Ricorda 1989: l’inizio della prima guerra civile in Liberia

Durante una visita in Liberia nel 1987, George Shultz, Segretario di Stato americano dell’amministrazione Reagan, affermava che la situazione dei diritti umani era migliorata sotto un governo eletto “quasi” apertamente alle elezioni del 1985.

Lo stesso anno, il vicesegretario di Stato americano per gli Affari africani Chester Crocker indirizzava una lettera a Human Right Watch per riprendere quanto dichiarato da Shultz:

“Siamo convinti che le cose si stiano muovendo nel verso giusto. Se si scatta un’immagine in movimento [del Paese], questa ci mostrerà un trend positivo. Se si scatta un’istantanea, allora ci vedrete dei problemi. I problemi non mancano, ma la situazione è migliorata.”

Parole tarate sulla base della vicinanza con il regime militare instauratosi nel 1980 e confermato dopo le elezioni contestate del 1985. Due anni dopo tali dichiarazione la Liberia viene scossa da un’esplosione di violenze entrata nella storia come la prima guerra civile liberiana durata dal 1989 al 1996.

Il legame sanguigno Stati Uniti-Liberia

Grande quanto lo Stato del Tennessee, la Liberia era parte di ciò che i portoghesi chiamavano la Costa del Pepe durante il XV secolo. Ad eccezione parziale dell’Etiopia, la Liberia è l’unico Paese a non essere stato una colonia europea. Il Paese ha avuto però un’affiliazione storica  unica e diretta con gli Stati Uniti. Vari aspetti lo dimostrano: l’inglese come lingua nazionale, la somiglianza della bandiera, il dollaro come valuta statale e una costituzione redatta dalla Harvard Law School sul modello americano.

Le radici della guerra civile partono da questo legame risalente alla prima metà dell’Ottocento. Intorno al 1820, un gruppo di politici americani fondò l’American Colonization Society, un’associazione filantropica con lo scopo di agevolare il ritorno degli ex-schiavi afro-americani in Africa.

Dietro la creazione dell’associazione statunitense ci sarebbe un’altra verità di fondo. I padroni schiavisti temevano che gli afro-americani, una volta liberi, avrebbero potuto istigare schiavi di differente provenienza alla rivolta. Ragion per cui, la soluzione più facile era allontanarli dal Paese.

Gli schiavi si comportano da padroni

Nel 1822, la prima colonia venne ufficialmente stabilita lungo la costa occidentale africana. Da lì a vent’anni, l’American Colonization Society riuscì a inviare più di 13.000 emigranti. Nel 1847, la Liberia è il primo Paese africano a dichiarare la propria indipendenza, oltre a essere la prima repubblica del continente.

Se guardiamo alla storia del Paese da una prospettiva differente, le etnie locali hanno incontrato grosse difficoltà con i nuovi arrivati. Gli afro-americani non avevano niente in comune con le tribù locali: dalla religione animista, alla lingua, agli usi e costumi. Alle generazioni successive degli emigrati veniva dato l’appellativo di “americo-liberiani”, per distinguerli dagli autoctoni.

Chiusi in una casta minoritaria, gli americo-liberiani pretendevano che fossero i locali a dover assimilare la propria cultura, educazione e fede (maggiormente evangelico-battista). A causa di questo loro etnocentrismo e della differenza culturale, questa élite provò a costruire uno stato sul modello occidentale; dichiararono deliberatamente l’indipendenza del Paese, escludendo dalla cittadinanza per nascita le tribù indigene e accentrando di colpo il potere politico nelle proprie mani.

Dal colpo di stato del 1980 alla guerra civile

Il filo conduttore tra l’ascesa della minoranza americo-liberiana e la prima delle due guerre civili risiede nel controllo politico ed economico che hanno esercitato sul Paese. Nel 1971, William Tolbert, un membro di un’influente famiglia americo-liberiana diventa presidente e apre il Paese agli investimenti stranieri con  la sua nuova politica economica liberale chiamata “Open Door. Purtroppo, solamente la prosperosa minoranza americo-liberiana ha goduto di questi ricavi, escludendo il resto della popolazione.

Accusato di aver nominato il proprio gabinetto sulla base di favoritismi e nepotismo – ostacolando l’inserimento di figure locali all’interno del governo -, la sua poltrona ha cominciato a vacillare. Il colpo di grazia arriva nel 1979,  quando il presidente aumenta il prezzo del riso con le scusanti di promuovere l’agricoltura locale, ridurre la migrazione nei centri urbani e frenare l’importazione del cereale. Peccato che all’epoca la famiglia Tolbert deteneva il monopolio sulla produzione di riso. Un altro colpo di Stato era servito sul piatto d’argento.

La mattina del 12 aprile 1980 un messaggio registrato interrompe tutte la programmazione della Liberia Broadcasting Corporation:

“Sono il sergente capo Samuel Doe. Ho ucciso il presidente Tolbert. [..] Dio è stanco. Dopo 133 anni, gli uomini dell’esercito liberiano hanno rovesciato il Governo a causa della corruzione dilagante e del fallimento nella gestione degli interessi del popolo liberiano.”

Il sergente Doe annuncia qualche giorno dopo la creazione del Consiglio Popolare di Redenzione (PRC) per donare un volto alla nuova giunta militare di cui è a capo e si autonomina presidente della repubblica. Nove anni dopo, l’ex-funzionario governativo Charles Taylor, rientrerà in Liberia con un gruppo di ribelli per rovesciare il regime di Doe.

