La fine dello Spitzenkandidat?

fine dello Spitzenkandidat
Plenary session - Statement by the candidate for President of the Commission

Le ultime settimane sembrano aver decretato la fine dello Spitzenkandidat. Dopo quattro summit e ore di negoziati, il Consiglio europeo ha scelto un candidato per la presidenza della Commissione: non è però Manfred Weber, Spitzenkandidat del PPE, ma Ursula von der Leyen. Il 16 luglio, il Parlamento europeo ha approvato la proposta dei leader europei, con 383 voti – solo 7 in più della maggioranza richiesta.
Ma il sistema dello Spitzenkandidat è davvero arrivato al capolinea? O il Parlamento potrebbe riuscire a salvarlo, proprio con l’aiuto della nuova Commissione?

Spitzenkandidaten: dov’è il problema?

Per capire cosa sia successo, è importante tornare alla lettera dei Trattati. Il trattato di Lisbona prevede che il Consiglio europeo nomini un presidente della Commissione, tenendo conto dei risultati delle elezioni parlamentari. Il candidato è poi proposto al Parlamento europeo, che lo elegge a maggioranza qualificata.
Formalmente, quindi, le procedure sono state rispettate. La scelta del Consiglio europeo riflette i risultati delle elezioni: von der Leyen fa parte del CDU tedesco, affiliato al PPE nel Parlamento europeo.

La frase chiave, qui, è proprio “tenendo conto dei risultati delle elezioni”, che il Parlamento europeo ha interpretato in maniera estensiva. Nel 2018, l’assemblea aveva ribadito che non avrebbe accettato un candidato presidente che non fosse stato proposto come “candidato principale” da uno dei gruppi. Per il PPE, che ha ottenuto la maggioranza relativa, questo candidato era Manfred Weber, membro del CSU (alleato del CDU). È da notare, tuttavia, che il PPE è ben lontano dal controllare il Parlamento: con 182 voti a loro disposizione, Weber avrebbe avuto bisogno dell’appoggio dei S&D e di almeno uno tra verdi e liberali per essere eletto. La “legittimità democratica” dello Spitzenkandidat PPE appare quantomeno fragile.

Il Consiglio europeo, quindi, ha scavalcato il Parlamento e il principio che aveva guidato la campagna elettorale e le elezioni del 2019: far sì che gli elettori scegliessero, anche se indirettamente, il futuro presidente della Commissione. Una scelta legalmente corretta, ma politicamente controversa.

Cos’è cambiato dal 2014?

Già nel 2014, il meccanismo aveva rischiato di fallire sul nascere, quando il Consiglio europeo sostenne che l’imposizione di un candidato violasse le sue prerogative. Alla fine, tuttavia, i capi di Stato e di governo approvarono Jean-Claude Juncker a maggioranza qualificata (contrari Regno Unito e Ungheria). Ciò avvenne sia per l’assenso della Germania, sia per evitare un conflitto istituzionale con il Parlamento europeo.

Cinque anni dopo, la situazione è molto diversa. Le elezioni non hanno prodotto una maggioranza chiara; sugli Spitzenkandidaten, inoltre, vi era molto meno consenso che in passato, sia all’interno dei gruppi parlamentari, sia tra i leader europei. Ed è questo, in ultima istanza, che non ha funzionato stavolta: mentre Juncker era in qualche modo accettabile, né Weber (PPE) né Frans Timmermans (S&D) lo sono stati.
Il primo non era mai stato un candidato convincente; la sua dipartita era già nell’aria da maggio, e il veto definitivo è arrivato da Francia e Ungheria. Il secondo, invece, si è scontrato con l’opposizione netta del gruppo di Visegrád e dell’Italia.

Questi eventi dimostrano ancora una volta che il centro del potere, all’interno dell’Unione, non è né la Commissione né il Parlamento, ma gli Stati membri. Sono ancora loro a prendere le decisioni fondamentali e a intervenire per far rispettare gli equilibri politici e geografici. Se ciò che ne risulta può essere chiamato “spartizione” di cariche, è anche il meccanismo che permette all’Unione europea di sopravvivere e continuare a funzionare. Per quanto il Parlamento europeo stia crescendo come istituzione e come attore politico, i capi di Stato e di governo hanno ancora l’ultima parola.

E gli elettori?

Al di là dei summit e delle dichiarazioni, non bisogna dimenticare per chi è nato il processo dello Spitzenkandidat: gli elettori europei. Il meccanismo, infatti, dovrebbe rafforzare la legittimità democratica della Commissione: un voto per uno dei “partiti” europei è anche un voto per il suo candidato alla presidenza. Il Consiglio europeo, dunque, ha violato lo spirito del compromesso politico con il Parlamento, basato su un principio di partecipazione democratica.

Nelle democrazie parlamentari – l’Italia è un esempio familiare – votare per un partito o una coalizione non garantisce che il candidato di punta diventerà primo ministro; allo stesso modo, il processo dello Spitzenkandidat non può essere un principio inviolabile. Le elezioni europee, inoltre, sono ancora governate da dinamiche nazionali: per molti elettori, i volti e i nomi degli Spitzenkandidaten non sono per nulla familiari. Il problema, però, non è il fallimento del meccanismo in questo caso specifico: è che il sistema degli Spitzenkandidaten era stato presentato come una promessa di maggiore democrazia, e questa promessa non è stata mantenuta.

