entrata a far parte dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), le tariffe medie della Cina sono scese dal 15,3% al 7,5%.

 

Facilitazione degli investimenti             

Negli ultimi venti anni, la Cina da essere destinataria a fornitrice di IED (外直接投资, wai zhijie touzi) incoraggiando le aziende cinesi a diventare globali. Solo nel 2018 Pechino ha investito più di $12 miliardi nella BRI (+6,4% in più rispetto al 2017) e ha firmato progetti per un valore contrattuale di circa $80 miliardi (+48% rispetto al 2017). L’interscambio commerciale con i partner dell’iniziativa ha superato gli $860 miliardi e le aziende statali cinesi hanno investito $11 miliardi in progetti BRI.

Dal 2013 al 2018 il valore commerciale tra Cina e altri Paesi BRI ha superato i $6 trilioni, rappresentando il 27,4% del commercio totale cinese di beni e crescendo più rapidamente del commercio estero complessivo del Paese. Nel 2018 il valore degli scambi di merci tra la Cina e altri Paesi BRI ha raggiunto $1,3 trilioni, in crescita del 16,4% su base annua. Lo scambio di servizi ha visto progressi costanti, rappresentando il 14,1% del commercio totale di servizi in Cina, 1,6% in più rispetto al 2016.

 

Restrizioni per la stabilità del mercato finanziario cinese

In questo contesto, è importante sottolineare che gli investimenti cinesi sono per lo più guidati da aziende dello Stato (国有企业, guoyouqiye, SOE), in grado di godere di una quantità sproporzionata di sostegno finanziario. Pechino ha infatti deciso da una parte di dare priorità a investimenti statali nei settori strategici nazionali e dall’altra di ridurre gli investimenti rischiosi mossi da privati. Sono state previste misure restrittive per limitare le operazioni “irrazionali” da parte dei cosiddetti “rinoceronti grigi” (灰犀牛, huixinlu), aziende private che hanno accumulato ingenti debiti investendo all’estero in settori non strategici.

 

Barriere a protezione degli asset europei

Le preoccupazioni di Pechino per la stabilità del mercato finanziario cinese hanno coinciso con l’introduzione di nuove barriere a protezione degli asset europei.

L’Unione europea ha infatti adottato un nuovo sistema di screening che, sebbene non sia vincolante, frena l’avanzata delle aziende estere – specialmente quelle statali – nei settori strategici. Inoltre, Berlino l’anno scorso ha abbassato i requisiti per avviare operazioni di monitoraggio ed eventualmente bloccare le acquisizioni da parte di aziende estere. È arrivato persino a prospettare l’istituzione di un fondo d’investimento statale con cui procedere all’osservazione di società nel mirino dei competitor cinesi.

 

Gli investitori cinesi schiacciati dalle norme europee

Il nuovo quadro di screening degli investimenti dell’UE potrebbe incidere in modo particolare sugli investitori cinesi, in quanto vanno a colpire settori interessanti per Pechino. Infatti, il regolamento incoraggia gli Stati membri a rivedere gli investimenti che fanno parte di “progetti o programmi esterni guidati dallo Stato” (come la strategia “Made in China 2025“). Data la pervasività della politica industriale in Cina e il predominio delle banche statali nel sistema finanziario del Paese, questa formulazione vaga potrebbe aprire la porta per gli Stati membri a rivedere una grande fetta di investimenti cinesi nell’Ue.

Inoltre, la normativa chiede specificamente di esaminare gli investimenti statali in tecnologie sensibili e infrastrutture critiche quando, tra il 2012 e il 2017, gli investitori cinesi hanno speso oltre €29 miliardi in infrastrutture e logistica nell’UE. Questi criteri potrebbero perciò interessare una larga parte delle attività cinesi di Merger & Acquisitions (M&A) in Europa. Si stima che l’83% delle transazioni M&A cinesi in Europa nel 2018 rientrerebbero in almeno uno di questi criteri.

I dibattiti in corso in Europa sul rischio di un impegno economico con la Cina si estendono al di là dei controlli degli investimenti. E’ sempre più probabile che vengano intraprese azioni politiche in settori quali il controllo delle esportazioni per doppio uso e tecnologie critiche, la sicurezza dei dati e le norme sulla privacy, le norme sugli appalti pubblici e la politica di concorrenza.