Gli schieramenti: Il presidente Samuel Doe

Partiamo dall’attuatore del golpe del 1980. Samuel Kanyon Doe era membro dell’etnia Krahn, una delle sedici tribù ufficiali della Liberia, ma tradizionalmente un gruppo marginale del Paese. Il sergente capo è stato il primo presidente della Repubblica di Liberia indigeno, interrompendo così, la lunga tradizione di capi di Stato dell’élite americo-liberiana. I forti interessi economici statunitensi legati alla produzione di gomma nel Paese hanno rafforzato il suo Governo. Gli Stati Uniti hanno infatti inviato aiuti militari ed economici per un valore di 500 milioni di dollari dal 1980 al 1985.

La situazione politica liberiana ha preso una piega negativa quando, dopo aver adottato una nuova costituzione – sempre su modello americano – nel 1984, Doe vinse con più del 50% dei voti le presidenziali del 1985. L’opposizione politica liberiana e gli osservatori europei e internazionali contestano i risultati per via di scandalosi brogli elettorali.

Seppure Washington abbia chiuso un occhio sul risultato elettorale, le ingiustizie del Governo Doe risultano impossibili da nascondere: attacchi contro la stampa, corruzione, insolvenza fraudolenta verso i prestiti internazionali, dispiegamento di squadre della morte e gravi violazioni dei diritti umani. La sua legislatura ebbe le ore contate.

Gli schieramenti: Charles Taylor

Dall’altra parte del conflitto abbiamo Charles Taylor. Nato vicino la capitale Monrovia da padre americo-liberiano e madre di tribù Gola, si trasferisce a Boston, dove intraprende studi economici diventando presidente dell’Unione delle Associazioni Liberiane. Ritorna in Liberia e salta sul carro dei vincitori entrando a far parte del Governo Doe. Il suo ruolo è quello di dirigente degli appalti pubblici, ma dopo l’accusa di appropriazione indebita di denaro pubblico (un milione di dollari), fugge e viene arrestato negli Stati Uniti nel 1983.

In questa pre-fase del conflitto, un ruolo importante è giocato dalla CIA. L’Intelligence americana ha confermato al Globe Boston di aver ingaggiato Taylor in qualità di informatore in Africa. Si ipotizza, quindi, che la CIA abbia organizzato la fuga di Taylor dal carcere di Plymouth nel 1985 e abbia indicato l’ex-dirigente liberiano come papabile capo della Liberia in caso di destituzione del presidente Doe.

Grazie alle sue capacità organizzative e di negoziatore, viaggia tra Costa d’Avorio e Burkina Faso per riunire esiliati e dissidenti del regime. Trova nella Libia del colonnello Gheddafi una base dove prepararsi per il colpo di Stato, favorito dai pessimi rapporti tra il colonnello e Doe. Quest’ultimo avrebbe infatti espulso l’intero corpo diplomatico libico a causa delle ostilità tra Libia e Stati Uniti.

Esito

Alla vigilia di Natale del 1989, Charles Taylor, il suo gruppo di ribelli addestrati in Libia chiamato Fronte Nazionale Patriottico della Liberia (NPFL) e l’alleato aiutante di campo  delle forze armate liberiane Prince Johnson entrano in Liberia attraverso la Costa d’Avorio. Gli scontri tra i ribelli e le forze armate liberiane causano innumerevoli vittime, specialmente tra le etnie Krahn e Mandingo. La Comunità degli Stati d’Africa occidentale (ECOWAS) fa il suo ingresso nel conflitto con la missione di peacekeeping per ottenere un cessate il fuoco e un accordo di pace.

Nel luglio 1990, Prince Johnson si separa da Taylor e forma il Fronte Nazionale Patriottico Indipendente (INPFL). Due mesi dopo, il gruppo di monitoraggio dell’ECOWAS invita Doe al quartier generale nella zona portuale della capitale per proporgli con urgenza un esilio all’estero. Prince Johnson, informato della visita del presidente, attacca il quartier generale, cattura Doe e dopo averlo torturato brutalmente, lo uccide.

Nel novembre 1990, l’ECOWAS stabilisce il Governo d’Unità Nazionale ad Interim guidato da Amos Sawyer, preside della facoltà di scienze politiche dell’Università di Monrovia. Taylor ne rifiuta il riconoscimento e l’assedio della capitale continua, costringendo i Krahn e i Mandingo a mobilitarsi in propri gruppi armati: rispettivamente l’ULIMO-J e l’ULIMO-K.

Soltanto nel 1996, i diversi attori del conflitto decidono di sedersi al tavolo delle trattative per siglare gli accordi di Abuja. Uno dei punti principali era indire nuove elezioni per l’anno successivo, alle quali Charles Taylor si presentò come candidato alla presidenza strappando il 75% dei voti, probabilmente perché i liberiani pensarono fosse l’unica soluzione per porre fine della guerra. Lo stesso anno, nel 1997, scoppierà la seconda guerra civile liberiana.

Fonti e approfondimenti

UNHCR. 1990. Human Right Watch Report 1989  – Liberia.

Dennis. 2006. “A Brief History of Liberia”. The International Center for Transitional Justice.  1-16.

Charles River Editors. 2018. “The Liberian Civil Wars: The History and Legacy od the Deadly Conflicts and Liberia’s Transition to Democracy in the 21st Century“.  1-31.

Bender, “Former Liberian dictator Charles Taylor had US spy agency ties”. Boston Globe. 17/01/2012.

Krauss, “Strategic Interests Tie U.S. to Liberia“. The New York Times. 13/06/1990.

Charles Taylor ‘worked’ for CIA in Liberia“. BBC. 19/01/2012.

Embassy of the Republic of Liberia in France. Last update 21/07/2019. History of Liberia.

Library of Congress. Last update 21/07/2019. The African-American Mosaic.

U.S. Relations with Liberia“. U.S. Department of State. 13/07/2016.

Our Liberian Legacy“. March 2006. The Atlantic.

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