Lo scontro tra i rappresentanti degli Stati membri, portatori di diversi interessi e orientamenti, non è una novità: fa parte della natura stessa dell’Unione europea. Sorprende, però, che i leader europei abbiano scelto una personalità quasi del tutto estranea agli ambienti di Bruxelles, una ministra di un governo nazionale ben poco nota nel resto dell’Unione. Se l’intenzione è quella di rendere la Commissione un’istituzione forte e riconoscibile tra gli elettori, questa potrebbe non essere la tattica migliore.
Sembra più probabile, invece, che piazzare un “volto noto” non fosse in cima alla lista delle priorità e che considerazioni di altro tipo – certamente il curriculum, ma anche equilibri geografici e politici, veti incrociati, questioni politiche interne – abbiano prevalso. Questi interessi, però, sono molto lontani da quelli degli elettori.

La strategia di Ursula von der Leyen

Come era prevedibile, i gruppi parlamentari europei non hanno inizialmente accolto con favore la proposta del Consiglio europeo. Tuttavia, la candidata ha subito messo in moto un imponente apparato di PR e ha intrapreso il dialogo con tutti i gruppi, aprendosi alle loro proposte e accogliendole nel suo programma.

Anche nel suo intervento in aula prima del voto, von der Leyen ha voluto dare un’immagine di competenza e apertura. Alternando agevolmente francese, tedesco e inglese, ha mostrato di essere e sentirsi non (solo) tedesca, ma europea. Ha parlato con passione della sua storia personale e degli ideali europei, includendo molte delle istanze presentate dai gruppi parlamentari, con forte enfasi su ambiente e sostenibilità: l’obiettivo, per lei, è conseguire la neutralità climatica entro il 2050.

Ha toccato anche i diritti sociali, il supporto all’economia, il riequilibrio delle disuguaglianze regionali e l’uguaglianza di genere. Dopo aver sottolineato di essere la prima donna candidata alla presidenza della Commissione, si è impegnata a garantire la parità di genere tra i commissari, rifiutando i nomi degli Stati membri se necessario.

Una scelta di responsabilità

La sua strategia ha infine avuto successo: ha ottenuto il sostegno dei socialdemocratici e dei liberali, anche se è mancato l’appoggio dei verdi. Questi ultimi hanno comunque dichiarato che lavoreranno con la nuova Commissione su proposte vicine ai loro programmi e ideali.

Per il PPE è una vittoria, anche se non ideale: dopotutto, la candidata presidente proviene dalla stessa area politica dello Spitzenkandidat Weber, e persino dallo stesso Paese. Sin dall’inizio, i popolari avevano segnalato l’apertura ai S&D, non presentando un nome per la presidenza del Parlamento europeo e appoggiando il candidato socialista, David Maria Sassoli.

La posizione dei liberali, che in Emmanuel Macron, il presidente francese, avevano uno strenuo sostenitore della democrazia europea e del sistema dello Spitzenkandidat, risulta un poco sconcertante. Proprio Macron, invece, ha contribuito a far fallire il compromesso, usando la sua notevole influenza per boicottare la candidatura di Weber e circondandosi di alleati nei posti chiave (il belga Charles Michel al Consiglio europeo e la connazionale Christine Lagarde alla BCE).

Per i S&D si tratta di una doppia sconfitta. Hanno perso la battaglia per difendere il meccanismo dello Spitzenkandidat e il loro nome di punta, Timmermans, dovrà “accontentarsi” di un posto da vicepresidente. Inizialmente critici, hanno poi deciso di appoggiare von der Leyen sia per onorare l’alleanza con il PPE, sia per una questione di responsabilità politica. Creare instabilità all’interno dell’UE con l’opposizione a oltranza sarebbe scorretto nei confronti dei cittadini e renderebbe l’Unione più vulnerabile.

Un Parlamento diviso

I risultati del voto suggeriscono che il supporto, al momento, è abbastanza tiepido. Von der Leyen, infatti, si colloca ben al di sotto della soglia di sicurezza dei 400 voti, che le avrebbe garantito una maggioranza solida. È probabile che siano mancati voti tra S&D e liberali, mentre potrebbe aver giocato un ruolo cruciale il supporto dal Movimento 5 Stelle e dal PiS polacco.

Il Parlamento, dunque, ha incassato la sconfitta politica per evitare la crisi istituzionale e per costruire un’alleanza con la futura Commissione. I frutti di questa scelta si vedranno fin da subito, se la candidata rispetterà le condizioni poste dai gruppi: equilibri politici e geografici nella scelta dei commissari, politiche pubbliche e magari una riforma delle regole affinché incidenti simili non si verifichino in futuro.

D’altro canto, Ursula von der Leyen si è impegnata a rafforzare il Parlamento, dotandolo di iniziativa legislativa e migliorando il sistema degli Spitzenkandidaten. Stabilire delle regole chiare, codificate legalmente, è l’unico modo per garantire la sopravvivenza del sistema, o di qualunque meccanismo di nomina.

Fonti e approfondimenti

Trattato di Lisbona che modifica il trattato sull’Unione europea e il trattato che istituisce laComunità europea, firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007. Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea, 2007/C 306/01.

“‘Spitzenkandidaten’ process cannot be overturned, say MEPs“, Press release, European Parliament, 07/02/2018.

European Parliament, “2019 European election results“.

De La Baume, Maïa, e Herszenhorn, David M. “Ursula von der Leyen elected new Commission president“, Politico, 16/07/2019.

As it happened: Von der Leyen to lead European Commission“, Politico, 16/07/2019.

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