 

Nuovo capitolo in UE

La storia degli IDE cinesi in UE è entrata in un nuovo capitolo. Dopo un decennio di rapida crescita, gli investimenti cinesi diminuiti drasticamente nel 2017 sono continuati a calare nel 2018. Questa tendenza può essere attribuita ai continui controlli sui capitali e all’inasprimento della liquidità in Cina, nonché al crescente controllo regolamentare nelle economie ospiti.

Nel 2018, le imprese cinesi hanno effettuato transazioni IDE per un valore di €17,3 miliardi; questo rappresenta un calo del 40% rispetto ai livelli del 2017 e di oltre il 50% rispetto al picco del 2016 di €37 miliardi. Gli investimenti sono rimasti focalizzati sulle tre maggiori economie dell’UE,  Regno Unito (€4,2 miliardi), Germania (€2,1 miliardi) e Francia (€1,6 miliardi).

Sebbene abbiano continuato a ricevere la massima attenzione, a causa del rafforzamento regolamentare, le cifre sono in calo e gli accordi firmati nei tre Paesi rappresentano appena il 45%, rispetto al 71% del 2017. Inoltre, il Nord Europa (Svezia) e il Benelux (Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo) si aggiungono alla lista dei primi cinque Paesi destinatari degli IDE cinesi.

 

Ridistribuzione degli investimenti cinesi in EU

Dallo scorso anno, gli investimenti cinesi in Europa sono stati distribuiti in modo più uniforme attraverso una maggiore varietà di settori rispetto al 2016 e al 2017. Con poche eccezioni, il nuovo regime di investimenti ha frenato le acquisizioni degli anni precedenti (come Logicor, Pirelli, Supercell, Kuka) portando a una diffusione più equa ed equilibrata dei capitali tra i vari settori. Con un minor numero di affari, nel 2018, nessuna singola industria ha rappresentato oltre il 20% degli investimenti totali.

I settori che hanno registrato una crescita particolarmente significativa sono rappresentati da:

Al contrario, gli investimenti in trasporti, servizi pubblici e infrastrutture sono scesi del 96%, passando da €13,9 miliardi nel 2017 a €0,5 miliardi nel 2018. Anche gli immobili sono continuati a scendere, a €0,9 miliardi, da un picco di €6,8 miliardi nel 2015.

 

Le aziende pubbliche cinesi

Anche la quota delle aziende statali nel totale degli investimenti cinesi in Europa è diminuita dall’80 al 90% tra il 2010 e il 2012 a una media del 50-60% negli ultimi cinque anni. Dopo aver raggiunto il livello più basso in più di un decennio nel 2016 (al 36%), la quota di imprese statali è aumentata nuovamente nel 2017, al 71%. Questo è dovuto ai controlli sul capitale che hanno colpito le società private cinesi e consentito solo mega offerte da parte di investitori statali (come l’acquisizione da parte di CIC di €12,3 miliardi di Logicor).

Nel 2018, il peso delle aziende pubbliche è sceso nuovamente al 41% dell’investimento aggregato, il secondo livello più basso mai registrato. Ciò è dovuto sia al calo degli investimenti di queste aziende, sia a una lieve ripresa dell’attività di investimento privato (sebbene le dimensioni degli accordi siano rimaste ben al di sotto di quelle viste nel 2015 e nel 2016).

 

 

Fonti e approfondimenti

Alessandra Colarizi, “Crollano gli investimenti cinesi in Europa“, Il Fatto Quotidiano Online, 15 marzo 2019.

Fabio Angiolillo. “Development through acquisition: the domestic background of China’s Europe policy“, IAI Papers, n°1, 2019.

Thilo Hanemann, Mikko Huotari, Agatha Kratz, “Chinese FDI in Europe: 2018 trends , and impact of new screening policies“, Rhodium Group (RHG) and the Mercator Institute for China Studies (MERICS), marzo 2019.

Cecilia Ghezzi, “Gli investimenti cinesi che rischiano di spaccare l’Europa“, China Files, marzo 2019.

Peter Liang, “We should remember merits of ‘white elephant’ projects“, China Daily, settembre 2016.

Belt and Road Portal, “The Belt and Road Initiative Progress, Contributions and Prospects“, 22 aprile 2019.

Commissione Europea, “Controllo degli investimenti esteri: nuovo quadro europeo in vigore da aprile 2019”, 5 marzo 2019.

Cai Jane, “Forget privatisation, Xi has other big plans for bloated state firms”, South China Morning Post, September 6, 2017.

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